20172511 mark twain ritratto di Ignace Spiridon vorrei

Nello stratificato romanzo che Hemingway considerava il capostipite della letteratura americana moderna, ma che in patria è ancora oggetto di censure, l’antirazzismo spontaneo del ragazzino emarginato e senza regole prevale sulla morale razzista della società civile, confezionata combinando legge e religione.

E va bene, allora, andrò all’inferno!” dice Huckleberry Finn al culmine di un tormentato conflitto interiore in alcune delle più belle pagine mai scritte, che riportiamo in coda all’articolo in lingua originale e nella traduzione di Giovanni Baldi.

Siamo nel trentunesimo capitolo, intitolato I bugiardi non possono pregare, di Le avventure di Huckleberry Finn, il romanzo che Samuel Langhorne Clemens e il suo più noto alter ego Mark Twain scrissero tra il 1876 e il 1884. Il romanzo dal quale, disse Ernest Hemingway, deriva tutta la letteratura americana moderna”, ma che in patria continua ad essere oggetto di attacchi censori che, più o meno apparentemente motivati da ragioni differenti, lo hanno accompagnato fin dalla sua uscita.

L’appiglio delle istituzioni  che ancora oggi lo vogliono rimuovere da curricula scolastici e biblioteche, così come accade per  Il buio oltre la siepe (To Kill a Mockingbird, 1960) di Harper Lee ambientato nell'Alabama del 1936, è il ripetuto uso della parola nigger.  Vocabolo di uso comune ai tempi di Mark Twain, ha assunto una connotazione  sempre più dispregiativa e fortemente offensiva soprattutto dalla metà del secolo scorso, tanto  che per farvi riferimento ormai si adotta l'espressione n-word

20172511 bando di huck e mockingbird 2016 washington post vorreiIl problema è che quel termine viene spesso subdolamente strumentalizzato per celare ben diverse motivazioni. In sostanza, come affermano studiosi ed educatori indistintamente bianchi e afroamericani, si approfitta di lamentele anche di genitori di studenti di colore sentitisi a disagio per l'uso del termine, presumibilmente perché non supportati da bravi insegnanti in grado di contestualizzare quei romanzi in tutte le loro componenti, per imbastire operazioni il cui  obiettivo è il bando di libri scomodi in quanto profondamente antirazzisti. Rimuovere da scuole e biblioteche testi così importanti  o rieditarli, come è successo ad Huckleberry Finn nel 2011 sostituendo la parola nigger con slave (che non è neppure sinonimo) e arrogantemente violando uno dei più grandi autori della letteratura mondiale, significa  falsificare la realtà.  Significa  riscrivere la storia,  cancellandone quelle parti che risultano imbarazzanti per una società che non è disposta a fare i conti con gli errori del passato. Significa   avvicinarsi pericolosamente al "Miniver" di 1984 di George Orwell, il Ministero della Verità che inventava, eliminava o  modificava fatti e  notizie a seconda dell'opportunità del momento. Significa inoltre sollevare gli insegnanti dagli inderogabili diritti-doveri di parlare onestamente di scottanti realtà storiche, aiutando i ragazzi ad affrontare nel modo giusto le complesse e mai risolte questioni morali legate alla razza e alla schiavitù.  

Se le questioni razziali pervadono tutto il romanzo di Mark Twain, è in quel trentunesimo capitolo che esse trovano la loro espressione più alta, incisiva e commovente.

 

20172511 all right then ill go to hell manuscript raimondi 
Frammento  del manoscritto di Mark Twain con la frase "All right, then, I'll go to hell"

 

Huck è solo, sulla zattera ormeggiata sul Mississipi, nascosta tra la boscaglia nello stato dell’Arkansas, in prossimità della fattoria Phelps, dove si trova il suo amico Jim.

20172511 Huckleberry thinking prima edizione vorrei Huck è solo e pensa. Pensa talmente tanto  che gli viene il mal di testa. Ma non può smettere, perché la decisione che deve prendere non può più essere rimandata e una volta presa sarà definitiva. Ed è la cosa più difficile che nei tredici anni circa della sua vita gli sia mai capitata. Eppure di situazioni difficili lui, il ragazzino cresciuto allo stato brado nei boschi attigui alla cittadina di St. Petersburg, Missouri, con un padre ubriacone che faceva dentro e fuori dalla prigione, ne ha vissute a bizzeffe, tanto che alla fine è dovuto scappare via da quell’uomo che per poco non lo ammazzava a colpi di accetta. Ormai irrimediabilmente compromesso dall’alcol, Mr. Finn aveva scambiato Huck per l’Angelo della Morte e, nonostante le allucinazioni, era ancora sufficientemente lucido da sapere che di morire non ne aveva nessuna intenzione. Così aveva cominciato a tirare colpi su colpi che Huck era riuscito ad evitare solo grazie alla sua agilità.

E’ solo sulla zattera Huck, perché quello è il suo rifugio. Veramente più che un rifugio è una casa. L’unica veramente tutta loro che Huck e Jim abbiano mai posseduto. E quanti ricordi custodisce. Spaventose nottate con il Mississippi immerso in fitte coltri di nebbia, oppure in burrasca per le tempeste di pioggia e vento in cui per poco i due compagni di viaggio non ci lasciavano le penne. Ma soprattutto meravigliose notti stellate passate a navigare lungo il grande e magico fiume, sdraiati a guardare il cielo, fumando in silenzio oppure chiacchierando. Nottate in cui Huck, sorpreso e divertito, aveva imparato da Jim le più bizzarre superstizioni della sua gente, ed altre in cui lo aveva ascoltato raccontare intimi episodi della sua vita. Come quella volta in cui Jim aveva picchiato la sua bambina piccola perché non gli ubbidiva, salvo poi scoprire che la bimba era sorda. I sensi di colpa, lo strazio di Jim in quella occasione erano stati una rivelazione per Huck. Non ci aveva riflettuto molto lì per lì, ma qualcosa era scattato.

 

20172511 Saint Louis 2 Huckleberry Finn raimondi vorrei

Il Mississippi a Saint Louis, Missouri, che Huck e Jim attraversano la quinta notte del loro visggio. 

 

Viaggiavano di notte Huck e Jim, due clandestini in fuga da situazioni differenti ma ormai divenute insostenibili per entrambi. Viaggiavano di notte, almeno fino all’incontro con quei due farabutti che si spacciavano per il Delfino di Francia e per un duca. Impadronitisi della zattera, il Re e il Duca avevano costretto Huck e Jim a fare da complici alle loro truffe, sempre finite in malo modo, con il risultato che da ogni luogo dove si fermavano dovevano darsela a gambe levate fino alla zattera per rimettersi in viaggio. Ma quello che il Re aveva combinato questa volta era l’azione più ignobile che potesse compiere. Per "quaranta sporchi dollari" aveva venduto Jim, che ora si trovava rinchiuso in una capanna della fattoria Phelps.

Jim però sapeva di valerne 800 di dollari. L’aveva sentito dire di nascosto da Miss Watson, la sua padrona di St. Petersburg, che voleva venderlo per quella cifra ad un mercante di schiavi che l’avrebbe portato nel profondo sud per rivenderlo al proprietario di una piantagione di cotone. 

20172511 taglia su Jim wanted huckleberry finn vorreiEra stato colto dal panico Jim, a quella notizia. Sarebbe stato separato da sua moglie e dai suoi bambini. Piuttosto la morte. Ecco perché era fuggito. Inizialmente si era rifugiato sull’isolotto disabitato di Jackson, sul Mississippi,  dove avrebbe deciso cosa fare. E proprio lì aveva incontrato Huckleberry Finn, che quasi contemporaneamente aveva scelto l’isola come temporanea boa di salvataggio, dopo la fuga dalla capanna dove suo padre lo teneva prigioniero e aveva cercato di ucciderlo. Furbo com’era Huck era riuscito ad inscenare la sua morte in modo tale che sembrasse un omicidio, sebbene senza cadavere, e che la colpa ricadesse su suo padre. Ma questi si era presentato alle autorità di St. Petersburg e aveva giurato di essere innocente e così la colpa del presunto assassinio o del sanguinoso rapimento era ricaduta su Jim. Persino un bianco alcolizzato dalla carriera criminale del signor Finn meritava più credibilità di uno schiavo che in vita sua non aveva mai fatto male nemmeno a una mosca.

Si conoscevano già Huck e Jim, perché la sua proprietaria Miss Watson  era andata a vivere con la sorella, la vedova Douglas, che aveva adottato Huck alla fine del libro Le avventure di Tom Sawyer, di cui Huckleberry era uno dei personaggi principali. In quel romanzo pubblicato nel 1876, Tom e Huck avevano trovato un tesoro ed erano diventati ricchi. I soldi però erano in banca in attesa della loro maggiore età. In seguito a quella vicenda la vedova Douglas aveva deciso di “civilizzare” Huck, che viveva ormai solo dopo che suo padre era sparito senza lasciare traccia.

Ma, come Huck ci racconta nelle prime pagine del nuovo libro, per il quale a differenza dell’altro Mark Twain sceglie una rivoluzionaria prima persona singolare che si esprime in modo tanto colorito quanto sgrammaticato, lo stile di vita impostogli dalle due sorelle proprio non gli andava giù. Il divieto di fumare, dire parolacce e sputare, le prediche della petulante Miss Watson, la scuola, l’acqua e il sapone, i vestiti eleganti e le scarpe, il cibo a tavola e con le posate, il letto per dormire, le preghiere, la Bibbia, le funzioni religiose, la scuola domenicale di catechismo...
Quel periodo di prigionia, durato fino a quando il signor Finn avido dei soldi del figlio si era rifatto vivo e aveva lo rapito, era durato abbastanza perché Huck imparasse a leggere, a scrivere, a fare di conto e soprattutto ad apprendere le norme di comportamento della “società civile” così in sintonia con quelle della “comunità cristiana” frequentata da tutte le persone per bene di St. Petersburgh. Non che gli importasse di rispettare molte di quelle regole, appena poteva le infrangeva, tuttavia gli insegnamenti religiosi, con quelle immagini così vivide dell’inferno dove finivano i peccatori, gli erano penetrate più o meno consapevolmente nel profondo.

Tra i peccati che spedivano dritti all’inferno, dare aiuto a uno schiavo fuggitivo era in cima alla lista. Per di più c’era una totale complicità tra la legge di Dio e quella degli uomini, perché quell’azione non solo portava alla dannazione nella vita eterna ma anche alla prigione nella vita terrena.

20172511 Huckleberry Finn e Jim prima edizione vorreiTuttavia quando si era trattato di organizzare la fuga dall’isola di Jackson, ormai divenuta insicura per i due compagni di sventura che lì avevano trascorso bellissimi giorni all’insegna della libertà, Huck non ci aveva proprio pensato alla criminalità del suo comportamento. Era ovvio che la fuga dovesse riguardare entrambi. Avevano riempito la canoa con la quale Huck aveva raggiunto l’isola di tutte le cose utili che erano riusciti a raccattare, l’avevano legata ad una zattera organizzata con tanto di tenda indiana per ripararsi e avevano dato il via al loro viaggio.

L’intenzione era arrivare fino a Cairo, alla confluenza con il fiume Ohio, che Jim avrebbe risalito per raggiungere uno stato libero dove avrebbe lavorato e messo da parte i soldi per poi tornare nel Missouri a riscattare la sua famiglia. 

Ma l’escamotage della fittissima nebbia, sopraggiunta proprio in concomitanza con il punto di incontro dei due fiumi, aveva fatto sì che Huck e Jim proseguissero ignari lungo il Mississippi dove avrebbero incontrato il Re e il Duca.
Ciò avrebbe permesso a Mark Twain di continuare ad ambientare le vicende in luoghi di cui conosceva benissimo non solo la configurazione naturale, ma anche, e soprattutto, la composizione, la mentalità e le condizioni di vita della popolazione, dagli anni che precedevano la Guerra Civile a quelli successivi alla Ricostruzione.

 

20172511 map huckleberrys journey Everett Henry vorrei

Una mappa dell'itinerario di Huck e Jim realizzata nel 1959 da Everett Henry e conservata alla Library of Congress di Washington

 

Non solo Mark Twain in gioventù aveva pilotato i battelli a vapore sul Mississippi, ma circa vent’anni dopo aveva ripercorso il fiume come viaggiatore. Lo aveva fatto ad un certo punto del lunghissimo periodo di interruzione della stesura di Huckleberry Finn, non riuscendo a capire quale piega dovesse prendere quel romanzo, in teoria iniziato come la prosecuzione de Le avventure di Tom Sawyer ma fin da subito trasformatosi in qualcos’altro. 

Le nuove esperienze di viaggio, durante le quali  aveva verificato di persona il caos estremo in cui versavano gli stati del sud dopo il ritiro delle truppe federali e la sostanziale vanificazione della libertà ottenuta dagli schiavi nella Guerra Civile, erano sfociati da una parte nel libro Vita sul Mississippi (1873)  e  dall'altra nella ripresa del romanzo messo da parte per ben cinque anni.
La foga e l'ispirazione  quasi automatiche con cui si rimise al lavoro diedero così una nuova vitalità a quel romanzo che qualche decennio dopo non solo ErnesHemingway ma anche Francis Scott Fitzegerald e Thomas Stern Eliot, tanto per stare sullo stesso calibro di scrittori a lui contemporanei, avrebbero poi salutato come il primo autentico, sovversivo e rivoluzionario romanzo della letteratura americana.

La continuazione del viaggio lungo il fiume, che T.S. Eliot vede come l’altro grande protagonista del libro, avrebbe inoltre permesso ad Huck e Jim di cementare sempre più quella relazione che, da iniziale complicità di due sventurati, si trasforma in un legame sempre più profondo.

Huckberry è intimamente sdoppiato, dovendo scegliere tra un Bene e un Male che nella sua coscienza hanno una corrispondenza ribaltata rispetto a quella della "società civile" e della "comunità religiosa".

Eppure è proprio durante il viaggio che con il crescere dell’amicizia e dell’affetto si fanno paradossalmente strada in Huck anche dei conflitti difficilissimi da gestire. Sensazioni disturbanti che nulla hanno a che fare con l’autenticità dei suoi sentimenti per Jim ma che tuttavia sembrano fatti apposta per minarli. Contraddizioni che sdoppiano Huck intimamente, mettendolo di fronte a questioni più grandi di lui, dalle quali cerca di rifuggire per evitare quella lacerazione che, se da una parte lo fa star male, dall’altra lo eleva al di sopra dei personaggi delle varie comunità con cui viene in contatto. 

Pur avendo Huck frequentato St. Petersburg (nome fittizio per Hannibal, la cittadina natale dell’autore) per la maggior parte della sua vita solo come il bambino emarginato, sporco e bugiardo che spuntava dai boschi per giocare con i coetanei, aveva potuto assimilarne le convinzioni sui “negri”. Che fossero esseri non del tutto umani, privi di sentimenti, incapaci di provare affetti anche per i propri familiari, e tuttavia abbastanza furbi da escogitare di tutto pur di non lavorare, non erano solo le convinzioni dei cittadini rispettabili ma anche quelle di suo padre, che nella scala sociale dei bianchi di St. Petersburg si trovava all’ultimo posto. Quando poi nel mondo civile ci aveva vissuto dall’interno come figlio adottivo della vedova Douglas, Huck aveva constatato come quelle certezze avessero anche un severissimo corrispettivo religioso-legislativo.

Eppure quanto più Huck conosceva Jim e quanto più gli si affezionava, inconsapevolmente trovando in lui quella figura di padre amorevole e generoso che non aveva mai avuto, tanto più si rendeva conto che la sua umanità contraddiceva le convinzioni comuni.

“Penso che a Jim la sua famiglia gli manca proprio come ai bianchi. Sembra impossibile eppure penso che è davvero così.”

Commenta Huck ad un certo punto del viaggio, quasi incredulo nel vedere quanto Jim soffra e pianga di nascosto per la lontananza dai suoi bambini. Tuttavia pur avvicinandosi sempre più alla percezione che le verità asserite sui neri non fossero poi così vere e a dispetto delle conclusioni a cui lo portavano istinto, cuore e ragione, tutte le prediche ascoltate a catechismo si facevano vive per tormentarlo, mettendolo di fronte alla scelta tra un Bene e un Male che dentro di lui trovavano una corrispondenza sempre più ribaltata.

Così tra tentazioni di denunciare Jim, per mettersi a posto con legge e religione, e decisioni istintive che glielo avevano impedito, Huck ce l’aveva fatta a convivere con i suoi conflitti, soprattutto dopo che l’incontro con il re e il duca aveva posto tanto a lui quanto a Jim altre priorità. Ma ora, su quella zattera, con Jim in procinto di essere venduto, non c’è più tempo per eludere il dilemma.

20172511 Ernest Hemingway Huckleberry Finn vorreiSiamo al culmine morale del romanzo, e anche a quella che sarebbe potuta essere la sua conclusione, almeno secondo quanto ebbe a dire lo stesso Ernest Hemingway (foto a destra). Pur considerando il libro  il capostipite della lettaratura americana moderna e l'ancora ineguagliato miglior romanzo che l'America avesse mai prodotto, Hemingway consigliava di interromperne la lettura prima dei dodici capitoli finali, che sono “soltanto imbrogli”.

In effetti ciò che avviene dopo le bellissime pagine che portano Huck alla decisione di autocondannarsi alla dannazione eterna pur di non tradire Jim, sembra non avere più nulla a che fare con la parte precedente del libro.

La piega che ora prende lo fa precipitare nella convenzionalità del romanzo di avventure alla Tom Sawyer, a sua volta ricalcato su romanzi ottocenteschi di cui il ragazzo, come lo stesso Samuel Clemens alla sua età, era divoratore. L’inaspettato incontro con Tom, nipote dei Phelps che dal Missouri giunge alla fattoria poco dopo l’arrivo di Huck, è l’espediente che permette questa svolta.

Tom prende in mano la liberazione di Jim inventando piani elaborati e molto rischiosi per la salvezza dello schiavo, quando invece basterebbe rubare la chiave della capanna e aprire la porta. Ma poiché nei libri di avventura le cose non sono così semplici, Tom impone che si agisca altrimenti ed Huck, quasi cancellando con un colpo di spugna tutto quanto avvenuto tra lui e Jim durante il viaggio sul fiume, lascia fare. Eppure proprio Huck all’inizio del romanzo aveva abbandonato la “banda di rapinatori” messa su da Tom a St. Petersburg perché le avventure erano fasulle, “perché non si rubava e non si ammazzava nessuno, si faceva solo finta.” 

Allineandosi al comportamento di tutti gli adulti della fattoria, Huck non si arrabbia nemmeno quando alla fine del romanzo il giovane Sawyer rivela che Miss Watson era morta due mesi prima e che nel suo testamento aveva liberato Jim.
Tom ha dunque davvero usato Jim come un giocattolo, ad esclusivo uso e consumo del proprio divertimento, dimostrando una crudeltà gratuita  per la quale a nessuno viene in mente di punirlo.

Siamo alla conclusione del romanzo. Tom vuole che Huck torni a St. Petersburgh dove potranno mettere su una nuova banda per andare a cercare avventure in mezzo agli Injuns, i nativi americani, dimostrando di avere per loro la stessa considerazione che ha per i neri. Ma Huck non è interessato, se ne andrà per conto suo in Oklahoma per non correre il rischio che si continui nell'opera di “sivilize me”.

Le motivazioni per cui dopo il trentunesimo capitolo il romanzo abbia deviato in questo modo restano controverse nonostante le innumerevoli speculazioni fatte da studiosi e letterati.

20172511 t.s.eliot huckleberry finn vorreiNoi ci limiteremo a controbilanciare le opinioni di Hemingway con quelle di T.S. Eliot (foto a sinistra), che nel suo bellissimo saggio introduttivo a The Adventures of Huckleberry Finn, in cui tra l’altro paragona Huck a personaggi solitari della letteratura come Ulisse, Faust, Don Chisciotte, Don Giovanni e Amleto, difende la scelta finale operata da Mark Twain:

"Huck Finn deve arrivare dal nulla ed essere diretto nel nulla. Lui non rappresenta l’indipendenza del tipico o simbolico “Pioniere Americano”, ma l’indipendenza del vagabondo. La sua esistenza mette in dubbio i valori dell’America tanto quanto i valori dell’Europa; è un affronto allo “spirito pionieristico” come lo è alla “intraprendenza affaristica”; il suo è uno stato di natura distaccato, come quello dei santi. In un mondo dedito agli affari rappresenta il fannullone; in un mondo avido e competitivo si ostina a vivere alla giornata. Non potrebbe essere il protagonista di incontri amorosi o di fidanzamenti o di quelle conquiste giovanili che si addicono così bene a Tom. Non appartiene né alla Scuola Domenicale né al Riformatorio. Non ha inizio e non ha fine. Per cui, può solo scomparire; e la sua scomparsa può avvenire soltanto portando in primo piano un altro personaggio che ne oscuri la scomparsa in una nuvola di stravaganza."

Finale a parte, l’opinione che Huckleberry Finn abbia rappresentato “la prima volta” di tante cose nella letteratura americana è umanimemente condivisa.

20172511 F.S.Fitzgerald Huckleberry Finn vorreiFrancis Scott Fitzgerald (foto a destra) sottolineò come Huckleberry Finn sia stato il primo personaggio della letteratura americana “a guardarsi indietro, a fare un viaggio a ritroso nella storia e nella vita del suo paese, osservandone la società dall’interno.

“Fu il primo ad osservare la repubblica dalla prospettiva dell’ovest. I suoi occhi furono i primi occhi non provenienti da oltreoceano a guardarci in modo obbiettivo. C’erano montagne alla frontiera ma lui voleva molto più delle montagne da osservare con il suo sguardo irrequieto - voleva conoscere gli uomini e il loro modo di convivere.”

E quello che lo “sguardo irrequieto” di Huckleberry vide ha ben poco di positivo. Dietro l’apparente facciata del libro per ragazzi, ricco di situazioni comiche e volte grottescamente al limite del paradosso, c’è una spietata analisi della società.
Attraverso l'uso di una varietà di registri linguistici che rispecchiano fedelmente le parlate delle categorie etniche e sociali di riferimento dei personaggi, il lettore viene in contatto con una realtà che più autentica non potrebbe essere.

Se il sovversivo distacco dalla lingua scritta di stile europeizzante (usata fino a quel momento anche dai più grandi narratori americani, da Herman Melville a Nathaniel Hawthorne, da Edgar Allan Poe allo stesso Mark Twain dei romanzi precedenti) già di per sé forniva dei forti elementi di realtà, l’altrettanto sovversivo punto di vista affidato a quel giovane outsider della società aumentava esponenzialmente la concretezza delle situazioni descritte.

Il punto di vista affidato ad Huckleberry, giovane outsider della società, innocente hobo anticipatore di tanti vagabondi della letteratura successiva, è sovversivo. Huck, involontario ed inconsapevole sociologo, non giudica, semplicemente osserva e riporta quello che vede con una ricchezza di particolari che forniscono spaccati di vita iperrealisti.

 Innocente hobo, anticipatore di tanti vagabondi della letteratura successiva, di tanti ribelli incontaminati che non hanno modo di sopravvivere in una società fatta di ipocrisie e di compromessi, Huck non giudica, semplicemente guarda e immagazzina. Dotato per natura di una eccezionale capacità di osservazione e memorizzazione, Huck registra senza malizia, senza intenzioni critiche.

Ma la ricchezza di dettagli con i quali racconta nel suo modo semplice e diretto, con quella lingua così viva e concreta, fatta per lo più di coordinate messe insieme senza regole formali e grammaticali, fornisce degli spaccati di vita iperrealistici, in cui il quadro delle varie situazioni rappresentate appare in tutta la sua complessità, come fosse analizzato da un sociologo involontario.

Ecco allora emergere, oltre all’onnipresente razzismo verso i neri, le contraddizioni di quelle comunità religiose borghesi costituite di persone ragguardevoli, pronte a farsi le scarpe appena possono, il cui odio reciproco ferve dentro di loro nel momento stesso in cui in chiesa invocano a voce alta la carità cristiana e il perdono divino.

Ecco emergere altresì l’enorme disagio sociale che non affligge solo i neri, ma anche una cospicua fascia di bianchi la cui disoccupazione e la cui miseria ne fanno, a dispetto dell’American dream, degli emarginati, dei criminali e persino dei sadici che ingannano il tempo seviziando animali.

Ed ecco ancora emergere la positività del personaggio di Jim, che trionfa definitivamente sul finire del romanzo. Quando Tom viene ferito da un colpo di fucile durante quella inutile ed irresponsabile avventura della sua liberazione, Jim, ignaro di essere stato affrancato da Miss Watson, rinuncia alla fuga e resta con il ragazzo assistendolo fino all’arrivo del dottore,  pur sapendo che per lui la conclusione sarà inevitabilmente il ritorno allo stato di schiavitù. La sua sensibilità emerge ulteriormente nella resa dei conti finale, quando Jim sente di poter finalmente rivelare ad Huck una verità fino a quel momento tenuta nascosta:  il cadavere che poco dopo l’inizio del viaggio i due compagni in fuga avevano  trovato dentro una casa di legno semiaffondata, e che Jim aveva impedito ad Huck di guardare inventando una scusa, era quello Mr. Finn.

Jim è veramente l’unico adulto rispettabile di tutta la storia.

Per concludere, prima di lasciare spazio a quelle bellissime pagine del trentunesimo capitolo, un’ultima citazione, questa volta da Midnight in Paris (2011) di Woody Allen, in cui per la verità i gradi citazionistici si moltiplicano. Il personaggio interpretato da Owen Wilson, uno dei tanti alter ego di Woody da quando non ha più l’età per i ruoli nei quali si identifica, è un aspirante scrittore molto sognatore, in viaggio a Parigi con una fidanzata che non fa per lui e con i  di lei genitori,coppia fin troppo stereotipata di repubblicani doc. Durante una solitaria passeggiata notturna nei vicoletti dietro la Madeleine, Wilson accetta un passaggio su una macchina d'epoca, in realtà una porta magica che lo catapulta  in una ironica Parigi anni 20 dove entra in contatto con tutti i suoi miti letterari ed artistici. Tra di loro i tre estimatori di Mark Twain qui citati: T.S. Eliot, F.S. Fitzgerald ed E. Hemingway.

Quando Francis Scott e Zelda Fitzgerald presentano all’incredulo americano venuto  dal futuro un giovane Hemingway che, seduto a bere per conto suo in un locale boehmienne, gli chiede cosa pensi di Mark Twain,  il bell'Owen ne approfitta per spiattellare la celebre frase del suo interlocutore spacciandola per propria:

"Beh, in effetti io sono un grande ammiratore di Mark Twain. Anzi penso che si possa dire che tutta la letteratura  americana moderna derivi da Huckleberry Finn".

 

L'incontro tra il personaggio interpretato da Owen Wilson ed Ernest Hemingway, in cui il famoso scrittore parla di scrittura, guerra, morte e amore, esordisce con la famosa frase su  Huckleberry Finn.

 

 CAPITOLO 31

 

 Riportiamo ora in lingua originale e a seguire in italiano le pagine del Capitolo 31 in cui Huckleberry, solo sulla zattera aver scoperto che Jim è prigioniero nella fattoria dei Phelps, arriva alla sua  decisione. La traduzione italiana è di Giovanni Baldi per l’edizione Le avventure di Huckleberry Finn, Garzanti, 1992 (pp. 226-229).

 

Testo originale

I went to the raft, and set down in the wigwam to think. But I couldn't come to nothing. I thought till I wore my head sore, but I couldn't see no way out of the trouble. After all this long journey, and after all we'd done for them scoundrels, here was it all come to nothing, everything all busted up and ruined, because they could have the heart to serve Jim such a trick as that, and make him a slave again all his life, and amongst strangers, too, for forty dirty dollars.

Once I said to myself it would be a thousand times better for Jim to be a slave at home where his family was, as long as he's got to be a slave, and so I'd better write a letter to Tom Sawyer and tell him to tell Miss Watson where he was. But I soon give up that notion, for two things: she'd be mad and disgusted at his rascality and ungratefulness for leaving her, and so she'd sell him straight down the river again; and if she didn't, everybody naturally despises an ungrateful nigger, and they'd make Jim feel it all the time, and so he'd feel ornery and disgraced. And then think of me! It would get all around, that Huck Finn helped a nigger to get his freedom; and if I was to ever see anybody from that town again, I'd be ready to get down and lick his boots for shame. That's just the way: a person does a low-down thing, and then he don't want to take no consequences of it. Thinks as long as he can hide it, it ain't no disgrace. That was my fix exactly. The more I studied about this, the more my conscience went to grinding me, and the more wicked and low-down and ornery I got to feeling. And at last, when it hit me all of a sudden that here was the plain hand of Providence slapping me in the face and letting me know my wickedness was being watched all the time from up there in heaven, whilst I was stealing a poor old woman's nigger that hadn't ever done me no harm, and now was showing me there's One that's always on the lookout, and ain't agoing to allow no such miserable doings to go only just so fur and no further, I most dropped in my tracks I was so scared. Well, I tried the best I could to kinder soften it up somehow for myself, by saying I was brung up wicked, and so I warn't so much to blame; but something inside of me kept saying, "There was the Sunday school, you could a gone to it; and if you'd a done it they'd a learnt you, there, that people that acts as I'd been acting about that nigger goes to everlasting fire."

It made me shiver. And I about made up my mind to pray; and see if I couldn't try to quit being the kind of a boy I was, and be better. So I kneeled down. But the words wouldn't come. Why wouldn't they? It warn't no use to try and hide it from Him. Nor from me, neither. I knowed very well why they wouldn't come. It was because my heart warn't right; it was because I warn't square; it was because I was playing double. I was letting on to give up sin, but away inside of me I was holding on to the biggest one of all. I was trying to make my mouth say I would do the right thing and the clean thing, and go and write to that nigger's owner and tell where he was; but deep down in me I knowed it was a lie-and He knowed it. You can't pray a lie- I found that out.

So I was full of trouble, full as I could be; and didn't know what to do. At last I had an idea; and I says, I'll go and write the letter- and then see if I can pray. Why, it was astonishing, the way I felt as light as a feather, right straight off, and my troubles all gone. So I got a piece of paper and a pencil, all glad and excited, and set down and wrote:

Miss Watson your runaway nigger Jim is down here two mile below Pikesville and Mr. Phelps has got him and he will give him up for the reward if you send. HUCK FINN

I felt good and all washed clean of sin for the first time I had ever felt so in my life, and I knowed I could pray now. But I didn't do it straight off, but laid the paper down and set there thinking- thinking how good it was all this happened so, and how near I come to being lost and going to hell. And went on thinking. And got to thinking over our trip down the river; and I see Jim before me, all the time; in the day, and in the night-time, sometimes moonlight, sometimes storms, and we a floating along, talking, and singing, and laughing. But somehow I couldn't seem to strike no places to harden me against him, but only the other kind. I'd see him standing my watch on top of his'n, stead of calling me, so I could go on sleeping; and see him how glad he was when I come back out of the fog; and when I come to him agin in the swamp, up there where the feud was; and such-like times; and would always call me honey, and pet me, and do everything he could think of for me, and how good he always was; and at last I struck the time I saved him by telling the men we had smallpox aboard, and he was so grateful, and said I was the best friend old Jim ever had in the world, and the only one he's got now; and then I happened to look around, and see that paper.

It was a close place. I took it up, and held it in my hand. I was a trembling, because I'd got to decide, forever, betwixt two things, and I knowed it. I studied a minute, sort of holding my breath, and then says to myself:

"All right, then, I'll go to hell"- and tore it up.

It was awful thoughts, and awful words, but they was said. And I let them stay said; and never thought no more about reforming. I shoved the whole thing out of my head; and said I would take up wickedness again, which was in my line, being brung up to it, and the other warn't. And for a starter, I would go to work and steal Jim out of slavery again; and if I could think up anything worse, I would do that, too; because as long as I was in, and in for good, I might as well go the whole hog.

 

Traduzione italiana di Giovanni Baldi

 

Sono tornato alla zattera e mi sono seduto nel wigwam a riflettere. Però non sono arrivato a una decisione. Ho continuato a riflettere fino a farmi venire il mal di testa, ma non riuscivo a vedere una soluzione. Dopo tutto 'sto viaggio e dopo tutto quello che avevamo fatto per quei farabutti, tutto era finito in fumo, tutto era andato in rovina, perché avevano avuto il coraggio di fare a Jim una carognata simile, e riportarlo alla schiavitù per il resto della vita, e come se ciò non bastasse anche fra gente estranea, e tutto questo per quaranta sporchi dollari.

Una delle cose che mi sono venute in mente è stata che era mille volte meglio che Jim era schiavo nel paese dove stava la sua famiglia, visto che comunque doveva rimanere uno schiavo, e perciò facevo bene a scrivere a Tom Sawyer e a dirgli di dire a Miss Watson dove si trovava Jim. Ma presto ho scartato questa idea per due ragioni: perché se facevo così lei si sarebbe arrabbiata assai di quella canagliata di Jim e della sua ingratitudine nel lasciarla, e l'avrebbe subito venduto in qualche posto del Sud; e poi, anche se non lo vendeva, tutti disprezzano i negri ingrati, e gliel'avrebbero fatto sentire per sempre, a Jim, e per lui sarebbe stata una cosa bruttissima. E poi pensate a me!, Tutti sarebbero venuti a sapere che Huck Finn ha aiutato un negro a diventare libero, che se mi capitava d'incontrare qualcuno di quella città mi sentivo obbligato a buttarmi per terra a leccargli le scarpe per la vergogna. La vita è così: la gente fa le brutte cose e poi non vuole portarne le conseguenze. Però, se nessuno lo sa, non c'è niente di male. Ed era proprio questo il caso mio. Più ci pensavo, più la coscienza mi rodeva e mi sentivo un verme schifoso. E quando finalmente, mi viene in mente che lì c'era la mano della Provvidenza, che così mi aveva dato un bello schiaffone in faccia per farmi sapere che la mia cattiveria era stata vista dall'alto del cielo - e l'aveva fatto perché io stavo rubando il suo negro a una povera donna vecchia che non mi aveva fatto nessun male - e adesso mi dimostrava che c'è Qualcuno che ti vede sempre e che ti permette di andare solo fino a un certo punto nelle tue mascalzonate, beh, quando mi viene in mente questo, sono quasi cascato per terra dalla paura che ho provato. Ho fatto del mio meglio per giustificarmi dicendo che mi avevano educato male, e dunque non avevo tanta colpa, però qualcosa dentro di me continuava a dirmi: "C'era l'oratorio, e tu perché non ci sei andato? Se ci andavi, t'imparavano che la gente che fa come hai fatto tu con questo negro finiscono diritti nel fuoco eterno".

Mi sono venuti i brividi. E stavo quasi per mettermi a pregare, che magari così la piantavo di essere quello che ero e diventavo meglio. Allora mi sono inginocchiato, ma non mi venivano le parole. Perché? Era inutile cercare di nascondere le cose a Lui. E anche fare finta che io non ci capivo niente. Io lo sapevo benissimo perché le parole non mi venivano. Era perché il mio cuore non era a posto dentro di me; e non era a posto perché io non ero onesto, facevo il doppio gioco. Volevo fare credere che rinunciavo al peccato, ma dentro di me mi tenevo il peccato più grosso di tutti. Cercavo di costringere la lingua a dire che avrei fatto l'unica cosa giusta e pura - che sarei andato a scrivere alla padrona di quel negro per dirci dove lui stava -, ma nel mio profondo sapevo che quella era una bugia, e che Lui lo sapeva. E non si può pregare colle bugie.

Così ero nelle peste, e c'ero proprio bene, e non sapevo che fare. Alla fine ho un'idea, e mi dico che vado subito a scrivere la lettera, così vedo se poi riesco a pregare. Beh, mi sono sentito subito leggero come una piuma, calmo e tranquillo, senza più guai, e allora prendo un pezzo di carta e una matita, tutto felice ed eccitato, e mi metto a scrivere così:

Miss Watson, il vostro negro Jim è qui a due miglia sotto Pikesville, che lo ha beccato Mr. Phelps, e ce lo darà in cambio del premio che voi mandate. HUCK FINN

Allora per la prima volta in vita mia mi sono sentito senza peccati, e ho sentito che stavolta potevo pregare. Però non ho cominciato subito a pregare, ma ho messo giù il foglio e mi sono seduto a pensare - e ho pensato che era stato bello quello che era successo, che per poco non ero dannato e finivo all'inferno. Poi ho continuato a pensare, e mi sono ricordato del nostro viaggio lungo il fiume, e così mi vedo davanti Jim, a tutte le ore del giorno e della notte, qualche volta colla luce della luna, qualche volta coi temporali, e noi che continuavamo ad andare colla corrente, e parlavamo, e cantavamo, e ridevamo. Però non mi veniva in mente nulla contro di lui - tutto il contrario. Lo vedevo che continuava a fare il suo turno di notte invece di chiamarmi, così che io potevo dormire; lo vedevo così contento quando lo avevo ritrovato dopo il nebbione; e quando ero andato da lui nella palude, quella volta della faida; e altre occasioni del genere; e quando lui mi chiamava "tesoruccio", e mi accarezzava, e faceva l'impossibile per me, ed era sempre buono; e alla fine m'è venuta in mente quella volta che io l'ho salvato dicendo agli uomini che a bordo avevamo il vaiolo, che mi era stato così grato e aveva detto che io ero il meglio amico che il vecchio Jim aveva al mondo, e così mi è venuto in mente che adesso io sono davvero l'unico amico che lui ha; e poi, guardando in giro, vedo per caso il foglio.

Beh, devo proprio decidermi. Lo prendo su e lo tengo in mano. Tremavo perché dovevo scegliere fra due cose, ed era una scelta che facevo per sempre, e lo sapevo. Ci ho studiato per un minuto, che quasi non respiravo, e poi dico fra me:

«E va bene, allora andrò all'inferno!», e straccio il foglio.

Sto male, dopo che ho detto quelle parole terribili, ma ormai quello che è detto è detto, e non ci penso neanche a cambiare idea. Quella cosa lì me la tolgo proprio dalla testa, e quindi torno a fare il ragazzo cattivo, che mi riesce bene, mentre la vita del bravo ragazzo, beh, non è proprio una cosa che fa per me. Così, per cominciare libererò di nuovo Jim dalla schiavitù, e magari poi farò anche di peggio, perché già che ci sono voglio proprio darci dentro.

Gli autori di Vorrei
Elisabetta Raimondi
Elisabetta Raimondi
Disegnatrice, decoratrice di mobili e tessuti, pittrice, newdada-collagista, scrittrice e drammaturga, attrice e regista teatrale, ufficio stampa e fotografa di scena nei primi anni del Teatro Binario 7 e, da un anno, redattrice di Vorrei.
Ma soprattutto insegnante. Da quasi quarant’anni docente di inglese nella scuola pubblica. Ho fondato insieme ad ex-alunni di diverse età l’Associazione Culturale Senzaspazio.

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