20201604 il ritiro di bernie

La delusione e la tristezza per il ritiro di Bernie Sanders si mescolano all'indignazione per come il Moloch onnivoro del potere,  negli anni 60 rappresentato dai "Masters of War" di Bob Dylan, ha agito per neutralizzare la Rivoluzione Politica sandersiana per la seconda volta consecutiva. Ma la lotta non si fermerà perché, a dispetto di tutto, The Times They Are a-Changin'. 

 

Quando mercoledì della settimana scorsa Bernie Sanders ha annunciato il suo ritiro dalla campagna elettorale, le reazioni emotive  del  vasto popolo dei “Feel the Bern” hanno visto convivere sentimenti contraddittori.

Da una parte la delusione, l'impotenza e perfino la collera per una decisione per lo più non condivisa. Dall’altra il vedere Bernie annunciare quella sofferta decisione, in un lungo discorso per molti versi  commovente, è stato un colpo difficilmente incassabile senza cedere alle lacrime. Una reazione naturale per l’ improvviso senso di perdita, quasi simile a un lutto,  dettato dall’amore e dalla gratitudine che Bernie  si è conquistato per aver dato vita, sostanza e forza a una Rivoluzione Politica senza precedenti, che ha permesso a milioni di persone di prendere atto del loro valore intrinseco di essseri umani e di cominciare a lottare per quei basilari diritti che rendono la vita dignitosa. 

“The Times They Are A-Changing”, o no?

È vero che Bernie è ancora “in the ballot” nonostante la sospensione della campagna e nonostante l’endorsement   prematuro dato a Joe Biden nel lunedì dopo Pasqua, così come è vero che sta lavorando come un matto per rendersi utile nella guerra contro il combinato disposto di establishment + Coronavirus. Ed è soprattutto vero che il suo movimento continuerà  a lottare poiché la convinzione che  “The Times They Are A-Changin’ ”, come dice la canzone di Bob Dylan che insieme a “This Land Is Your Land”  di Woody Guthrie è l’inno che da cinque anni  accompagna tanti degli eventi legati a Bernie, è ormai una prospettiva a cui soprattutto per le generazioni più giovani non vogliono rinunciare. Tuttavia quel senso di perdita non sarà facile da colmare, soprattutto perché arrivato dopo speranze che nel mese di febbraio erano erano diventate quasi certezze. 

 

20201604 Bon Iver Per Bernie Sanders

Bon Iver, Horizon Center, Clive, Iowa, 31 gennaio 2020

 

Era  il 31 gennaio scorso quando Bon Iver, al secolo Justin Vernon, uno dei migliori rappresentanti dell’indi-folk americano (che in teoria si dovrebbe esibire a Milano al Forum di Assago il prossimo novembre) cantava The Times They Are A-Changin a un evento in Iowa. Ne aveva modificato alcuni versi, in cui invitava senatori e deputati a rispondere alla chiamata di Bernie, a non rimanere inerti osservatori sulla porta ma ad aprire i loro cuori al cambiamento. Mancavano solo tre giorni al caucus dell’Iowa, consueto primo stato chiamato ad esprimersi, e Bernie è intervenuto solo  telefonicamente in quanto trattenuto in Senato per l’impeachment di Trump.  

La serata è stata comunque bellissima. C’erano Michael Moore, Ilhan Omar, Rashida Tlaib, Pramila Japal, la dolce Jane Sanders e la dinamitarda Nina Turner e l’entusiasmo delle persone era alle stelle. Oltre alle sue bellissime canzoni Bon Iver ha fatto anche With God on Our Side”, un'altra cover di Bob Dylan in in onore di quella Rivoluzione Politica che in quei giorni sembrava davvero avviarsi verso la vittoria. 

 

20201604 Michael Moore 31 gennaio 2020 Iowa

20201604 Nina Turner e .Jane Sanders 31 gennaio 2020 Iowajpg

Michael Moore e sotto Nina Turner con Jane Sanders,  31 gennaio 2020, Horizon Center, Clive, Iowa. 

Ora che quei giorni sembrano lontanissimi, si stanno a fatica ridefinendo le strategie per far sì che non si debbano aspettare altri quattro anni nell’attesa che qualcuno  o qualcuna  sia in grado di prendere il testimone di Bernie, proprio come Bob Dylan prese quello di Woody Guthrie, per tentare di nuovo la sfida all’establishment.

Andrew Cuomo potrebbe essere la carta da giocare nel caso i problemi mentali di Joe Biden dovessero peggiorare.

Un establishment che per le presidenziali 2024 potrà essere verosimilmente rappresentato, in campo democratico, da Andrew Cuomo che oggi, come ho raccontato su Jacobin Magazine, tutti celebrano come un vero leader per l'attenzione mediatica che la sua gestione dell'emergenza pandemica nello stato di New York sta ricevendo. Sempre che non si ricorra a lui  già tra qualche mese per sostituire Joe Biden, nel caso un ulteriore crollo mentale dell’ex-vicepresidente di Obama dovesse rendere impossibile continuare la pantomima ora in atto, che cerca di tenerlo quanto più possibile lontano dalle telecamere e dai discorsi a braccio.

Le ridicole proposte di Biden agli elettori di Sanders  

Buona parte dell'elettorato di Bernie Sanders non è disposto a concedere a Biden il suo voto senza trattative concrete.

Intanto  gli appelli che Biden, o chi per lui, ha lanciato immediatamente dopo il  ritiro  di Sanders per tentare di accaparrarsi il suo elettorato, in particolare quello giovanile più impegnato nella lotta attiva e non più disposto a credere a false promesse, dovranno avere riscontri concreti, messi nero su bianco prima del voto di novembre.

Quegli elettori  sanno  perfettamente che, nel caso Trump vinca, tutte le colpe saranno riversate su Sanders e sui suoi sostenitori, proprio come fu nel 2016 nonostante la quarantina di comizi che il senatore fece per Hillary Clinton. Quegli elettori sono però altresì consapevoli del fatto che senza preventivi negoziati precisi, il loro voto  conterà come il due di picche una volta che Biden dovesse diventare presidente.

Un insulto la proposta di Joe Biden sull'estensione del Medicare ai cittadini sopra i 60 anni.

Quanto alle  prime proposte che Biden ha presentato via tweet venerdì  scorso, non sembrano andare nella direzione auspicata, anzi sembrano proprio delle prese in giro, soprattutto per quanto riguarda il punto numero uno alla base della piattaforma sandersiana, il Medicare for All. Anche senza considerare il momento contingente, in cui nel paese più ricco del mondo il coronavirus sta facendo stragi soprattutto nelle classi più povere di latinos e afroamericani, la proposta di abbassare da 65 a 60 anni l’età per rientrare nel piano del Medicare, già in atto per la popolazione anziana, è un insulto. Perfino Hillary Clinton quattro fa aveva  proposto di abbassare la soglia a  50 anni.

 

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Più interessante sarebbe la cancellazione del debito studentesco e l’accesso gratuito  alle università e ai college pubblici per famiglie con un reddito annuale inferiore a circa 115-120.000 dollari, se non fosse che un piano simile, approvato in pompa magna da Andrew Cuomo nel 2017 nello stato di New York, ha già mostrato tutti i limiti, o meglio tutte le gabole, che ci stanno dietro.

L'università pubblica gratuita può rivelarsi un imbroglio per i più poveri e per le minoranze etniche, come nello stato di New York governato da Andrew Cuomo.

Rimandando questo approfondimento, così come quello della doppia faccia di Andrew Cuomo, ad un’occasione più consona ad ospitare la lunga serie di documentazioni che lo riguardano, mi limito a far cenno ad alcune interviste raccolte a New York due anni fa, in occasione della campagna nella quale Cynthia Nixon aveva sfidato il governatore in corsa per la sua terza elezione consecutiva. Tra di esse quelle a giovani attivisti che aiutavano gli studenti a compilare la mole di questionari e a muoversi tra il ginepraio di ostacoli che di fatto impediscono alla quasi totalità degli studenti meno abbienti e delle minoranze etiche  di accedere al piano. 

Una vicepresidenza progressista è possibile?

Ben più consistenti sono dunque le richieste  che i sandersiani  non disposti ad ubbidire all’ordine “Vote blue no matter who!”  si aspettano per dare il loro voto a Biden.

Dare  la  vicepresidenza a Nina Turner potrebbe essere il punto di incontro che permetterebbe a Biden di avviarsi con sicurezza alla Casa Bianca.

In particolare la vicepresidenza e/o la partecipazione alla compagine di governo di progressisti reali contestualmente all'esclusione di quei politici finanziati da corporation e Wall Street. Dato che Bernie è ormai fuori gioco per la vicepresidenza, affidare la carica a Nina Turner potrebbe ad esempio essere il punto di incontro che permetterebbe a Biden di avviarsi con sicurezza alla Casa Bianca. Così come lo sarebbe dare cariche ministeriali importanti a persone come Ro Khanna, Pramila Japal, Rashida Tlaib, tanto per fare solo alcuni nomi.

 

20201604 Nina Turner 31 gennaio 2020 Iowa

20201604 Rashida Pramila e Ilhan 31 gennaio 2020 IowaNina Turner e sotto Rashida Tlaib, Pramila Japal e Ilhan Omar, 31 gennaio 2020, Horizon Center, Clive, Iowa.

 

Purtroppo però  tra i vertici del partito democratico e i suoi elettori, compresi i milioni di persone che in buona fede credono che l’amministrazione Biden sarà la manna dopo quella di Trump, c’è un abisso. 

L'establishment democratico ha dimostrato che è di gran lunga preferibile un secondo mandato di Trump a un qualsiasi tipo di intromissione "socialista" nel governo.

Ed è quindi inverosimile che quel gruppo plutocratico che da quarant’anni a questa parte ha sempre più affinato le sue tecniche, rendendo sostanzialmente uguali i centri di controllo dei due partiti nella difesa dei propri interessi economico-finanziari, possa anche solo considerare l’idea di una intromissione “socialista” nel circolo del potere. Come quattro anni fa, il finto entourage liberal dei vertici democratici e dei suoi media ha  dimostrato che l’elezione di Trump era di gran lunga preferibile a quella di Bernie. E quello stesso entourage è già pronto anche quest’anno a lasciare campo libero a Trump, incurante persino della imprevedibile situazione pandemica che ha reso la competizione elettorale, già di per sé così piena di meschini espedienti e colpi di scena, simile ad una allucinante storia di fantapolitica criminale. 

L'ipocrisia di Barack Obama

A tutt'oggi nessuno tranne Bernie, nemmeno il grande burattinaio Barack Obama che due giorni fa ha dato il suo endorsment a Joe Biden e ha sfoderato tutta la sua ipocrisia nell'eleogio di Bernie,  dopo averne orchestrato nell'ombra la distruzione con la grande ammucchiata intorno a Biden, si è espresso a favore del Medicare for All.

Dicendo che i tempi sono cambiati rispetto a quando lui era presidente e che bisogna dunque accogliere nuove proposte che siano audaci, ha riproposto esattamente quella Public Option, ossia l'accesso per tutti l'accesso alle assicurazioni private, non completamente andata in porto durante la sua presidenza.  Nemmeno Obama dunque,  tuttora venerato come un dio da moltissimi americani per motivi che hanno più a che vedere con la propaganda che con  politiche di giustizia sociale,  si è lasciato toccare dalle tante tragedie che un sistema sanitario pubblico avrebbe potuto evitare, soprattutto tra gli afroamericani. Basti pensare che nell'Illinois della sua Chicago, più del 70% dei decessi è avvenuto nella popolazione di colore che rappresenta solo il 15% degli abitanti. 

Da “The Times They Are A-Changing” a “Masters of War”

 Adesso che l’onnivoro Moloch del potere sembra avere ingoiato un’altra volta le speranze in quel cambiamento di cui gli Stati Uniti sarebbero potuti essere il portabandiera,  e che la situazione della pandemia ci costringe quotidianamente a  prendere atto di tutte le efferatezze  di un sistema internazionale sempre più ingordo e disumano,  è difficile resistere allo sconforto. 

“Master of War”, la canzone più realistica, spietata e dissacrante, con quell’inosato paradosso della strofa finale, che sia mai stata scritta contro le guerre  e contro i  circoli del potere che le sostengono e le finanziano.

E così, forse, più che a “The Times They Are A-Changing” può essere utile ricorrere ad un altro insuperato testo di Bob Dylan per trarre non solo la forza e l’energia, ma anche il disprezzo e la rabbia che ugualmente servono per continuare a combattere, negli Usa come altrove. Non ci sono parole di speranza in “Master of War”, la canzone più realistica, spietata e dissacrante, con quell’inosato paradosso della strofa finale, che sia mai stata scritta contro le guerre  e contro i  circoli del potere che le sostengono e le finanziano. Era il 1963 quando Dylan la scrisse e  la guerra era quella del Vietnam, ma la potenza di quel testo va ben oltre quei confini temporali e spaziali, universalizzando una realtà che nei decenni successivi si è resa ancora più avida, ingorda e criminale di quella di allora. 

Più viva che mai è dunque l’attualità di  quelle parole così crude, che si imprimono nella mente come delle fotografie, con “i conti dei morti che salgono”, parole che in questi giorni di emergenza mondiale sentiamo ripetere milioni di volte. Oppure con “il sangue che fluisce dal corpo dei giovani  per venire sepolto nel fango”, metafora che estende la morte in guerra alle tante  morti provocate, e non solo al tempo del Coronavirus, dall’inadeguatezza di sistemi sanitari sempre più alla mercé di tagli alla sanità, privatizzazioni, assicurazioni, potentati farmaceutici. O ancora con le paure dei giovani di “mettere al mondo dei figli”,  e non solo per le tante  guerre di regime change ma per il climate change, che avanza inesorabilmente grazie alla connivenza delle corporation del combustibili fossili e della grande industria agricola con il potere politico. E sebbene l’elenco delle potrebbe continuare a lungo, la cosa migliore è dare voce alla voce e alle parole del  giovanissimo Bob Dylan

Traduzione di "Masters of War"

Venite avanti, voi, padroni della guerra, voi che costruite i grossi cannoni, voi che costruite gli aeroplani di morte, voi che costruite tutte le bombe, voi che vi nascondete dietro i muri, voi che vi nascondete dietro le scrivanie, voglio solo che sappiate che io riesco a vedere attraverso le vostre maschere. 

Voi, che non averte fatto altro che costruire per distruggere, voi giocate col mio mondo come se fosse il vostro giocattolino.  Mi mettete un fucile in mano e poi vi nascondete dai miei occhi e vi voltate e scappate lontano quando le pallottole corrono veloci.

Come il vecchio Giuda voi mentite e ingannate. Volete che io creda che una guerra mondiale si può vincere, ma io vedo attraverso i vostri occhi e vedo attraverso le vostre menti, proprio come vedo attraverso l’acqua che scorre nel mio scarico.

Voi caricate tutte le armi con le quali gli altri spareranno, e poi vi mettete da parte e state a guardare mentre il conto dei morti sale. Vi nascondete nelle vostre ville mantre il sangue dei giovani fluisce dai loro corpi e vine sepolto nel fango.

 Voi avete instillato la peggior paura che si possa infondere, la paura di mettere a mondo dei figli. Per aver minacciato il mio bambino, mai nato e senza nome, voi non siete nemmeno degni del sangue che scorre nelle vostre vene.

Che cosa ne so io per parlare senza che mi venga richiesto? Potete dire che sono giovane, potete dire che non sono istruito, ma c’è una cosa che so, sebbene sia più giovane di voi, che nemmeno Gesù perdonerebbe mai quello che fate.

 Lasciate che vi faccia  una domanda, i vostri soldi valgono così tanto da comprarvi il perdono?  Pensate  davvero che possano farlo? Io credo che scoprirete, quando la Morte vi chiederà il suo pedaggio, che tutti i soldi che avete fatto non serviranno per ricomprarvi l’anima.

E spero che voi moriate, e che la vostra morte arrivi presto. Io seguirò la vostra bara in un pallido pomeriggio e starò a guardare finché non verrete calati nel vostro letto di morte e imarrò sulla vostra tomba finché non sarò sicuro che siete morti per davvero.

 

Gli autori di Vorrei
Elisabetta Raimondi
Elisabetta Raimondi
Disegnatrice, decoratrice di mobili e tessuti, pittrice, newdada-collagista, scrittrice e drammaturga, attrice e regista teatrale, ufficio stampa e fotografa di scena nei primi anni del Teatro Binario 7 e, da un anno, redattrice di Vorrei.
Ma soprattutto insegnante. Da quasi quarant’anni docente di inglese nella scuola pubblica. Ho fondato insieme ad ex-alunni di diverse età l’Associazione Culturale Senzaspazio.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.