Elisabetta Raimondi
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Intervista con l'icona progressista Nina Turner, candidata al Congresso nelle elezioni di midterm.
Icona del progressismo americano, carismatica alleata di Bernie Sanders e sua diretta erede naturale, Nina Turner torna a correre per il Congresso dopo la sconfitta subita l'estate scorsa nell'elezione speciale dell'Ohio, vinta dalla candidata scelta dall'establishment Shontel Brown. Nell'intervista rilasciatami il 22 febbraio 2022 Nina racconta di quella sconfitta, della necessità per i progressisti di non demordere, del primo anno di Biden e di altro ancora.
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La guerra “democratica” contro Nina Turner in Congresso nell'elezione speciale dell'Ohio
L'elezione speciale dell'undicesimo distretto dell'Ohio per il seggio lasciato libero da Marcia Fudge, entrata nello staff di Joe Biden, ha assunto proporzioni di livello nazionale per le primarie del 3 agosto. Il terrore che Nina Turner, vulcanica alter ego di Bernie Sanders, entri in Congresso con lui, Alexandria Ocasio Cortez e la Squad ha provocato l'afflusso di enormi quantità di denaro nelle casse della candidata pro-establishment Shontel Brown.
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L'abolizione del filibuster, oggi arma del suprematismo bianco, può salvare la democrazia americana?
Il filibuster, ostruzionismo tipico del Senato americano di cui il recente libro Kill Switch di Adam Jentleson racconta la storia, è diventato nell’era Mitch McConnell l’arma con cui una superminoranza suprematista bianca impone la sua agenda. La sua abolizione, oggi sostenuta da gran parte del Partito Democratico, incontra ancora la resistenza dei più incalliti corporate dems, guidati da Joe Manchin e Kyrsten Sinema.
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Upton Sinclair personaggio chiave di “Mank” di David Fincher, candidato a dieci Oscar
Una traccia per entrare nelle trame parallele di Mank di David Fincher. Candidato a ben 10 Oscar, il film sulla genesi dello script di Quarto Potere e dei conflitti tra lo sceneggiatore Herman Mankievicz e Orson Welles inaspettatamente si rivela essere anche un documento storico sui complotti per porre fine alla Epic Campaigndello scrittore socialista Upton Sinclair, in corsa per il governatorato della California nel 1934.
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Insediamento Biden-Harris: i guanti di Bernie a un'inaugurazione sbagliata
Come si arrivati è all'insediamento di Joe Biden e Kamala Harris; la falsa retorica dei media mainstream sull'inizio di "una nuova era" nella parata biparisan dei potenti pro-corporation; l'utilizzo fuori posto di "This Land is your Land" di Woody Guthrie; l'autenticità e la purezzza di Amanda Gorman col suo poema e di Bernie Sanders con i suoi guantoni.
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Che la giornata dell’insediamento di Joe Biden e Kamala Harris sia destinata a far capitolo a sé nella storia degli Stati Uniti è fuori discussione per una molteplicità di motivi, alcuni dei quali ormai scontati e altri del tutto imprevedibili. Ripercorrendo alcuni momenti salienti che hanno portato allo storico giuramento del 20 gennaio 2021, consideriamo qualcuno di quei motivi, smontando i fiumi di ipocrisia con cui alcuni dati di fatto sono stati caricati di connotazioni eccezionali e positive che non hanno, cercando però al contempodi intravedere dei segni di speranza, oltre che nei guanti di Bernie, in qualche altro momento di quella cerimonia.
La retorica e la sostanza della “Nuova Era”
Strettamente connesso alle false retoriche di Cnn Msnbc & Co. e di Joe Biden è lo sconforto rinnovatosi più forte che mai in milioni di persone convinte che quel giuramento spettasse a Bernie Sanders, cosa che avrebbe dato sia una sostanza concreta a espressioni ripetute fino alla nausea quali “inizio di nuova era”, “vittoria della democrazia”, “trionfo della giustizia”, “prevalere della verità”, sia un significato ben diverso al ribadito richiamo di Biden “all’unità e all’anima della nazione”.Tutte formule che danno il benvenuto allo status quo che precedeva gli anni di Trump, causati, è bene ribadirlo, da due fattori interdipendenti.
Primo: il fallimento dell’ammistrazione Obama-Biden, di cui Hillary Clinton era vista come la continuazione naturale, che fin dall’inizio aveva tradito gli elettori giovani e progressisti formando un governo pieno di artefici della crisi del 2008, e collaborando con i repubblicani anche nei primi due anni, quando tutto il Congresso era democratico.
Quel tipo di governo viene ora riproposto più o meno simile, come dimostrano tanto l'insistenza Biden sull'intenzione di lavorare con i repubblicani, quanto il suo “Cabinet of Firsts” che, come sottolinea The Intercept, “mostra un approccio cinico alla diversità”. Biden “punta l’enfasi sulla diversità per assicurarsi un’eredità presidenziale storica ancora prima di entrare in carica”, ma quelle scelte illustrano “come i Democratici sappiano usare il linguaggio del multiculturalismo senza prendere provvedimenti forti per aiutare la gente marginalizzata”. A dispetto insomma delle crocette messe su tutte le caselline riguardanti genere, razza e orientamento sessuale, il fatto è che la maggior parte dei ministri e collaboratori di Biden ha stretti legami con lobby e corporation in affari con le varie sezioni governative.
Secondo: le bugie e le calunnie su Bernie Sanders a cui quella informazione “liberal”, che ora celebra la vittoria di verità giustizia e democrazia, ha fatto da potentissima cassa di risonanza nelle primarie del 2016, ignorando volutamente gli imbrogli messi in atto da Hillary Clinton e dall’establishment democratico.
Il ruolo dell’establishment democratico e dei media nelle primarie 2020
I boicottaggi contro Bernie si sono ripetuti anche nelle ultime primarie fin da molto prima delle vicende apocalittiche del 2020 e dei conseguenti comportamenti di Trump. Un esempio su tutti è quel “Bernie mi fa accapponare la pelle” spiattellato senza spiegazioni e senza contraddittorio in un panel della Msnbc dalla consulente legale Mimi Rocah nella primavera 2019.
Con l'inizio, il 3 febbraio 2020, delle fasi operative del voto, la prima truffa è andata in scena proprio nella notte di esordio col mancato arrivo, per la prima volta nella storia, dei risultati del caucus dell'Iowa. I “disguidi informatici” della misteriosa ditta “Shadows” appaltata per elaborarli, che aveva collegamenti con Pete Buttigieg e Hillary Clinton, sono stati il pretesto per comunicare nei giorni successivi risultati parziali che davano al giovane Mayor Pete dei vantaggi su Sanders che in effetti non aveva, favorendolo nel New Hampshire e offrendo a diversi “giornalisti” l’occasione di ridicolizzare Bernie battuto da un ragazzino. Lo scorso dicembre le collusioni del Comitato Democratico Nazionale e del suo presidente Tom Perez in quella brutta vicenda sono state definitivamente provate, ma diffuse solo da fonti indipendenti.
Il supertuesday del 3 marzo 2020 e il l’arrivo della pandemia
Tuttavia, nonostante i boicottaggi, dopo le tre vittorie consecutive di Iowa, New Hampshire e Nevada, Bernie Sanders, avviato verso una quasi certa conquista di una consistente maggioranza relativa, terrorizzava l'establishment democratico, tanto che concorrenti presidenziali e opinionisti avevano cominciato a parlare della necessità che alla convention generale si arrivasse a una maggioranza assoluta, anche attraverso una seconda votazione che avrebbe visto l’intervento dei superdelegati, esclusi dalla prima, dotati del superpotere di ribaltare il voto popolare. Come sappiamo non ce n’è stato bisogno, soprattutto grazie al Covid, intervenuto come una manna a miracolare Joe Biden. Ma le manovre per il suo recupero sono cominciate prima della conclamazione statunitense della pandemia, quando, a due giorni dal supertuesday del 3 marzo (dove Bernie era dato per vincente in una decina di stati su quattordici), “qualcuno” ai vertici del partito, “ha invitato" Pete Buttigieg e Amy Klobuchar, i due candidati in quel momento più forti dopo Bernie, a ritirarsi dalla corsa per sostenere Joe Biden.
Nonostante la bella vittoria del 29 febbraio in South Carlina, dovuta in buona parte all'endorsment del potente deputato afroamericano Jim Clyburn,“il padrino della politica democratica” di quello stato, arrivato tre giorni prima del voto, Biden, reduce da tre precedenti sconfitte pesantissime, aveva scarse prospettive per il 3 marzo, poiché ormai da tempo senza soldi non aveva neppure aperto un ufficio elettorale in diversi di quegli stati stati. “L’obbedisco” di Pete (ora risarcito col ministero dei trasporti) e Amy (finora organizzatrice della giornata inaugurale), che di tutto potevano avere in mente tranne che di ritirarsi galvanizzati com’erano dai loro risultati di febbraio, ha così regalato a Joe Biden la vittoria in dieci stati lasciandone a Bernie solo quattro. E questo, è il caso di ripeterlo, in un momento in cui negli Stati Uniti il Covid 19 era ancora soltanto un fenomeno italiano.
La riesumazione di Joe Biden voleva dunque dire dirigersi consapevolmente verso una sconfitta quasi certa contro un Donald Trump non ancora compromesso dai comportamenti disastrosi dei mesi successivi, sebbene la sua base adorante non si sia mai spostata di un millimetro neanche dopo. Ancora una volta l’intero sistema democratico, a parole vicino al suo elettorato ma nei fatti distante anni luce, ha dimostrato di preferire alla presidenza Sanders un bis di Trump che, pur con l’enorme responsabilità di avere sdoganato e amplificato il suprematismo bianco (per quanto allora non ancora ancora spinto fino ai punti che oggi conosciamo), aveva comunque fatto gli interessi di quella palude bipartisan che aveva promesso di prosciugare.
Beati gli ultimi perché saranno i primi
Ecco dunque come “l’ultimo” dei big, artificialmente portato in pole position dalle strategie del suo ex-capo, è diventato, almeno momentaneamente “il primo”. Un momentaneamente che valeva però solo nella testa di chi ancora sperava, invano, in un ravvedimento di Elizabeth Warrenche, sebbene precipitata a causa dei continui voltafaccia, aveva ancora tre o quattro giorni di tempo per unirsi a Bernie e al movimento progressista, permettendo la formazione di una coalizione che avrebbe goduto del supporto di Marianne Williamson, Tulsi Gabbard e Andrew Yang, già sostenitori di Sanders quattro anni prima, e magari, anche se non lo sapremo mai, di qualche carrierista a caso col piede in due scarpe.
La diffusione della pandemia e il mancato rinvio delle successive primarie, vergognosamente vendute da Tom Perez come non rischiose per non compromettere il momentum di Biden, hanno fatto il resto, chiudendo in fretta la partita. Bernie è stato accusato di mollare troppo presto, ma capendo che ormai i giochi erano fatti ha preferito dedicarsi con tutte le sue forze alla protezione dei più deboli, anche girando la sua raccolta fondi a favore dell’aiuto concreto di una piccola parte dei milioni di persone in difficoltà a cui la nazione più ricca del mondo non dava risposte nemmeno nella tragedia della pandemia.
Ed è così che Joe Biden, “l’ultimo diventato il primo”, è rimasto tale senza colpo ferire, rintanato nel letargo del suo scantinato di Wilmington dal quale riemergeva di tanto in tanto per leggere qualche comunicato dal teleprompter.
Bizzarra connotazione della parola cristiana “beati gli ultimi perché saranno i primi”.
Una bizzarria ancora più strana per Kamala Harris, una “prima” diventata “ultima” per poi ridiventare “prima”. Come raccontato su Jacobin Italia in Si scrive Kamala Harrisi, si legge Hillary Clinton, Harris, partita come punta di diamante e salita ulteriormente nei sondaggi dopo aver dato del segregazionista a Joe Biden (“that little girl was me”), è poi crollata sia perché smascherata su provvedimenti discutibili presi da procuratrice, sia per il doppiogioco su posizioni sandersiane che millantava in pubblico e ritrattava dietro le quinte. Per non perdere la faccia, Kamala ha abbandonato le scene senza nemmeno affrontare la competizione dei voti reali, calcolando che quel ritirole avrebbe permesso di riciclarsi in attesa della scelta vicepresidenziale.
Il blocco di Kamala Harris al ristoro di 2000 dollari
Nel frattempo però in Senato i suoi trucchetti sono andati avanti. Il suo “no” alla proposta di Bernie Sanders di tagliare del 10% i 740 miliardi di dollari per le spese militaria favore di interventi per le classi sociali più colpite dal covid ha curiosamente a che fare anche con il suo ultimo voto in Senato alla fine di dicembre, dopo che la Camera aveva approvato il passaggio da 600 a 2000 dollari come ristoro per i meno abbienti, come persino Donald Trump aveva sollecitato.
Passata sotto silenzio dai media mainstream ma ben documentata da David Sirota sul Daily Poster e su Jacobin Magazine, la questione riguardava l’intenzione di Bernie Sanders di fare ostruzionismo, se prima non fosse stato approvato lo Stimulus Bill con i 2000 dollari, sull’approvazione di un’altra legge, per coincidenza proprio quella delle spese del Pentagono. Donald Trump l’aveva infatti reinviata al Senato perché vi aggiungesse alcune clausole, ma il Senato poteva comunque passarla indipendentemente dal veto presidenziale. Non appena Mitch McConnell ha chiesto di approvare quella legge prima dello Stimulus Bill, Kamala è stata tra i moltissimi che hanno votato sì, impedendo l'ostruzionismo di Bernie, dando il via libera senza condizioni a un’approvazione che sarebbe comunque avvenuta nel giro di pochi giorni. e relegando invece allo stallo la legge sui ristori da 2000 dollari. E pensare che proprio lei in maggio se ne era fatta promotrice insieme a Bernie Sanders e a Ed Markey, sostenendone la necessità e l’urgenza. Per la cronaca quella legge è ancora lì che aspetta, così come aspettano i milioni di americani in difficoltà, moltissimi dei quali di colore come Kamala, che di quei soldi per loro vitali avrebbero potuto beneficiare.
Comunque, visto che la speranza è l’ultima a morire, c’è sempre la possibilità che Kamala facciadietro-front rispetto ai suoi abituali comportamenti a vantaggio di altri che favoriscano quelle fasce della popolazione che dice di rappresentare e di voler proteggere.
“The Hill We Climb” di Amanda e i guanti di lana di Bernie
Chissà che non possa indirizzarla sulla strada giusta l’intervento dell’incantevole creatura materializzatasi ad un certo punto della cerimonia con un cappottino giallo e un nastro rosso nei capelli. Ha commosso tutti Amanda Gorman, la giovanissima poetessa che ha accompagnato con delicati e armoniosi gesti delle sue piccole mani la potente declamazionedel suo “The Hill We Climb”, un ”Urlo” ginsberghiano del ventunesimo secolo insanguinato dal razzismo, ma anche colmo di speranza.
Si sa che la commozione, perfino quella suscitata da un’apparizione forte come quella di Amanda, ha quasi sempre breve durata, eppure a volte può capitare che ciò che l’ha provocata si imprima nel profondo, lasciando messaggi e significati non più ignorabili.
Nel loro piccolo anche i guanti di Bernie hanno inconsapevolmente lanciato un messaggio carico di significati. In maniera più prosaica e senza l’aura di bellezza ed elegia che Amanda ha diffuso intorno a sé, ma con la stessa purezza, onestà e autenticità “the Dad of America” era lì. Seduto in disparte, quasi che il Covid in tutta la sua crudeltà gli avesse comunque concesso il regalo di potersi smarcare da quella folla di politici così diversi da lui. Era lì con il parka, la mascherina, quella cartelletta arancione che sembrava dire “dai sbrighiamoci con questi orpelli che il lavoro ci aspetta”.E con le sue manopole giganti fatte di lana riciclata da una maestra del Vermont, indossate per ripararsi dal freddo proprio come si fa nel Vermont, senza immaginare quale ripercussione avrebbero avuto. Quasi volessero testimoniare l’esistenza di una giustizia superiore o di un “caso” resosi conto che quando è troppo è troppo, quei guanti hanno restituito a chi li indossava la dimensione di realtà che la propaganda dei media gli ha sempre rubato, diffondendola finalmente in tutto il mondo attraverso un’inondazione di meme scherzosi e spassosi ma mai irridenti. E chissà che la curiosità stimolata su quel vecchietto per molti ancora sconosciuto, ma appena diventato presidente della commissione budget del Senato, non faccia di lui un esempio da seguire, magari trasformando “the dad of America” in “the dad of the world”.
This land is your land
E allora, proprio in virtù dell’autenticità di Amanda e di Bernie trova posto un terzo elemento di purezza che era parso un po’ stonato in quella inaugurazione all’insegna della retorica e della forma, la “This land is your land” cantata da Jennifer Lopezprima della comparsa di Amanda.La canzone, diventata l’inno di battaglia dei “Feel the Bern” fin dal 2015, in quel contesto suonava quasi come un’offesa a Woody Guthrie.Lui, l’hobo per eccellenza, l’interprete delle voci dei milioni di ultimi diventati sempre più ultimi nel mondo delle disuguaglianze sempre più estreme, il cantore che aveva scritto una canzone per Franklin Delano Roosevelt ma che mai si sarebbe potuto sentire a suo agio, come Bernie, a quella riunione di potenti enfaticamente celebrata come “l’inizio di nuova era”, ma priva di gran parte della “sostanza” tanto importante per Woody. Perché se è vero che sconfiggere Trump era sostanziale per l’inizio di una nuova era, così come lo era per Woody sconfiggere i fascisti durante la guerra, è anche vero che il messaggio sulla sua chitarra, “this machine kills fascists”, andava ben al di là dell’interpretazione letterale e della contingenza temporale. Quel messaggio voleva dire, proprio come “This land is your land, this land is my land …this land was made for you and me” e tutti i versi apparentemente folcloristici e patriottici ma carichi di significati politici e sociali, che ci sono altri obiettivi sostanziali da raggiungere prima che gli Stati Uniti possano davvero essere quella terra di democrazia che pretendono di essere. Quegli obiettivi erano ancora lì dai tempi di Woody Guthrie e di FDR, in attesa di un presidente come Bernie che cominciasse a dare loro consistenza. Invece è arrivato Joe.
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Dopo l'inchiesta di Greg Palast del 2016 sulla soppressione di milioni di voti di colore, Rolling Stone torna sul tema con un audio esclusivo di Brian Kemp, avversario dell’afroamericana progressista Stacey Abrams per il governatorato della Georgia. Intanto Palast querela Kemp per le ultime truffe razziste.
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Fahrenheit 11/9 racconta "come diavolo è successo" a Trump di diventare presidente, mette l'establishment democratico di fronte alle sue colpe ed esorta ad un'immediata azione per evitare il bis nel 2020. La visione in un cinema di Manhattan una settimana dopo le primarie vinte da Cuomo aiuta a riflettere sulle contraddizioni dell'elettorato democratico.
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“Super. Pino Pascali e il sogno americano” nel 50° anniversario della morte
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Bernie Sanders 2018: vittorie progressiste avanzano
Noam Chomsky e Bernie Sanders sanno che quando si lotta “per e con” la gente, quando l’onestà dice do no a soldi, pressioni, scambi e corruzioni, quando la passione diventa contagiosa, dal basso si può vincere: gli esempi di Alexandria Ocasio Cortez e Benjamin Jealous.
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Street art: l'armonico dualismo di Domenico "Frode" Melillo (1)
La situzione italiana del variegato e controverso mondo di writing e street art in un'intervista a 360 gradi allo street artist Frode, all’anagrafe Domenico Melillo, avvocato difensore di molti artisti di strada e graffitari.
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Scuola, teatro, vita.
Studenti e insegnante della Scuola Media “Pietro Verri” di Biassono raccontano come l’attività didattica possa aiutare i giovani a ritrovare fiducia, dialogo, libertà e rispetto di sé e degli altri.
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Bernie Sanders 2018: la Walt Disney e la "flat tax"
L'ultima battaglia di Bernie Sanders il 2 giugno scorso ad Anaheim in California, nella Disneyland dove "i sogni diventano realtà", tra migliaia di lavoratori la cui realtà, lungi dall'assomigliare a un sogno, è sempre più simile a un incubo.
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Bernie Sanders 2018: dove eravamo rimasti?
Mai come quest’anno le elezioni americane di medio termine potranno segnare una svolta nel Democratic Party con la vittoria di candidati progressisti. Parola di Bernie "Birdie" Sanders. Ricominciamo a seguire mosse dell'uomo politico più amato d'America, quasi certo candidato per le presidenziali 2020, partendo da dove lo avevamo lasciato un anno fa.
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Il Philadelphia Museum of Art a Milano
Curiosità ed approfondimenti storici suscitati dalla mostra di Palazzo Reale che attraverso cinquanta capolavori dell’impressionismo e delle avanguardie racconta la parte migliore del collezionismo americano, nato nella controversa Gilded Agedi fine 800.
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Street art e integrazione III: Nemo's a Ornago
Tra i più significativi rappresentanti della street art italiana, Nemo's realizzerà un murale presso il Centro Civico di Ornago il 17 marzo, preceduto da un interessante laboratorio propedeutico con i giovani del luogo.
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"Post Zang Tumb Tuuum", mostra da sindrome di Stendhal
In corso alla Fondazione Prada fino al 25 giugno 2018lascia sbalorditi per dovizia di opere e documenti, ricerca storica, ricostruzione contestuale e bellezza.
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Freud, o l’interpretazione dei sogni al Piccolo Teatro Strehler
Fabrizio Gifuni e un cast di attori bravissimi tengono gli spettatori attenti e partecipi nelle quasi tre ore di Freud o l'interpretazione dei sogni, uno spettacolo impegnativo e coinvolgente, di Stefano Massini e Federico Tezzi in scena al Piccolo Teatro Strehler di Milano fino all'11 marzo.
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Street art e integrazione II: "le parole dei profeti" di The Sound of Silence
Dalle canzoni di Simon and Garfunkel alle tags di Cornbread, Julio 204 e Taki 183, dallo studio del 1967 “Names, Graffiti and Culture” di un insegnante di Harlem allo storico fotoreportage del 1974 “The Faith of Graffiti”, le primissime tappe di una storia appassionante, che si aggancia al contemporaneo fenomeno italiano troppo spesso etichettato come vandalismo.
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Street art e integrazione I: il modello Filadelfia
Con oltre 4000 murales Filadelfia è la capitale mondiale della Street Art. Da quasi 35 anni leggendaria paladina di una rivoluzione basata su arte e integrazione sociale, Jane Golden è tuttora contattata da illuminati amministratori pubblici di tutto il mondo per replicare i progetti del suo Mural Arts Program. Ce occupiamo in un dossier a puntate, mentre in Italia il gruppo Wiola raccoglie firme contro la legge anti-writers che, in nome di decoro e sicurezza, ha moltiplicato i processi comminando anche la prima pena detentiva.
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“L’orrore” di Kurtz nelle tele di Leon Golub alla Fondazione Prada
Alla Fondazione Prada di Milano un trittico di mostre su due generazioni di artisti di Chicago del secondo dopoguerra, esclusi dalla storia dell'arte ufficiale per la portata antimilitaristica, antiimperialistica e controculturale delle loro opere.
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“E va bene, allora, andrò all’inferno!” disse Huckleberry Finn…
Nello stratificato romanzo che Hemingway considerava il capostipite della letteratura americana moderna, ma che in patria è ancora oggetto di censure, l’antirazzismo spontaneo del ragazzino emarginato e senza regole prevale sulla morale razzista della società civile, confezionata combinando legge e religione.
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Su Politico.com la vendetta di Donna Brazile inchioda Hillary
Ci voleva il libro scandalo di Donna Brazile Hacks: The Inside Story of the Break-ins and Breakdowns that Put Donald Trump in the White Houseper portare sulla stampa mainstram la storia delle primarie democratiche truccate da Hillary Clinton a spese di Bernie Sanders. Gli estratti pubblicati in anteprima su Politico.comanticipano quella "sconvolgente verità" che la ex-presidente del Partito Democratico ed ex-analista politica della CNN ha raccontato nel libro in uscita, togliendosi sassolini e sassoloni dalle scarpe.
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L'invisibilità razziale di Ralph Ellison e Gordon Parks tra pittura anni '30 e Black Lives Matter
Dossier razzismo. Chicago. Estate 2016. Art Institute e Millennium Park. In scena, nei due luoghi collegati dalla lunga passerella in acciaio bianco di Renzo Piano, un pezzo di storia americana. All'interno, sulle pareti e nelle bacheche del museo, le fotografie e gli scritti di Invisible Man: Gordon Parks e Ralph Ellison in Harleme i dipinti di America after the Fall: Paintings in the 1930s. All'esterno, tra le mani dei Black Lives Matter, cartelli e striscioni. Tema comune l'interminabile discriminazione razziale
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Il PD americano tra conservatori, progressisti, riformisti, scissionisti...
I recenti retroscena del Partito Democratico americano dimostrano che il “fenomeno Bernie Sanders” ha segnato un punto di non ritorno che i conservatori devono contrastare con tutti i mezzi e di cui i progressisti devono approfittare. Per Nick Brana, fondatore del movimento Draft Bernie for a People’s Party, l’esempio da seguire è quello di Abraham Lincoln. -
Il Papa, la religiosità popolare e il Museo Etnologico di Monza e Brianza
Si è inaugurata al Mulino Colombo la Mostra “Religiosità popolare in Brianza: piccoli oggetti di ieri, grandi questioni di oggi”, a cura del Museo Etnologico di Monza e Brianza
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Noam Chomsky, Ava DuVernay e la “giustizia” americana
A pochi giorni dagli Oscar 2017 che vedono XIII Emendamento nella cinquina dei documentari, alcuni collegamenti tra lo sconvolgente resoconto sul sistema carcerario della regista afroamericana Ava Duvernay e Requiem for the American Dream, acclamato al Tribeca Film Festival 2015, in cui Noam Chomsky tira le somme sullo stato attuale della democrazia.
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Shakespeare, il cinema e la scuola
Coloro che a scuola hanno a che fare con Shakespeare e con la letteratura in generale dovrebbero imparare a vedersi un po’ di più come degli attori, soprattutto se vogliono avere la speranza di infondere nei ragazzi l'interesse verso la cultura
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Michael Moore in Trumpland come Charlie Chaplin in Tomania
Non si esaurisce con l’elezione del nuovo presidente la carica dell’ultimo film di Michael Moore, girato durante il suo one-man-show teatrale in una cittadina dell’Ohio dove alle primarie i Trumpiani hanno battuto i Clintoniani 4 a 1. Divertimento, profondità, commozione e speranza.
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Donald Trump presidente degli Usa
Emozioni a caldo di una sandersiana di Monza
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