La situzione italiana del variegato e controverso mondo di writing e street art in un'intervista a 360 gradi allo street artist Frode, all’anagrafe Domenico Melillo, avvocato difensore di molti artisti di strada e graffitari.
Ha 38 anni. Si chiama Domenico Melillo e fa l’avvocato. Ma si chiama anche Frode e fa lo street artist.
Non è propriamente un personaggio dalla distruttiva dicotomia stevensoniana del dottor Jekyll e Mr. Hyde o di quella dostoevskiana dei due Goljadkin de Il sosia, tuttavia la spiccata dualità è una delle caratteristiche che rendono Domenico “Frode” Melillo particolarmente interessante.
Non aveva ancora 13 anni quando nel 1993 ha cominciato a fare graffiti sui muri di Milano, scegliendo come pseudonimo Frode, un nome allora inconsapevolmente profetico del dualismo che avrebbe caratterizzato la sua vita futura.
Veterano dunque dell’arte di strada italiana, legale ed illegale, è anche un veterano nella difesa dei writer, che ha cominciato a rappresentare quando ancora era un praticante, una dozzina d’anni fa.
Impegnato nel sociale pur non disdegnando progetti con privati e gallerie, autore di pezzi in proprio ma anche a quattro o più mani con altri rinomati street artist italiani, Frode vanta un lunghissimo curriculum e numerosi lavori su muri italiani ed internazionali.
Due immagini del murales di circa 25 x 4 metri Urban Tweet, che Frode ha dipinto combinando i diversi stili che caratterizzano la sua produzione, in continua fase di elaborazione e ricerca.
Come avvocato dei writer ha conseguito vittorie che hanno segnato tappe importanti nella casistica sulla legge 639 per il reato di imbrattamento, un ampio ombrello che non fa distinzioni neppure tra scarabocchi vandalici su monumenti storici ed elaborate immagini e scritte dipinte su muri fatiscenti e abbandonati. Tra le assoluzioni storiche quella conseguita in tre gradi di giudizio per lo street artist sardo Manu Invisible, con il quale Frode ha peraltro firmato diversi murales.
Fuori dall’aula l’avvocato Melillo è operativo, in qualità di “braccio legale”, all’interno del collettivo Wiola, formatosi circa un anno e mezzo fa proprio per per contrastare quella legge risalente al 1930, che negli ultimi anni ha visto ulteriori strette in nome di “decoro uguale sicurezza” e che il 18 maggio scorso è stata resa ancor più operativa dalla sentenza 102 della Consulta della Corte Costituzionale.
Grazie alle consolidate duplici esperienze e competenze da writer/avvocato, l’aprile scorso Domenico “Frode” Melillo è stato nominato quale uno dei sette membri della Commissione per il Diritto e l'Arte dell'Ordine Avvocati di Milano dove si occuperà, come dice lui, di quella che i più chiamano Street Art.
L’ho incontrato nel suo studio di avvocato nel quartiere della Barona, dove è cresciuto e ha mosso i primi passi da graffitaro, per una chiacchierata su quel mondo di writing e street art che conosce così bene. Un mondo talmente ampio, variegato e multiforme che per sua stessa natura non è privo di contraddizioni e controversie non solo verso l’esterno ma anche al suo interno.
Data la molteplicità degli argomenti affrontati abbiamo diviso l'intervista in due puntate.
Lungo la ferrovia in zona Segrate il murale Dura lex sed lex realizzato da Frode e Manu Invisible nel 2014. Ora il lavoro è pittosto rovinato.
L'omaggo di Frode a Falcone e Borsellino sul lungo muro libero di via Corelli in zona Lambrate.
La sentenza 102 della Consulta della Corte Corte Costituzionale del 18 maggio scorso, che ribadisce la punibilità di writer e street artist con il carcere, rende quasi obbligatorio cominciare questa chiacchierata da questioni giudiziarie. La sentenza ha fatto seguito ad una eccezione di incostituzionalità sollevata dall'avvocato difensore di un writer durante un processo nel quale tu rappresentavi di un co-imputato. Ci spieghi in termini comprensibili l'essenza della questione?
Partendo dal presupposto che il reato di imbrattamento sarebbe norma speciale rispetto a quella che punisce il danneggiamento, si sosteneva che non fosse legittimo, dal punto di vista del principio di uguaglianza costituzionale, che il danneggiamento "semplice" fosse stato depenalizzato ed invece l'imbrattamento fosse punito con la reclusione.
La Consulta, con la sentenza 102 del 17 Maggio 2018, ha dichiarato tuttavia infondata la questione di illegittimità costituzionale, affermando peraltro che la scelta di punire con la reclusione è frutto di una scelta legislativa, insindacabile ma ad ogni modo legittima.
Tu dunque non avresti sollevato l’obiezione di incostituzionalità sul trattamento diverso riservato a chi danneggia e chi imbratta.
Punizioni dure per i writers in nome di "decoro uguale sicurezza", proprio come nell'America degli anni 70 e 80.
Non è stata una mia eccezione. E comunque non avrei posto la questione in questi termini. Secondo me infatti il tema della reclusione ai writer va osservato nell'ottica complessiva della sproporzione della pena rispetto a molti reati di maggior emergenza sociale puniti meno severamente.
Il writing poi negli ultimi anni viene associato ad una forma di mancanza di sicurezza nelle città. Ormai vige la scelta politica del decoro uguale sicurezza, che ha portato nel corso degli ultimi 10-15 anni ad acuire sempre più le pene. E' su questa linea che la Corte Costituzionale non può disconoscerne la legittimità, nonostante la previsione sia totalmente incongrua ai nostri occhi.
“Decoro uguale sicurezza” è il concetto alla base della propaganda e del clima di caccia alle streghe dell’America anni 70 e 80, come quella ad esempio del sindaco Ed Koch di New York, che paragonava i writers a criminali comuni che minavano alle radici il sistema americano. Considerando che il writing è entrato a tutti gli effetti nella storia come fenomeno artistico oltre che sociale, tutto questo accanimento non è un po’ anacronistico?
E' indubbiamente anacronistico, lo è soprattutto per chi conosce la storia e anche per chi soltanto conosce questa cultura. Ma questa conoscenza appartiene ad una minoranza e non alla percezione generale. E comunque fa comodo strumentalizzare il fenomeno. In Italia, ma non solo, la street art ed il writing vengono stravolte di significato e caricati di valenza secondarie soltanto ai fini della propaganda politica, l'urgenza di punire writer e street artist si fonderebbe sulla presunta volontà di avere maggiore sicurezza nella città.
E così abbiamo una gran quantità di processi che sono estremamente dispendiosi per le casse pubbliche e che oltretutto riguardano in gran parte minorenni, che avrebbero bisogno d'interventi educativi prim'ancora che ri-educativi, non di certo repressivi.
Da quando è nato il collettivo Wiola però stampa, radio e tv sembrano interessarsi molto di più al fenomeno anche dal punto di vista di un contraddittorio. Tu stesso ed altri artisti come Pao, Teatro, Ivan ad esempio avete fatto ripetuti interventi a Radio Popolare, a Radio 24 e su Rai 3 e non solo su emittenti di nicchia come Radio Onda d’Urto. Ci racconti qualcosa di questo movimento?
Wiola è nato circa un anno e mezzo fa e raggruppa artisti che provengono da varie esperienze, che hanno posizioni differenti e che magari in passato si sono fatte un po’ la lotta, ma che oggi coltivano il comune interesse di ottenere delle modifiche legislative al trattamento riservato agli artisti di strada. Si è partiti con una petizione, sottoscritta da molti nomi illustri del mondo culturale italiano. Io rappresento il braccio legale e come tale affronto il tema a livello tecnico, lasciando ad altri rivendicazioni o i temi prettamente culturali e sociali.
Wiola, il collettivo nato un anno e mezzo fa, non mira a rendere lecita qualsiasi rappresentazione di strada, perché non mette in dubbio l’illiceità di certe condotte, ma si batte per la modifica di una legge profondamente ingiusta.
Come si pone Wiola nei confronti dei vandali che imbrattano?
Nel writing c’è sempre stato un codice non scritto che condannava all'interno del movimento chi scrive sui monumenti, sui muri storici, sulle opere artistiche altrui o anche semplicemente sui furgoncini che le persone usano per andare a lavorare. Esiste un netto distinguo tra quelli che prendono la bomboletta e scrivono a caso, che non possono neanche essere considerati writers, e quelli che invece si sentono di appartenere a una corrente di writing o di street art. Quindi non si cerca l’abolizione delle norme poste a tutela dello spazio privato dei cittadini, piuttosto si chiedono norme misurate e credibili perché la legge non fa distinzione di sorta. Fare un pezzo bello su un muro abbandonato di periferia non può essere condannabile. Ed in ogni caso condannare a pene detentive anche dei ragazzi che imbrattano, quando ci sono molti reati ben più gravi che non vengono perseguiti con la stessa severità, rappresenta una distorsione dell'uso della giustizia, quasi si volessero individuare nei writers dei capri espiatori dei malesseri di questa società.
E qual è la tua posizione personale come avvocato e come writer?
Come legale io difendo tutti, anche perché la mia è una difesa tecnica, non etica. La mia lotta legale nelle aule giudiziarie parte proprio dalla presentazione del fenomeno writing e dallo spiegare chi sono in realtà i writers e gli street artist. Spesso mi dilungo per spiegare ai giudici proprio cos'è quel moto interno che anima una realizzazione non autorizzata in strada. Spesso riesco a far capire loro che in molti casi non si tratta quindi di un reato.
Come avvocato inoltre non metto in discussione principi come la proprietà privata e comprendo bene che il diritto di espressione di un singolo non possa minare l'integrità della proprietà privata di un altro cittadino. Ma sono convinto che la maggior parte delle persone non sappiano e non comprendano che dietro al writing esista una ricerca calligrafica spesso maniacale. E che le tag non sempre debbano essere intese come una bruttura.
Frode e Ivan il poeta sono gli autori di questo Cristo Writer ancora in fase di realizzazione. Si trova in Viale Cassala angolo via Ettore Ponti nel quartiere Barona. Ivan ha elaborato uno stile di scrittura personale e riconoscibile. Sulla casa accanto al murale esempi di quei graffiti vandalici che neppure Frode e Wiola difendono, pur considerando assurda la pena carceraria.
Personalmente non ho un grande appeal con i bombers di nuova generazione che non rispettano nemmeno le regole basilari del writing, ma che mirano solo a “spaccare”, come si dice in gergo, senza neanche essere interessati ad una ricerca stilistica, cosa che quando ho cominciato io era impensabile. Anche poco tempo fa ho discusso con un ragazzo conosciuto nell’ambiente, perché aveva rovinato un mio lavoro fatto su delle tapparelle. Mi ha chiesto scusa, ma secondo me non riesce a comprendere cosa e perché lo ha fatto. Dei writer che difendo per esempio alcuni sono storici e hanno un excursus importante, molti altri sono invece persone che iniziano, fanno una decina di illegali, vengono beccate e finiscono. Punto. Non hanno mai evoluto un pezzo fatto bene, gli interessa solo farsi un video, postarlo, far vedere che son fighi.
C’è un modo di pensare abbastanza diffuso tra la gente, a me pare, che tende ad apprezzare la street art in quanto “bella” e a condannare il writing in quanto “brutto”, senza tener conto che oltre agli imbrattatori e ai writer che hai appena descritto, ci sono quelli che hanno sviluppato stili elaborati sull'esempio dei "vecchi" wildstyler americani, stili che sono spesso frutto, come dicevi tu, di ricerche calligrafiche maniacali. Parlando di “illegale” quindi, Bansky va bene, anche perché è così famoso da finire spesso in prima pagina, mentre c’è intolleranza verso i writers, perché non si capisce cosa scrivono e soprattutto perché la loro storia da noi non è conosciuta se non dagli addetti ai lavori. E’ un po’ così?
L'errata opinione che la street art sia bella e il writing sia brutto, nonostante le incredibili ricerche stilistiche di molti writers.
Sì è così, e questa cosa può incidere anche dal punto di vista legale. Prendiamo per esempio Pao, caro amico e street artist apprezzato per i suoi pinguini sui paracarri di cemento. I suoi pinguini non erano né sollecitati dal Comune di Milano, né richiesti dalla gente, né pagati, tanto meno autorizzati. Nessuno però ha mai considerato Pao un imbrattatore, tutti invece lo considerano un artista che rende la città più bella, anche se agli atti del codice penale, è un imbrattatore. Siccome tutti sanno chi è, che cosa fa e che non dà fastidio, nessuno si sognerebbe di imputarlo in un procedimento penale. Il lavoro di Pao viene considerato Street Art.
Due paracarri con i pinguini di Paolo Bordin, in arte Pao, che a Milano si trovano un po' ovunque.
Un murale di Pao in viale Padova
Quando invece sentiamo dalla cronaca che sono stati "beccati" alcuni writers, spesso stanno dipingendo un treno o un vagone della metropolitana e nemmeno si sa o viene divulgata la foto della creazione. Anch'essi dipingono illegalmente, ma il "codice" stilistico da loto utilizzato non è facilmente interpretabile e non interessa quasi a nessuno approfondire. I writers quindi imbrattano.
Così le persone comunemente pensano che street art significhi bello e writing brutto, quando non è così. C’è lo street artist che magari attacca delle cose orribili sulle vetrine e il writer che fa delle scritte su un muro pubblico, lasciato all’incuria e sporco realizzando qualcosa di bello, anche se la gente non capisce le scritte perché hanno un lettering molto elaborato frutto di ricerche stilistiche incredibili.
In realtà chi fa writing non ha per forza in mente di imbrattare o peggio di sovrapporre la propria identità all'identità artistica o architettonica degli spazi pubblici in giro. Al contrario sia quello spazio architettonico, sia quel luogo pubblico e sia quella scritta, che può sembrare un groviglio incomprensibile ma che in realtà è espressione del suo puro stile, costituisce una forma di ricerca espressiva, tutti fattori non assimilabili al dolo che la norma per la consumazione del reato di imbrattamento richiede. Quando difendo un writer di questo tipo, punto sul fatto che non si possa accusare di imbrattamento o deturpamento una persona che è arrivata ad un gesto grafico tanto evoluto. Attenzione, non sto affermando che sia giusto dipingere senza autorizzazione sul muro bianco di una villetta.
Sto piuttosto invitando a cogliere che una tag, un throw up, un disegno, quando effettuato su un muro tralasciato all'incuria o già compromesso da altri interventi, non è un elemento "imbrattatorio".
Uno degli infiniti esempi del wild style writing milanese, che deriva da ricerche grafiche sul lettering. Questo si trova nella zona di Lambrate che i writers hanno definito Lambrooklyn.
Un altro esempio delle criptiche e personali scritte sviluppate dai writers seguendo l'esempio del wild style. Questa si trova in zona Barona.
Il 31 maggio scorso c’è stata prima udienza del processo per imbrattamento a Ivan Tresoldi, in arte “Ivan il poeta”, un artista molto noto e con il quale tu hai realizzato alcuni lavori. Oltre a scrivere poesie e frasi bellissime che condivide sempre con gli abitanti delle zone in cui opera, Ivan ha realizzato anche lavori su commissione tra cui quello sui muri dell'Archivio Diocesano in via San Calimero. Ma, cosa ancor più importante, Ivan è molto attivo nel sociale dove opera attivamente per l’educazione giovanile. Il processo a una persona così non è un insulto al senso comune di giustizia?
Lo scorso 31 maggio prima udienza del processo per imbrattamento a Ivan Tresoldi uno dei più popolari street artist italiani, assiduamente impegnato nel sociale. A settembre la seconda.
Purtroppo ho capito col tempo che anche il cosiddetto "senso comune", specie se parliamo di Giustizia, è tutt'altro che uguale per tutti. Ciascuno di noi ha una percezione personale della realtà e anche pesi e misure differenti nei confronti dei fatti circostanti.
Nella Legge poi non c’è distinzione tra coloro che tempestano di scritte gli spazi pubblici e coloro che hanno scelto la strada per portare avanti un progetto d’ arte condiviso, un progetto che è arte pubblica e quindi di arte per strada. Ivan era stato denunciato da alcune guardie ecologiche per una scritta alla Bicocca nel 2104. Interrogato dalla polizia lvan stesso si autodenunciava portando delle foto di una ventina di altri suoi interventi in giro per Milano, quindi sicuramente è il primo street artist a provocare l'istituzione a ri-determinarsi in un'aula giudiziaria nei confronti del movimento. Quindi il processo ad Ivan costituisce un nuovo epilogo della mancanza di chiarezza da parte del mondo giudiziario sul possibile inquadramento delle condotte degli artisti di strada. Più che un insulto al senso comune di giustizia, direi che è un'altra tappa forse necessaria e spero significativa verso un processo di estraniazione degli artisti dal banco degli imputati.
D’altra parte se Ivan è un rappresentante della parte socialmente più consapevole della street art, è anche vero che trattasi di un mondo perennemente diviso al suo interno. Ogni processo è diverso da un altro ed ogni analisi del contesto creativo dell'artista imputato disvela punti di partenza nettamente differenti. Forse l'unico risvolto positivo del processo ad un artista riconosciuto è spingere tutti ad un movimento di riflessione collettiva sul perché dell'arte di strada ed sul bisogno di espressione degli uomini, artisti e non.
La partigiana, il murales realizzato nel 2013 da Frode, Tawa, Ivan, Manu Invisible su una facciata del centro sociale Barrio's in Piazza Donne Partigiane a Milano.
Alla fermata Bonola della metropolitana una delle frasi di Ivan il poeta che coronano la rotonda pedonale. Sotto altri esempi di wild style writing.
Veniamo a te e al tuo percorso. Tu sei cresciuto nel quartiere della Barona, la cui problematicità si era acuita proprio negli anni 80 per speculazioni edilizie. Quanto ti ha influenzato vivere in questo quartiere in generale e rispetto alla street art?
Quello del writing non era e penso non sia tutt'ora una realtà pacifica. Ho conosciuto così i primi scontri, fisici e verbali, con altri gruppi di writers.
Sono cresciuto in una famiglia benestante trasferitasi in Barona alla ricerca di più verde rispetto al centro cittadino e contrariamente a quello che si poteva immaginar di questa zona, vivevo in in un bellissimo contesto con un giardino molto amplio. Mio padre infatti, che non voleva più vivere in una casa antica in centro Milano, aveva acquistato qui, non cambiando idea neppure quando cominciò la costruzione di un grosso contesto popolare, presto divenute le case cd. "più brutte" del quartiere. Sono cresciuto frequentando la scuola privata e studiando pianoforte, andavo in oratorio e la fetta di Barona che ho conosciuto da piccolo è sempre stata priva di pericoli, anzi tutt'altro. Crescendo e soprattutto accostandomi al writing e alla voglia di farne sempre più parte, ho conosciuto tutta una fetta diversa della realtà della zona. Quello del writing non era e penso non sia tutt'ora una realtà pacifica. Ho conosciuto così i primi scontri, fisici e verbali, con altri gruppi di writers, con altre persone che non volevano che la tua firma fosse posta in luoghi che loro ritenevano propri.
La zona Barona mi ha permesso di trovare fin da giovanissimo molte location ex industriali o muri in strada, dove poter allenare la mia voglia di disegnare sul grosso formato e con gli spray. La doppiezza della realtà intorno a me, in un quartiere come la Barona per certi aspetti bello e per altri a volte pericoloso, mi ha dato la possibilità di incontrare persone che poi hanno costruito le radici del fenomeno come lo conosciamo oggi in Italia, e l'opportunità di avere spazi - in un'accezione nuova del termine- a disposizione per esprimermi.
Tutto questo ha fatto nascere in me la voglia di portare in strada l'estro che prima coltivavo soltanto sui quaderni di scuola. Se avessi voluto fare l'artista di certo non avrei scelto questa strada: ma io non ho mai voluto essere un artista. Ho soltanto provato ad uscire di casa e condividere le mie idee, forse a volta anche un po' imponendole. Poi ho dovuto confrontarmi anche con diversi tamarri che non concepivano che io od altri potessimo esprimerci o soltanto vestirci in un modo così diverso da loro, ma questo non ha fatto altro che fortificarmi sia nella mia capacità dialettica che in quella di rapportarmi a persone diverse.
Ti interrompo per chiederti se i “tamarri" di cui parli erano anche quelli che scrivevano sui muri.
No, i "tamarri" non erano quelli che scrivevano sui muri, anzi. Gli amici che ho visto per primi scrivere sui muri, erano amici dell’oratorio e io li tempestavo di domande sul perché lo facessero. Vedendo loro ho cominciato a prestare sempre più attenzione ai graffiti illegali in giro e in metropolitana, ma i lavori che mi piacevano di più erano quelli legali sul cavalcavia Don Milani, molto belli ed elaborati.
Quando dico "tamarri" intendo tutto quel circolo di persone colorite che hanno da sempre popolato la zona Barona e che associo per lo più alle varie litigate in giro. C'era quello che veniva ad impennare col motorino in mezzo al campo mentre giocavamo a basket, un altro che arrivava dal nulla e diceva che lo avevo guardato male e quindi mi sfidava a picchiarci, o ancora quelli che tentarono di rubarmi lo scooter senza successo.
Sono stato indubbiamente contagiato da quello che vedevo intorno a me, in bene ed in male. E nel writing ho visto subito una forma di realizzazione e di fuga da tutto quello che istituzionalmente mi era imposto, nella cultura così come nelle regole in generale. La scuola e le suore erano una cosa insopportabile, la mia famiglia mi sembrava a tratti troppo rigida ed ancorata ad un mondo vecchio, mentre nel writing ho visto una libertà totale, perché non c’era nessuno che mi dicesse che cosa dovevo fare. In effetti poi quando ci sono entrato a testa piena mi sono scontrato con un mondo molto territoriale e pieno di regole non scritte. Anche in questo caso è stata una scoperta inattesa vedere che anche in tale "micro-società" esistono comunque mille regole.
A proposito di regole e territorialità da rispettare che ricordano le caratteristiche delle realtà americane, quando tu hai cominciato sapevi che negli Stati Uniti il writing era già un fenomeno di massa da circa 25 anni e aveva sviluppato tecniche molto sofisticate come il Wild Style e lo Style Wars?
Quando nel 1995 a 15 anni ho acquistato una fanzine americana, mi sono reso per la prima volta conto del livello al quale loro erano arrivati. I primi spray argento con pressione alta mi arrivarono proprio direttamente da New York sempre in quegli anni.
No, all’inizio non ne sapevo davvero niente. Quando entravi nel giro, cominciavi a conoscere dell'esistenza di una vera e propria cultura solamente attraverso il passaparola. Internet non esisteva e libri sul writing tantomeno, la cd "Street art" manco esisteva ancora. A Milano c’erano soltanto dei punti di incontro di alcuni writer, che anch’io ho cominciato a tratti a frequentare, ma non si era ancora in tanti. Era tutto come una grande e progressiva scoperta. Non c'era ancora mercato sulla cosa, no merchandasing, no bombolette spray raffinate. Tutto diciamo era così artigianale e spontaneo.
Ho visto per la prima volta le fotografie stampate dei lavori di New York di alcuni ragazzi che ci erano stati e raccontavano quello che avevano visto. Da Alberto del negozio WAG ho scoperto sempre più cose e quando nel 1995 a 15 anni ho acquistato una fanzine americana, mi sono reso per la prima volta conto del livello al quale loro erano arrivati. I primi spray argento con pressione alta mi arrivarono proprio direttamente da New York sempre in quegli anni.
La circostanza di crescere alla Barona in realtà fu importante anche da questo punto di vista, perché nella seconda metà degli anni 90 alcuni writer della crew THP, che a quei tempi era una delle più famose, erano in contatto con i writer americani, tanto che Sharp e Phase2 vennero a Milano e fecero i due primi pezzi importanti proprio vicino a casa mia. Nel frattempo avevo cominciato a conoscere quelli milanesi più noti come Keyone e Tawa e a seguire tutto quello che facevano.
Diventando più grande e studiando più appronditamente la nascita e genesi del movimento, mi sono accorto di una numerosa serie di analogie tra il fenomeno in America e quello che ho vissuto a Milano, ma anche una serie di grosse ed evidenti differenze che hanno portato allo status quo.
Per quanto tempo hai lavorato sulla ricerca grafica delle lettere dell’alfabeto e delle loro combinazioni prima di passare ad uno stile più figurativo e sempre riguardo al lettering ti affascinava di più uno stile criptico alla Wild Style o più leggibile?
Ho lavorato sul lettering fino al 2002 - 2003 massimo. Ho sempre mantenuto uno stile leggibile anche quando sono venuto in contatto con le varie realtà americane. Il wild style non mi piaceva, preferivo lo stile europeo e poi non mi piaceva nemmeno l’idea che il nome dovesse essere fine a se stesso. Fin dall’inizio ho sempre cercato di accostare al nome dei messaggi, perché non mi è mai interessato scrivere “frode” dappertutto senza aggiungere significati.
Che cosa ha portato il ragazzino di 13 anni a scegliere il nome d'arte Frode, una scelta che vista retrospettivamente sembra un un segno premonitore del tuo dualismo?
A 13 anni ho scelto il nome Frode come forma di contestazione rispetto alle fregature sociali. Io ritenevo di dover scrivere “frode” ovunque ci fosse qualcosa da denunciare, qualcosa di socialmente ingiusto e scorretto.
L’ho scelto come forma di contestazione rispetto alle fregature sociali. La frode è un comportamento che in apparenza rispetta la legge ma che in sostanza la elude. Io ritenevo di dover scrivere “frode” ovunque ci fosse qualcosa da denunciare, qualcosa di socialmente ingiusto e scorretto. Nella pratica poi non ho trovato subito nel lettering dei linguaggi adatti ed è per questo che un certo punto sono passato alla ricerca stilistica artistica e figurativa in modo da creare messaggi molto più comprensibili.
Io avevo già tantissime idee chiare fin da quando ero piccolo anche se con mia grande rabbia non mi davano credito perché ero piccolo. Noi adesso parliamo tanto di street art e di rivalutazione degli spazi urbani ma io ho iniziato a fare un mio percorso immediatamente. Facevo l’illegale ma nello stesso tempo mi cercavo gli spazi da farmi autorizzare per dipingere dei lavori con dei messaggio. In pratica quello che faccio ora era già tutto presente fin dall’inizio anche se in forma abbozzata, anche se effettivamente da piccolo non pensavo che avrei fatto l’avvocato.
Come sei arrivato alla decisione di iscriverti a legge?
Grazie a mio padre. Dopo il liceo scientifico non avevo le idee chiare sulla scelta dell'università, finché un giorno padre mi ha detto di pensare a quale ambito della società mi sarebbe appartenere. Ho cominciato a ragionarci sopra ed escludendo le cose che non mi interessavano, ho capito che il mio campo di interesse era il mondo della giustizia.
E della “frode”…
Beh, sì. Ci ho pensato su per un’estate e alla fine ho deciso. Però intanto continuavo a fare pezzi sui muri. Poi a una settimana dalla laurea mi hanno "beccato" e mi hanno arrestato. In effetti quella volta l’autorizzazione ce l’avevo ma non sapevo dove fosse, così mi hanno dato un avvocato d’ufficio al quale ho raccontato la mia storia. Lui è rimasto colpito mi ha detto di farmi vivo dopo la laurea e infatti è andata così e ho cominciato a fare praticantato nel suo studio.
E sei stato fin da subito l’avvocato-writer?
Quando mi sono laureato, mia madre mi ha detto: 'Adesso quando farai l’avvocato non vorrai mica andare ancora a scrivere sui muri.' Ma io non avevo alcuna intenzione di smettere.
No. Quando mi sono laureato, mia madre mi ha detto “Adesso quando farai l’avvocato non vorrai mica andare ancora a scrivere sui muri?” Ma io non avevo alcuna intenzione di smettere, sia perché mi piaceva sia perché per me era anche un lavoro che mi permetteva di essere indipendente, e allora mia madre mi ha quasi imposto di non dirlo in giro, né ai miei colleghi né in tribunale.
E così nei primi due anni io l’ho tenuto per me e quando per caso sentivo qualcuno che parlava di street art io non aprivo bocca. Anche quando qualche giornalista mi chiamava io non ho mai voluto rilasciare interviste. Poi nel 2009 Repubblica ha pubblicato un articolo intitolato “Avvocato di giorno writer di notte”, quando tra l’altro non ero ancora avvocato. E da lì hanno cominciato a cercarmi ed è stato allora che MTV ha fatto un servizio su di me.
Non è stata finalmente una liberazione?
Sì, ma non subitissimo. All’inizio sono dovuto andare al consiglio dell’ordine degli avvocati, pur non essendo iscritto, a depositare una dichiarazione in prevenzione, in cui si diceva che quello che i giornali scrivevano sul mio conto poteva essere frutto di invenzioni e non di dichiarazioni rilasciate da me. Siccome dicevano che andavo in giro di notte a dipingere illegale, ho dovuto fare queste dichiarazioni preventive per tutelarmi altrimenti sarei stato sanzionato.
Come sei diventato il difensore dei writer?
C’entra ancora mio padre. Un mese prima di morire mi ha chiesto, “ma tu hai capito cosa vuoi fare da grande? Insomma vuoi fare l’avvocato o vuoi fare il pittore?” Era una domanda retorica perché sapeva benissimo che non ero in grado di scegliere e lui stesso mi ha dato il suo benestare, dicendomi di portare avanti tutte e due le attività finché ne avessi avuto la possibilità. Poi mi ha suggerito di diventare l'avvocato dei writer. Al che io gli ho risposto che non ci avrei guadagnato niente perché i wtiter sono tutti dei morti di fame. Ma lui, che era più lungimirante di me, mi ha detto che poteva essere un modo per farmi conoscere. Così è stato. E questo è successo dieci anni fa.
Veniamo adesso a temi più controversi che riguardano purezza e commistione con circuiti in circola il denaro, come gallerie e collezionisti, ma anche con progetti finanziati in parte da enti pubblici e in parte da associazioni private dove non sempre le cose vengono fatte all’insegna della trasparenza…
Fine prima parte