Storia del Ku Klux Klan e del suprematismo bianco americano, ma anche dei presidenti e dei loro atteggiamenti nei confronti della schiavitù, della segregazione e delle lotte del movimento per i diritti civili, attraverso alcuni film, da Nascita di una nazione a The Blackkklansman
C'era un terra di cavalieri e di campi di cotone chiamata il Vecchio Sud... Qui, in questo bel mondo la galanteria fece il suo ultimo inchino... Qui per l'ultima volta furono visti i cavalieri e le loro dame, il padrone e lo schiavo. Cercatelo soltanto nei libri, perché non è altro che il ricordo di un sogno, una civiltà andata via col vento..
(Incipit di Via col vento)
Da attento conoscitore della storia e delle dinamiche della società americana qual è, Michael Moore non ha solo predetto la vittoria di Donald Trump fin dall’inizio della scorsa campagna elettorale con la precisione di una Cassandra, ma fin da anni non trumpianamente sospetti aveva anticipato la presa di potere di uomo dalle sue caratteristiche. Un uomo che avrebbe riscattato gli angry white men, gli uomini bianchi arrabbiati, che si stavano vedendo scappare di mano potere e supremazia, vuoi per colpa delle donne e della loro pretesa di uscire dalla sacralità della famiglia, vuoi per la sempre più invasiva occupazione del suolo americano di tutte quelle razze inferiori che si stavano sostituendo alla pura razza bianca protestante.
L'odio razziale di sette come il Ku Klux Klan, rinvigoritesi con Trump, è paradossalmente sempre abbinato a Gesù Cristo e sostenuto da pastori e chiese protestanti
Come il suo Fahrenheit 11/9 dell’anno scorso dimostra eloquentemente, e non solo con le scene del Ku Klux Klan a Charlottsville del 2017, la presunta anomalia della vittoria di Trump in effetti altro non è che il riflesso di realtà per nulla anomale sul suolo americano, bensì profondamente radicate. Se è vero che il suprematismo bianco da lui incarnato si è amplificato, dalla sua comparsa sulla scena politica, con un nuovo ritorno in auge di sette come il KKK incentrate sull’odio razziale, paradossalmente sempre abbinato a Gesù Cristo e sostenuto da pastori e chiese protestanti, è altrettanto vero che il terreno sul quale la presidenza Trump è cresciuta era già di per sé fertile e produttivo.
Le origini del suprematismo bianco
Diretto discendente del colonialismo europeo, della sottomissione/sterminio dei nativi dei territori conquistati e del commercio degli africani ridotti in schiavitù, il concetto di supremazia della razza bianca ha molte declinazioni, parecchie delle quali sembrano innocue, come vedremo ad esempio analizzando alcuni passagi di Forrest Gump, il film apparentemente più innocente del mondo ma che al contrario convoglia messaggi, a volte quasi subliminali, di superiorità bianca e di conservatorismo.
Anche l'utilizzo di American come sinonimo di statunitense è significativo di una certa ideologia. Entrato nell’uso comune in concomitanza con la Rivoluzione “Americana” della seconda metà del 700, il termine non solo escludeva, ed esclude, gli altri stati del continente, ma rifletteva i contraddittori principi di uguaglianza e libertà che gli atti fondativi della nuova nazione decretavano come diritti di tutti gli uomini, purché bianchi.
La teoria del Destino Manifesto sanciva l’investitura concessa da Dio alla razza eletta dei bianchi protestanti di origine anglosassone, ad espandere la loro civiltà.
Una codificazione di quella supremazia fu data nel 1845 con l’espressione Destino Manifesto, che sanciva l’investitura, concessa da Dio alla razza eletta dei bianchi protestanti di origine anglosassone, ad espandere la loro “civiltà”. Rappresentato in uno dei quadri più simbolici della pittura americana come una sorta di grande angelo che dal cielo protegge l'espansione territoriale dei bianchi, il Destino Manifesto e le sue successive evoluzioni hanno giustificato non solo lo sterminio dei nativi, la schiavitù dei neri e la guerra con il Messico, ma i molti interventi bellici e/o economici internazionali che hanno segnato e ancora segnano la storia.
Dipinto di John Gast che rappresenta figurativamente la teoria del Destino Manifesto
Birth of a Nation di D.W. Griffith e il presidente Woodrow Wilson
Quanto a quel suprematismo bianco, con le sue derive violente, impersonato da Trump ed esportato in Europa dal suo ex-pupillo Steve Bannon, un uomo che nel curriculum annovera atti di brutalità contro la sua ex moglie persino quando era incinta, le origini si fanno generalmente coincidere, anche grazie al primo blockbuster della storia del cinema e al suo titolo, alla Guerra Civile (1861-65), subito dopo la quale cominciarono le persecuzioni degli schiavi liberati e venne fondato il Ku Klux Klan.
Il film è Nascita di una nazione (1915) che D.W. Griffith, uno dei maestri della tecnica cinematografica, realizzò da due romanzi di Thomas Dixon ambientati in quel periodo:The Leopard’s spots e The Clansman.
La nascita del Ku Klux Klan e il revisonismo storico di Nascita di una Nazione di D.W. Griffith
A ragione si dice che spesso un film può insegnare la storia con maggiore incisività di anni passati sui libri, tuttavia quando il film la racconta da un punto di vista che ribalta la realtà e viene poi visto da milioni di persone, che a quella realtà ribaltata credono anche grazie alla propaganda del loro presidente, i danni che può causare sono indicibili. Questo è stato il caso di Birth of a Nation che, presentando i membri del Ku Klux Klan come nobili e coraggiosi cavalieri pronti ad intervenire per proteggere i cittadini bianchi del sud dalla brutalità criminale degli ex-schiavi e per salvare le donne bianche dalla loro lussuria, ha causato un’ondata di odio razziale senza precedenti.
Dopo quel film infatti il Ku Klux Klan, che era stato dichiarato una organizzazione terroristica e fuori legge nel 1871 dal presidente Ulysses Grant, l'ex-generale a capo dell'esercito dell'Unione nella Guerra Civile, rinacque con una diffusione senza precedenti che investì tutti gli Stati Uniti, e che negli anni '20 raggiunse il suo culmine con milioni di affiliati, ed anche con una sezione tutta femminile.
La resurrezione del Ku Klux Klan e la formazione dell'Impero Invisibile del Grande Mago William Joseph Simmons
Principale artefice della rinascita fu un fanatico di nome William Joseph Simmons che, affascinato dal film, nel giorno del Ringraziamento del 1915 con alcuni amici e con vecchi membri del primo Klan salì sul monte Stoneman. Lì i nuovi adepti diedero fuoco ad un'alta croce, in modo che fosse visibile anche a kilometri di distanza, come cerimonia inaugurale per la rifondazione del Klan. Da quel momento le croci infuocate, una invenzione coreografica inventata da Griffith per il suo film che non apparteneva ai rituali originali del Klan orrocentesco, divennero uno dei segni distintivi del KKK, di cui Simmons codificò principi, cerimonie e gerarchie nel libro Kloran, autoproclamandosi Grande Mago Imperiale dell'Impero Invisibile dei Cavalieri del Ku Klux Klan.
La complicità di Woodrow Wilson
Complice dei crimini contro i neri perpetrati per anni in nome di quel film, fu un presidente privo della rozzezza, dell’ignoranza e della volgarità di Donald Trump, al contrario un uomo elegante, colto, ex-rettore dell’Università di Princeton ed autore di innumerevoli libri all’insegna del Lost Cause Revisionism, il revisionismo della Causa Persa del Sud: Woodrow Wilson.
Prendendo come filo conduttore il connubio Griffith-Wilson proviamo a tracciare un primo parziale percorso del suprematismo bianco e dell’odio razziale attraverso qualcuno dei film che in un modo o nell’altro hanno trattato la questione, o che l’hanno volutamente ignorata, come ha raccontato lo studioso Thomas Cripps in un libro del 1994, il sui titolo è già di per sé una tesi: The Absent Presence in American Civil War Films. Pur non rispettando l'ordine cronologico di realizzazione dei film, riserviamo in linea di massima la seconda puntata del percorso ai film più recenti, girati soprattutto nell'ultimo decennio, da quando la presidenza Obama ha contribuito a sdoganare il cinema dal silenzio sulla storia nera americana.
Amico di Thomas Dixon, Woodrow Wilson proiettò Birth of a Nation, infarcito di didascalie razziste tratte dalla sua History of the American People, alla Casa Bianca e nel definirlo «la storia raccontata col fulmine», aggiunse «Peccato che sia tutto assolutamente vero.»
Una delle dicascalie di Birth of a Naton tratte dai libri di Woodrow Wilson
In realtà ben poche sono le cose vere del film, e quelle poche servono a dare l’idea che anche tutto il resto lo sia, quando è invece frutto di un revisionismo simile a quello di coloro che negano l’olocausto. Veri sono ad esempio l'attentato mortale a Lincoln compiuto al Ford Theatre di Washington da John Wilkes Booth e il suo grido al pubblico, visualizzato da didascalia, Sic semper tirannis, così per sempre ai tiranni, la stessa frase pronunciata da Bruto dopo l’uccisione di Cesare.
Thaddeus Stevens in Birth of a Nation e in Lincoln di Steven Spielberg
Abraham Lincoln, che Griffith tratta con rispetto forse per la figura iconica che era diventata, compare anche in altre brevi scene del film. Di particolare interesse in questo contesto è quella in cui il presidente è con Austin Stoneman, il nome di finzione dato al repubblicano radicale Thaddeus Stevens, chiaramente identificabile per diverse particolarità, tra cui la relazione di tipo coniugale con la sua schiava nera, rappresentata come una perfida ed astuta calcolatrice, che gode della morte di Lincoln poiché, come dice una didascalia, ora è Stoneman l’uomo più potente del paese. Rappresentato come un ipocrita arrivista, fomentatore delle vendette dei neri verso i bianchi, salco poi picchiare il suo ex pupillo mulatto quando gli chiede la mano di sua figlia, Thaddeus Stevens era in effetti, oltre che grande oratore e convinto sostenitore dell’emancipazione degli schiavi e dei loro diritti, un uomo che si è battuto fino alla sua morte nel 1868 non solo per i diritti dei neri, ma anche per quelli dei nativi americani e dei lavoratori in generale, per i quali tentò di introdurre senza riuscirci la giornata lavorativa di otto ore.
Bisogna però aspettare il 2012 e Steven Spielberg, perché anche il cinema riconosca a questo personaggio il posto che gli ha dato la storia. Nel suo Lincoln, il primo dei tanti film in cui il presidente, pur apparendo come il grand'uomo che fu, non viene rappresentato solo come "Saint Lincoln", è indimenticabile il discorso sull’uguaglianza che Stevens, interpretato da Tommy Lee Jones, tiene in Congresso, dove sono ovviamente presenti dolo i rappresentanti degli stati dell'Unione. Manca poco alla fine della guerra civile e Lincoln sa il suo decreto presidenziale di due anni prima, che sanciva l'emancipazione degli schiavi, deve essere trasformato in legge prima della fine della guerra e del rientro in Congresso degli stati secessionisti. La scelta di Spielberg di concentrarsi sugli ultimi quattro mesi di vita di Abraham Lincoln, pur inserendo nel film episodi cruciali della sua vita, e sulla sua determinazione a fare di tutto pur di giungere alla difficile approvazione del "Tredicesimo Emendamento", dimostra come la mentalità della supremazia bianca ma fosse un'esclusiva degli stati razzisti del sud, ma un'ideologia molto diffusa anche nel nord. Ed è proprio durante le infuocate discussioni congressuali che Stevens tiene quel discorso passato alla storia. A proposito di quell'emendamento, Ava du Vernay, la regista afroamenricana di Selma, la strada per la libertà (2014), ha realizzato un documentario scnvolgente, entrato nella cinquina delle nomination agli Oscar 2016, intitolato per l'appunto 13° Emendment, in cui acconta come esso sia stato invalidato in prima battuta dalle leggi Jim Crows, quelle sulla segregazione passate nel sud dopo la Ricostruzione e ,dagli anni 1970 in poi, con le incarcerazioni di massa su tutto il territorio nazionale soprattutto in conseguenza del motti law and order , alla guerra alla droga e dei provvedimenti stop and frisk.
Thaddeus Stevens (Tommy Lee Jones) nel discorso in Congresso sull'uguaglianza di fronte alla legge nel film Lincoln (2012) di Steven Spielberg
Il Ku Klux Klan e i movimenti controculturali in Forrest Gump
Utile per risalire alle origini del KKK è Forrest Gump (1994), che quest’anno compie 25 anni. Il film utilizza una struttura narrativa che interseca la vita di Forrest con una trentina d’anni di storia americana più o meno dalla metà degli anni 50 alla metà degli anni 80.
Il regista Robert Zemeckis si avvale di artifici tecnici, già presenti in alcune scene di Zelig (1983) di Woody Allen, che inseriscono Tom Hanks in filmati di repertorio autentici, permettendo a Forrest di diventare l’ingenuo ed inconsapevole testimone di particolari momenti storici, sebbene la "Storia" sia quasi sempre utilizzata come sottofondo spettacolare che come occasione per approfondire gli eventi. Dei tanti esempi possibili citiamo le scene in cui Forrest incontra i presidenti e quella, poco dopo l’inizio del film, in cui vediamo un'innocente cavalcata dei cavalieri dil Ku Klux Klan tratta da Birth of a Nation, mentre Forrest racconta le origini del suo nome:
«Quando ero piccolo mamma mi ha chiamato come il grande eroe della guerra civile Nathan Bedford Forrest. Diceva che in qualche modo eravamo parenti. Lui aveva fatto una cosa, aveva messo su questo club, chiamato Ku Klux Klan. Si mettevano addosso dei mantelli e delle lenzuola e si comportavano come un gruppo di fantasmi o di spiriti o cose del genere. Mettevano delle lenzuola anche sui cavalli e se ne andavano in giro. Insomma, è così che ho avuto il mio nome, Forrest Gump. Mamma diceva che quel nome serviva a ricordarmi che certe volte tutti quanti facciamo delle cose che non hanno proprio senso.»
Da Forrest Gump (1994) di Robert Zemeckis: Forrest racconta l'origine del suo nome attraverso una scena di Nascita di una Nazione (1915) di D.W. Griffith
In effetti Nathan Bedford Forrest, primo Grande Mago del Ku Klux Klan, fu colui che nel 1867 a Nashville Tennessee, ne radunò le varie formazioni che si erano formate negli stati del sud ad emulazione del primo nucleo, fondato a Pulaski da sei veterani sudisti. Durante la guerra civile Forrest era stato un famoso generale dell’esercito confederato. Sebbene le fonti siano contrastanti, viene generalmente attribuita a lui la responsabilità del Massacro di Fort Pillow, dove circa 200 soldati nordisti, in prevalenza neri, vennero barbaramente uccisi nonostante si fossero preventivamente arresi.
Nel rcente film di Quentin TarantinoThe Hateful Eight, con la meraviglios colonna sonora per cui Ennio Morricone ha vinto l'Oscar, il generale sudista Sandy Smithers (Bruce Dern), che Samuel L. Jackson alias Maggiore Marquis Warren ammazza nel terzo capitolo, è ispirato al Nathan Bedford Forrest, mentre Fort Pillow diventa Baton Rouge.
Tornando a Forrest Gump ed alle implicazioni cui si faceva riferimento all'inizio dell'articolo, se in diversi casi i fatti storici sono usati coreograficamente e in altri le posizioni restano vaghe ed ambigue, così non è per altre situazioni, in particolare quelle che riguardano i movimenti controculturali degli anni 60 e 70, compreso quello dei diritti civili. Riguardo a quest’ultimo ad esempio non c'è neppure un riferimento a Martin Luther King. Zemeckis aveva in effetti girato una scena in cui Forrest lo incontra, che venne però esclusa dal montaggio ed appare solo in un'edizione speciale del film uscita in America un paio d’anni fa. Quello che da venticinque anni gli spettatori di Forrest Gump vedono sul movimento dei diritti civili di M.L. King è la scena in cui Forrest assiste al primo ingresso di due studenti afroamericani in un’università dell’Alabama. Come al solito le immagini girate da Zemeckis si alternano a quelle originali ed è così che vediamo il vero George Wallace, il governatore ultrarazzista dell'Alabama, piazzato sulla porta di ingresso per impedire l'accesso dei ragazzi, nonostante il presidente Kennedy, come dice il cronista del video autentico, abbia autorizzato l'accesso e mandato le truppe federali. Le frasi più razziste del discorso di Wallace, di cui parleremo più ampiamente nella prossima puntata in quanto presente in film recenti come il già citato Selma ( 2014) e All the way (2016) , sono però coperte dalle parole di Forrest.
Un personaggio di cui sentiamo invece tutte le battute è il rappresentante delle Pantere Nere, una specie di stereotipo clownesco che sputa in faccia a Forrest uno slogan dopo l’altro. Forrest ovviamente non capisce nulla ma mentre quello parla, vede Jenny picchiata con violenza dal suo ragazzo, bianco, militante nelle Pantere Nere.
Prima di lasciare Forrest Gump, almeno fino al prossimo capitolo dove ritornerà brevemente per l'analogia strutturale con The Butler (2014) del regista afroamericano Lee Daniels, alcune considerazioni in base alla mia esperienza di insegnante. Prima di disporre negli ultimi anni di un buon numero di film storici che, oltre a fare esercizio di lingua autentica, mi aiutassero a raccontare la storia americana, e con essa quindi quella afroamericana, quelli che utilizzavo generalmente erano Il buio oltre la siepe, La lunga strada verso casa, Uomini di Gloria e, se la composizione della classe lo consentiva Malcolm X e Mississippi Burning. Negli anni '90 ho spesso utilizzato anche Forrest Gump e, sebbene poi l'abbia abbandonato per un lungo periodo, dopo l'uscita di The Butler ho ricominciato ad utilizzarlo, in terza media, per sollecitare confronti. Una delle domande che comunque ho sempre posto ai miei alunni e alle mie alunne alla fine di Forrest Gump era quale fosse la loro opinione sulla morte di Jenny. Io anticipavo solo, per chi non l'aveva capito, che la malattia era l’AIDS.
Nel passare degli anni il senso delle risposte, più o meno profonde, articolate, semplici o essenziali, è sempre stato lo stesso: Jenny finisce male per le cattive compagnie che frequenta quando se ne va da Grimbow, gli hippy e le Pantere Nere. Il significato di quelle risposte è di per sé talmente esplicito che, parafrasando Forrest Gump, posso solo aggiungere che su questo argomento non ho più niente da dire.
Spike Lee e The Blackkklansman
Pur destinando i film recenti alla seconda parte, è inevitabile chiudere il cerchio con un film del 2018, The Blackkklansman di Spike Lee, in cui Birth of a Nation compre più volte, e non come citazione decorativa alla Forrest Gump. Il film, un mix di commedia e dramma, è basato sul libro Black Klansman di Ron Stallworth, l'ex poliziotto nero che negli anni '70 riuscì ad infiltrarsi telefonicamente nel Ku Klux Klan , avendo poi bisogno di un compagno bianco che sostenesse il suo ruolo negli incontri effettivi. Quel che ci interessa qui analizzare sono alcune scene che non hanno a che fare con la trama, bensì con le citazioni cinematografiche di cui Siike Lee si avvale e dei riferimenti al presidente Trump.
Il film si apre con una scena di Via col vento, il film di Victor Fleming del 1939 di cui abbiamo riportato in apertura la frase che scorre in sovrimpressione, l'altro colossal celebrativo della grandezza del sud, della civiltà che il vento ha spazzato via con la guerra civile, e di quell'idea di supremazia bianca che ha permeato il cinema Hollywoodiano del secolo scorso. E' vero che il KKK nel film non c'è, anche perché dopo le conseguenze di Birth of a nation ne era stato proibita l'eplicita apparizione nei film. Tuttavia non è difficile immaginare di quale tipo di spedizione punitiva faccia parte il buon Asheley ed in compagnia di chi ci vada, come alcune dichiarazioni fanno velatamente capire.
Dopo la citazione di Via col vento, Spike Lee inserisce un cameo di Alec Baldwin nei panni un professore razzista americano degli anni 60 che sta girando un video di propaganda. Quel che gli esce dalla bocca sono parole di fuoco contro la desegregazione delle scuole in Alabama, ultima delle tante testimonianze dell'attacco sotto il quale si trovano, a suo dire, i bianchi americani a causa della la congiura congiunta di ebrei, di negri e di quella razza mongola uscita dagli accoppiamenti misti. Il tutto mentre sul suo viso e alle sue spalle scorrono spezzoni tratti da Nascita di una Nazione. Quel personaggio non è solo un riferimento al tipico razzista contemporaneo elettore di Trump, ma a Trump stesso, soprattutto per il pubblico americano che da circa tre anni vede uno strepitoso Alec Baldwin nei panni del presidente al Saturday Night Show. Molti altri sono gli agganci contemporanei che Spike Lee dissemina lungo il film, come nella scena in cui David Duke, il grande mago del KKK di quegli anni, dice che il Klan assumerà le sembianze di quelli che stanno alla casa Bianca, senza bisogno di travestimenti o di croci incendiate.
L'abbinamento di Via col vento con Nascita di una Nazione ribadisce una volta per tutte il contributo enorme dato da quei film, tra i più popolari della storia, al perpetuarsi del suprematismo bianco non solo nel cinema mainstream del secolo scorso, ma nella consapevole o inconscia certezza di gran parte della popolazione bianca americana della loro superiorità sulle altre razze.
Prima di chiudere il film con le immagini di Charlottesville del 2017, usandole molto più ampiamente di Michael Moore in Fahrenheit 11/9, Spike Lee ritorna ad una lunga citazione di Nascita di una nazione. La lunga scena di montaggio alternato in cui il novantunenne Harry Bellafonte racconta agli attivisti che lo circondano un episodio di linciaggio a cui ha assistito da giovane, mentre in una sede del KKK si inneggia al razzismo e alla violenza guardando Birth of a Nation è una delle più belle e rabbrividenti che il cinema abbia mai prodotto.