20171512 leon golub guantanamo fondazione prada

   

Alla Fondazione Prada di Milano un trittico di mostre su due generazioni di artisti di Chicago del secondo dopoguerra, esclusi dalla storia dell'arte ufficiale per la portata antimilitaristica, antiimperialistica e controculturale delle loro opere.  

 

Fino al 15 gennaio 2018 è possibile visitare alla Fondazione Prada di Milano l’interessantissimo trittico espositivo a cura di Germano Celant, che dal 20 ottobre ospita due generazioni di artisti americani, formatisi alla Scuola dell’Art Institute di Chicago nel secondo dopoguerra, ingiustamente ignorati o sottovalutati  dalla storia dell'arte per  motivi che con l'arte hanno poco a che fare.

Le tre ampie retrospettive, articolate nelle personali “Leon Golub” e “H.C. Westermann” e nella collettiva “Famous Artists from Chicago. 1965-1975”, raccontano il retro della medaglia dell’arte americana, ossia l'espressione figurativa, e di protesta,  di due periodi i cui emblemi sono tuttora l’spressionismo astratto e la pop art.

Perfettamente in linea con la corrente internazionale di riscrittura critica della storia dell’arte, che mira sia a collocare nella posizione che meritano personalità e movimenti trascurati, sia a farli conoscere al pubblico attraverso esposizioni importanti, la Fondazione Prada permette  anche di riflettere sulle dinamiche politiche americane alla base della creazione di modelli artistici dominanti e della marginalizzazione di altri.

Prevalentemente dediti ad una elaborata e faticosa tecnica pittorica Leon Golub (1922-2004)  e ad una magistrale precisione artigianale nella lavorazione e nell’assemblaggio di oggetti di legno H.C. Westermann (1922-1981), essi sono stati scelti per rappresentare la prima generazione della Chicago School in quanto sue figure chiave, non solo per statura personale ed artistica, ma per le particolari posizioni rivestite al suo interno.
Se Leon Golub può essere considerato l’iniziatore e il leader del gruppo storicamente definito Monster Roster, H.C. Westermann, ad esso legato non tanto per stile quanto per esperienze biografiche, affinità ideologiche e temi ispiratori, è la figura che  fa da ponte con la generazione successiva dei Chicago Imagists.

 

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Immagine della mostra “Leon Golub”, Fondazione Prada, Milano 20 ottobre 2017 - 15 gennaio 2018.
Foto Roberto Marossi. Courtesy Fondazione Prada

 

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Immagine della mostra “H.C. Westermann”, Fondazione Prada, Milano 20 ottobre 2017 - 15 gennaio 2018.
Foto Roberto Marossi. Courtesy Fondazione Prada

 

 Quasi tutti reduci dalla Seconda Guerra Mondiale (Westermann anche da quella di Corea),  gli artisti della prima generazione della Chicago School sono profondamente segnati dall’esperienza bellica, che emerge nelle loro opere non secondo la retorica nazionale dei soldati americani salvatori del mondo dal nazismo, ma con riferimenti visivi disturbanti, a volte grotteschi, agli orrori di cui sono stati testimoni.

 Convinti che il personale sia politico ed accomunati dalla critica nei confronti e dell’imperialismo crescente del loro paese, dall’insicurezza provocata dalla guerra fredda e dalla difficoltà del vivere quotidiano, questi giovani artisti rifiutano l’astrattismo, che considerano edonistico e narcisistico, e si rivolgono all’espressione figurativa come una necessità per convogliare la dimensione sociale, politica ed esistenziale delle loro opere.

20171512 dominick di meo fallen hero VORREI FONDAZIONE PRADA Arte antica classica e primitiva, espressionismo tedesco, surrealismo, arte folk, esistenzialismo e Art Brut di Jean Dubuffet, che a Chicago li affascina nel 1951, sono le fonti ispiratrici della loro estetica dark, con prevalenza dei toni dei marroni e delle terre, con figure umane straziate, arti smembrati, volti deformati, cavità oculari.

Si fanno conoscere nel 1948 in seguito ad un evento di esclusione simile a quello occorso agli impressionisti quasi cento anni prima. Alcuni studenti non vengono infatti ammessi alla mostra “Chicago Artists and Vicinity", che l’Art Institute allestisce ogni anno per dare visibilità alle promesse della zona. E così Leon Golub, il più carismatico degli studenti esclusi, organizza  la contromostra “Exibition Momentum” in uno spazio alternativo. 

Gli artisti non si etichettano sotto una definizione e non hanno un manifesto, tuttavia per molti anni quel redivivo Salon des Refusés sarà il luogo privilegiato di esposizione per le loro opere. 

Nel 1959 Franz Schulze, lo storico dell’arte del gruppo, conia la definizione di Monster Roster, grazie ad un’associazione di idee tra la “mostruosità” di molte opere e il soprannome The Monsters of the Midway della squadra di football dei Chicago Bears. Da quel momento Monster Roster diventa il nome attribuito anche retrospettivamente a quegli artisti, di cui, oltre a Golub e Westermann,  alcuni degli esponenti più significativi sono Leo Campoli, Dominick Di Meo (a destra il suo Fallen Hero, 1956), Seymour Rosofsky, June Leaf .

Una posizione particolare è occupata da Nancy Spero (1926-2009), studentessa all’Art Institute, moglie e compagna di vita di Leon Golub e personalità di spicco dell’arte e dell’attivismo politico del secolo scorso. Pur esponendo con i Monster Roster di cui condivide i principi ideologici di base, Nancy Spero tiene molto alla individualità del suo lavoro, che si concentra per tutta la sua carriera sulla violenza subita dalle donne in ogni momento della storia.

Quando intorno ai primi anni 60 il gruppo si dissolve  per la dispersione geografica dei vari artisti,  H.C. Westermann, con la sua produzione fuori da tutti gli schemi che proprio in quegli anni si fa sempre più ironica e giocosa, diventa un importante punto di riferimento per la generazione successiva, che dà  libero sfogo a subconscio, fantasia, trasgressione e provocazione.

Contemporanei degli esponenti della Pop Art, così come i Monster Roster lo erano degli espressionisti astratti, anche i Chicago Imagists subiscono la  subordinazione artistica rispetto ai newyorkesi.

 

20171512 CHICAGO IMAGISTS VORREI FONDAZIONE PRADA

Immagine della mostra “Famous Artists of Chicago. !965-1975”, Fondazione Prada, Milano 20 ottobre 2017 - 15 gennaio 2018.
Foto Roberto Marossi. Courtesy Fondazione Prada

 

Chicago School e figurativismo vs New York School ed astrattismo: una storia di arte e di politica

 

Nel dopoguerra la marginalizzazione degli artisti figurativi di Chicago avviene come conseguenza della esaltazione della New York School che, nata nel Greenwich Village ad opera di un nucleo di astrattisti, Jackson Pollock e Willem De Kooning in testa, viene riconosciuta come la nuova avanguardia artistica mondiale verso la fine degli anni 40. Affermatasi definitivamente nel decennio successivo, essa permette all'arte americana di strappare il primato innovativo all’Europa per la prima volta nella storia.

Sono gli anni in cui gli Stati Uniti stanno completando la costruzione della loro immagine di leader definitivi del mondo occidentale e di paladini della lotta al comunismo. E poiché la consapevolezza della superiorità USA deve essere chiara sia ai propri cittadini sia sulla scena globale, ci vogliono dei simboli che la rappresentino.

La celebrazione del nucleo familiare, e del suo consumismo,  come cellula base dell’intero sistema della prosperità economica e della sicurezza nazionale è un elemento cardine, con il predominio della figura maschile che provvede a tutte le esigenze della famiglia.

Ne deriva che la mascolinità, rigorosamente bianca, diventa un altro emblema di una società che considera devianti e pericolosi comportamenti non conformi. Gli omosessuali, spesso presentati come comunisti e viceversa, gli esponenti della controcultura, quali i protagonisti della Beat Generation ridicolizzati come beatnik, e chiunque si ponga in posizione critica rispetto all’establishment viene considerato una minaccia interna e va quindi contrastato.

Un ulteriore mito dell’American Dream da rispolverare ed infiocchettare in opposizione all’omologazione imposta dal regime sovietico è quello l’individualismo che, in virtù della celebrata teoria del self-made-man, permette ad ogni cittadino americano di conseguire successo e ricchezza.
Cinema, televisione e stampa mainstream diffondono a spron battuto i modelli che gli americani devono emulare senza sospettare, beninteso, che sempre di processo di omologazione si tratta.

20171512 Jackson pollock vorrei Ben presto questi principi trovano il loro corrispettivo artistico nel gesto liberatorio, energico, individualistico e maschile che caratterizza la pittura astratta di Jackson Pollock (a destra), Willem De Kooning, Mark Rotkho,  Robert Motherwell.

Pollock  in particolare, ripetutamente fotografato e filmato nell’atto di sprigionare la sua virilità e la sua personalità nel processo dell’action painting, non solo sembra incarnare quelle caratteristiche su cui si sta forgiando il mito della superiorità americana, ma a sua volta ne diviene l’emblema grazie alla fama che la sovraesposizione mediatica contribuisce a dargli.

Sembra paradossale ma un ruolo sostanziale nell’affermazione dell’Espressionismo Astratto come movimento artistico dominante è svolto dalla CIA, ad insaputa degli artisti coinvolti.

Se ne è diffusamente parlato qualche anno in seguito alle dichiarazioni di alcuni ex dirigenti, che confermavano voci circolanti da decenni su un piano segreto teso ad ammorbidire il clima di terrorismo anticomunista intrapreso dall’FBI di J.Edgar Hoover e culminato con la caccia alle streghe del senatore McCarthy.

20171512 propaganda anticomunista VORREI FONDAZIONE PRADA Ritenendo quelle tattiche propagandistiche anticomuniste controproducenti per l’immagine di libertà che gli Stati Uniti devono dare di sé, un gruppo di abili funzionari CIA laureatisi ad Harvard e Yale ne adottano altre, che mira a testimoniare l'assoluta libertà espressiva vigente in America. La loro abilità è quella approfittare anche di artisti anti-establishment ad uso e consumo dell’establishment, tessendo una vasta rete segreta di contatti (importantissimi ad esempio quelli con Nelson Rockefeller e il Moma di New York) e di finanziamenti per la diffusione nazionale ed internazionale di vari settori dell’arte americana. In campo pittorico la libertà espressiva degli astrattisti unita all’esaltazione del gesto individuale fornisce il modello perfetto da contrapporre alle rigide imposizioni sovietiche del Realismo Sociale. Ma poiché le opere astratte incontrano resistenze nell’apprezzamento generale del pubblico che non le capisce (persino il presidente Truman afferma che se quella è arte lui è un ottentoto), bisogna favorirne la diffusione e la valorizzazione, in modo tale da convincere gli americani che quella è la più autentica espressione dello spirito individualistico e libertario della nazione. E così avviene.

In una società costruita su tali parametri è consequenziale l’emarginazione degli artisti di Chicago che in quegli anni di ottimismo generalizzato rappresentano, tanto ideologicamente quanto materialmente con le loro opere traboccanti di vulnerabilità fisica e psichica maschile, esattamente l’opposto di quello che l’establishment vuole mostrare.

 

“The horror” : da Joseph Conrad a Leon Golub

 

La retrospettiva dedicata a Leon Golub, allestita nelle gallerie Nord e Sud con 22 tele  grandi come schermi cinematografici realizzate tra la fine degli anni 60 e gli anni 80, e con 58 fotografie su carta trasparente risalenti agli anni 90, è delle tre esposizioni quella di maggiore impatto psicologico.

 

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 Immagine della mostra “Leon Golub”, Fondazione Prada, Milano 20 ottobre 2017 - 15 gennaio 2018.
Foto Roberto Marossi. Courtesy Fondazione Prada 

 

Varcare la soglia dello spazio che ospita la maggior parte delle tele, e procedere stanza dopo stanza circondati dalle enormi e crude figure di mercenari, soldati, corpi nudi, torturatori e torturati che, non ingessate nella rigidità delle cornici, incombono fluide da tutte le pareti, è come immergersi in un abisso di orrore. Anzi de “l’orrore”, con l’articolo determinativo.
Quello che in Cuore di Tenebra (1899), Joseph Conrad fa progressivamente conoscere a Marlowe nella sua lenta e misteriosa penetrazione nel centro dell'oscurità navigando  lungo fiume Congo, e che culmina nella reiterazione “the horror, the horror” da parte di Kurtz. 

20171512 GOLUB 7 VORREI FONDAZIONE PRADA L’ex-commerciante di avorio, giunto in Africa da essere umano "normale" e trasformatosi in una sorta di malvagia divinità, prima di morire sintetizza con un solo termine  l’indicibile inferno di sfruttamento, sopraffazione, violenza e delirio di onnipotenza nel quale ha perso ogni traccia di umanità, divenendo al contempo spietato carnefice e vittima psicologica delle sue stesse carneficine. Se nel romanzo quelle parole esprimono l’essenza dell’imperialismo ottocentesco europeo e della sua avidità, mascherati da “civilizzazione” e “commercio”,  nelle opere di Golub l’orrore non è più quello perpetrato dal Belgio, che Conrad sceglie invece dell’Impero Britannico per permettere la doppia ipocrisia della presunta estraneità degli inglesi agli orrori che contribuivano alla ricchezza ed alla “rispettabilità” delle classi dominanti. L’Europa è stata sostituita dagli Stati Uniti nel generale predominio mondiale e anche the horror è quello distribuito dagli americani.

È l’orrore che, dopo essere stato messo su tela da Golub negli anni 60 e 70, trova un immaginario comune nel 1979 nelle scene di Apocalypse Now, l'Heart of Darkness di di F.F. Coppola e del Kurtz di Marlon Brando. O nell’altro insuperato capolavoro dello stesso tipo di orrore, il Full Metal Jacket di Stanley Kubrick del 1987.

 

Marlon Brando/Kurtz e l'orrore in Apocalypse Now di F. F. Coppola


È l’orrore che in Conrad così come in Coppola e Kubrick, e come in Golub sia prima sia dopo i due registi, genera follia. Una follia che forse non è follia autentica, ma la snaturante conseguenza naturale della totale immersione in un sistema dominante non solo corrotto, ma che corrompe, perché si nutre del potere, della forza e della violenza di  esseri umani su altri esseri umani.

C’è tutto questo nelle gigantesche tele che Golub spesso preparava incollandole una sull’altra e poi ridividendole mediante faticosi strappi, e su cui poi imprimeva strati e strati di acrilico che graffiava, scrostava, rilavorava, con uno sforzo fisico non certo inferiore a quello di Pollock, ma al servizio di un'arte di denuncia tanto violenta quanto impotente di fronte al continuo rinnovarsi delle atrocità. Ci sono l’indifferenza e persino il piacere dei torturatori che forse una volta, prima di entrare a far parte del circo degli orrori, erano, come Kurtz, esseri umani dotati di umanità. Ci sono il sangue e la carne viva al di sotto della pelle squarciata e massacrata. C'è il napalm, c’è il Vietnam, c’è Guantanamo, e c’è anche tutto quello che cronologicamente ancora non c’era.

 

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 20171512 GOLUB 3 VORREI FONDAZIONE PRADA Immagini  dalla mostra “Leon Golub”, Fondazione Prada, Milano 20 ottobre 2017 - 15 gennaio 2018. Foto Elisabetta Raimondi

 

Visitare la mostra di Leon Golub è un’esperienza che lascia il segno. Che paradossalmente porta a riflettere sulla realtà contemporanea molto più di quanto facciano le immagini televisive dei quotidiani orrori reali. Ma anche questa, si sa, è una delle funzioni dell’Arte. Di quella con la A maiuscola.

 

C’è Joseph Conrad anche nel paese dei “balocchi” di W.H. Westermann

 

Quando si aprono le porte dell’ascensore al primo piano del Podium l’affaccio che si ha sul salone, dove la cinquantina di sculture di Horace  Clifford Westermann sono simmetricamente posizionate su basi bianche, si ha l’impressione di essere finiti in un moderno ed ordinato allestimento di oggetti rubati dalla bottega di un bizzarro Mastro Geppetto.
I primi che inevitabilmente saltano agli occhi sono le imponenti sculture antropomorfe, tra cui spiccano una sorta di enorme re degli scacchi di legno rosso, e due robot metallici di cui uno sembra, ma non è, l’uomo di latta del Mago di Oz, anche se l’uomo di latta poi lo si trova, in piccolo, fatto di legno.

 

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Immagine della mostra “H.C. Westermann”, Fondazione Prada, Milano 20 ottobre 2017 - 15 gennaio 2018.
Foto Roberto Marossi. Courtesy Fondazione Prada

 

La curiosità la fa da padrona tra quei pezzi surreali, dai significati metaforici e reconditi, i cui titoli sono a volte ancora più sibillini degli oggetti: La casa nuova misteriosamente abbandonata, Macchina per calcolare i rischi, Dove gli angeli hanno paura di camminare. Altre volte i titoli sono lapidari, Marcia o muori, Nessun uomo sta così dritto come quando si piega per aiutare un ragazzo, e didascalici, La torre dei suicidi, Aria pulita, Una piccola gabbia nera, ma, data l’enigmaticità dell’insieme titolo/scultura, spesso, invece di chiarire, confondono. 

E poi nonsense, giochi di parole, paradossi, per ciascuno di quegli apparenti “balocchi” dalle varie dimensioni, costruiti prevalentemente in legno, ma anche con metalli, vetro, carta, corde, fili, ed assemblati con una meticolosità e una precisione raffinatissime, frutto non solo della frequenza alla Scuola dell’Art Institute, ma anche delle abilità artigianali sviluppate da Westermann nella sua attività di carpentiere, nonché della pulizia gestuale degli esercizi ginnici praticati privatamente per tutta la vita e in gioventù anche in pubblico in un duo acrobatico.

 

20171512 WESTERMANN ships e no man stands VORREI FONDAZIONE PRADA

 

20171512 WESTERMANN 5 VORREI FONDAZIONE PRADA

Due immagini della mostra “H.C. Westermann”, Fondazione Prada, Milano 20 ottobre 2017 - 15 gennaio 2018. Foto Roberto Marossi. Courtesy Fondazione Prada. Tra le opere su carta alle pareti diverse appartengono alla serie infinita delle death ship che Westermann dipinge e scolpisce per tutta la vita e di cui la scultura in primo piano della seconda foto è uno dei tanti esemplari.  Al centro della foto sopra la scultura No man stands so straight as when he stands to help a boy. 

 

 C'è unì'altra fonte iportante da cui deriva il perfezionismo che Westermann mette nel suo lavoro, sia esso di carpentiere, acrobata, scultore o pittore: l'insieme di quei valori etici personali che l’artista considera l’unica risposta possibile alla assurdità della vita ed alla consapevolezza della solitudine e dell’impotenza dell’essere umano in un mondo governato da eventi incontrollabili.

20171512 WESTERMANN conrad shadow line VORREI FONDAZIONE PRADA Se la spietata atrocità delle immagini di Golub richiama l’orrore di Cuore di Tenebra, in Westermann c’è, di Joseph Conrad, l’esistenzialismo atemporale che appartiene allo scrittore marinaio. Quell’esistenzialismo che il giovane capitano senza nome di Linea d’Ombra (1917)  matura durante un'enigmatica avventura in mare sulla nave di cui si innamora a prima vista e che è convinto gli darà gioia e soddisfazioni. Imparerà che le cose non stanno così e che nulla si può fare per prevenire e contrastare il destino, se non impegnarsi fino all’ultimo respiro nel compito che ci si è dati, per rivendicare almeno la propria dignità. Nel racconto di Conrad durante le due settimane  di bonaccia in cui la nave è condannata ad una immobilità che pare stregata, con i marinai ammalati ormai privi di forze, il capitano ha l’allucinazione di una nave fantasma con tutto l’equipaggio morto, quasi una premonizione della fine che ormai crede farà il suo veliero.
Westermann una nave fantasma la vede per davvero, la USS Franklin, colpita e affondata da kamikaze giapponesi proprio davanti ai suoi occhi, mentre si trova al suo posto di bombardiere sulla gemella USS Enterprise, dove trascorre i tre anni di arruolamento nella seconda guerra mondiale. Prima di affondare la nave resiste per giorni e giorni, diffondendo nell’aria un odore di morte di cui Westermann parla nelle sue lettere arrabbiate e disperate.
Ma la disperazione di Westermann non traspare mai in modo sentimentale o melodrammatico dai suoi lavori, sempre mitigati dall’ironia e dalla metafora. Nemmeno in quella infinita serie di navi fantasma, le navi della morte accompagnate dalle più originali definizioni ( una per tutte Death ship investita da una Lincoln Continental del 66), scolpite a volte da sole, a volte contornate da altri elementi tra cui pinne di squali, oppure dipinte a inchiostro ed acquarello. Death ships che saranno una costante per tutta la vita, nel tentativo di dare concretezza a quell’odore di morte che non dimenticherà mai.

20171512 WESTERMANN the evil new war god VORREI FONDAZIONE PRADA

Tante volte vede la morte Westermann, e in una occasione è lui stesso ad evitarla, a sé e ai suoi compagni, riuscendo a colpire il kamikaze diretto sull’Enterprise che schianta in mare di fronte a lui e che ritornerà nel suo lavoro.

Esperienze indimenticabili così come lo saranno quelle della successiva Guerra di Corea, vero punto di svolta della sua vita, perché gli dà la consapevolezza di quale terribile macchina da guerra siano diventati gli Stati Uniti, che spacciano imperialismo, armamenti e interventi militari dalla crudeltà inutile per patriottismo e per difesa della libertà.

In The Evil New War God del 1958 (Il Dio del male della nuova guerra, foto a sinistra), sottotitolato S.O.B (acronimo per son of a bitch), c’è la sintesi della disumanizzazione e della minaccia della distruzione dell’umanità che l’uso delle armi nucleari ha già sperimentato nel 1945 e che sempre più mette a rischio il mondo.

Del resto anche Enrico Fermi e Robert Oppenheimer avevano pubblicamente usato l’espressione “evil thing” in relazione ai frutti del loro lavoro di scienziati.

 

20171512 WESTERMANN the tin woodman of oz VORREI FONDAZIONE PRADA Per concludere un discorso che rischia di diventare infinito, ritorniamo all’uomo di latta fatto di legno, The Tin Woodman of Oz  (foto a destra) con una citazione del curatore delle mostre Germano Celant:

"Il viaggio della bambina Dorothy, trasportata nella Terra Blu, corrisponde per l’artista - identificabile con l’uomo di latta - al suo viaggio nell’arte contro la cattiva strega - la guerra e le sue atrocità. La sua avventura, contro i suoi incubi e gli avversari della sua pratica artistica, è segnata dalla scultura che è, al pari del romanzo, un’allegoria della politica americana: nel Mago di Oz quella monetaria di fine Ottocento; nell’arte di Westermann quella della guerra condotta in altri paesi - dal Pacifico meridionale alla Corea, dal Vietnam al possibile scontro militare per Cuba - in nome della libertà e dei suoi valori tradizionali."

 

 

La pirotecnica e provocatoria esplosione della fantasia, e del kitsch, nelle opere dei Chicago Imagists

 

Seguendo il percorso visivo consigliato all’interno del trittico, si arriva infine alla esplosiva mostra “Famous Artists of Chicago: 1965-1975”, dedicata alla seconda generazione della Chicago School e collocata al primo piano del Podium.

 IMG 6084Roger Brown, Ed Flood, Art Green, Gladys Nilsson, Jim Nutt, Ed Paschke, Christina Ramberg, Suellen Rocca e Karl Wirsum sono i nove artisti selezionati per la mostra  che la  Fondazione Prada ricostruisce filologicamente richiamando  nell’allestimento la prima prima esposizione istituzionale dei Chicago Imagists al Museum of Contemporary Art di Chicago nel 1969. Una sala centrale. con una vistosissima  carta da parati floreale, ospita  opere dei vari artisti in  maniera  amalgamata, in modo da indicare un’appartenenza identitaria collettiva.  Nove sale personali, che da questa si dipartono, permettono ad ogni singolo artista di far emergere la propria peculiare modalità espressiva.

Intitolata  Don Baum says: “Chicago Needs Famous Artists”, quella mostra del 1969 viene allestita da Don Baum, ex Monster Roster diventato insegnante all'Art Institute,  un’altra importante figura  che funge da collegamento tra le due generazioni. E' lui infatti che offre a questi giovani l'opportunità di esporre dal 1966 al 1968 all'Hyde Park Art Center vicino alla University of Chicago, uno spazio di cui è curatore dagli anni 50. I giovani artisti si riuniscono in gruppi, all'interno dei quali girano nel corso degli anni, come  Hairy Who?, False Image, Nonplussed Some, Marriage Chicago Style e Kissing Cousins.

 

20171512 fotogramma documentario Hairy Who VORREI FONDAZIONE PRADA

Fotogramma da Hairy Who? & the Chicagi Imagists, un  documentario di Leslie Buchbinder 

 

E’ disponibile su Vimeo  Hairy Who?& the Chicagi Imagists (2015)un bel documentario che la Fondazione Prada ha presentato in occasione dell'apertura delle tre esposizioni. Attraverso immagini di repertorio, accurate visualizzazioni di moltissime opere ed interviste realizzate oggi sia a molti Chicago Imagists sia ad artisti delle genarazioni successive che a loro sono debitori in moltissimi sensi, la regista Leslie Buchbinder ricostruisce in modo approfondito la storia affascinante della Chicago School.  

 

20171512 fotogramma 2 documentario Hairy Who VORREI FONDAZIONE PRADA

Fotogramma da Hairy Who? & the Chicagi Imagists, una delle prime esposizioni all'Hyde Park Art Center.

 

Scrive Germano Celant:

“Rispetto agli artisti noti come Monster Roster (…) gli Imagists sono più cinici e disincantati. La presa di coscienza dell’estrema vastità di tragedie urbane e nazionali li spinge a rispondere con ‘deformazioni’ e rappresentazioni grottesche dell’essere umano. Evitano lo stato di denuncia, per offrire una sovversione visuale che contempli la distruzione del corpo, frammentato e spezzato: un rappresentare la vita nel suo sperpero di energie sessuali e carnali, dove il sangue scorre e l’ambiguità dell’esistere porta a trasformazioni disumane. Non si fissano su un discorso moralista, ma cercano di procedere svegli e attenti con l’ottica del rovesciamento ironico. Di fatto i ritratti di Nutt e Paschke, i freddi e metafisici paesaggi di Brown, gli intrecci contorti e molteplici dell’esistere femminile di Nilsson, i busti tagliati di Ramberg mettono in luce il sentirsi sollitari in un territorio sociale e urbano segnato dall’abiezione e dal disagio esistenziale.”

 

20171512 CHICAGO IMAGISTS VORREI FONDAZIONE PRADA

 

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Immagini della mostra “Famous Artists of Chicago. !965-1975”, Fondazione Prada, Milano 20 ottobre 2017 - 15 gennaio 2018.
Foto Roberto Marossi. Courtesy Fondazione Prada. Sopra dettaglio della sala centrale , sotto alcune opere di Ed Paschke.

 

Colme di sarcastici e dissacranti riferimenti alla sessualità e a tutti gli aspetti della contemporaneità, sempre filtrati da un forte soggettivismo, i Chicago Imagists si contrappongono all’oggettivismo quasi asettico dei contemporanei colleghi newyorkesi della Pop Art. 

Eseguite alla libera insegna della fantasia e delle più varie fonti ispiratrici, dal surrealismo all’Art Brut, dalla folk art ai fumetti e ai cartoni animati, dai richiami a personaggi eccentrici del mondo dello spettacolo, come Screamin' Jay Hawkins definito il Vincente Price nero, ai Freaks del capolavoro di Tod Browning del 1932 (in questi ultimi anni protagonisti anche in una delle serie tv di American Horror Story), i dipinti e gli oggetti dei Chicago Imagists sono spesso l’apoteosi della trasgressione, delle deformità e del kitsch.

 

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L’interpretazione primitiva degli urli primitivi di Screaming Jay Hawkins, noto come il Vincente Price nero, nel dipinto di Karl Wirsum. Fondazione Prada. Foto Elisabetta Raimondi

 

Una delle più famose interpretazioni della canzone  I put a spell on you di Screamin' Jay Hawkins

 

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L’attore statunitense noto come Schlitzie, uno dei protagonisti del film Freaks di Tod Browning qui in una scultura di di Karl Wirsum.
Fondazione Prada. Foto Elisabetta Raimondi

 

Sebbene trascurati dalla storia dell’arte come i loro predecessori, i Chicago Imagists hanno ispirato generazioni di artisti dediti a fumetti, cartoni, graffiti, street art e graphic art, e personaggi come Jeff Koons e Kaws, all’anagrafe Brian Donnelly, talmente eclettici da non poter essere classificati. Forse non è un caso che molte delle opere esposte alla Fondazione Prada provengono proprio dalle collezioni private dei due stravaganti artisti americani.

 

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20171512 jeff koons VORREI FONDAZIONE PRADA

Opere di Jeff Koons, uno dei più famosi artisti contemporanei che hanno dichiaratamente espresso il loro debito verso i Chicago Imagists. Due immagini dalla colossale mostra "Jeff Koons: a Retrospective" che il Whitney Museum of American Art di New York gli ha dedicato nel 2014. Foto Elisabetta Raimondi

 

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Gli autori di Vorrei
Elisabetta Raimondi
Elisabetta Raimondi
Disegnatrice, decoratrice di mobili e tessuti, pittrice, newdada-collagista, scrittrice e drammaturga, attrice e regista teatrale, ufficio stampa e fotografa di scena nei primi anni del Teatro Binario 7 e, da un anno, redattrice di Vorrei.
Ma soprattutto insegnante. Da quasi quarant’anni docente di inglese nella scuola pubblica. Ho fondato insieme ad ex-alunni di diverse età l’Associazione Culturale Senzaspazio.

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