Fabrizio Gifuni e un cast di attori bravissimi tengono gli spettatori attenti e partecipi nelle quasi tre ore di Freud o l'interpretazione dei sogni, uno spettacolo impegnativo e coinvolgente, di Stefano Massini e Federico Tezzi in scena al Piccolo Teatro Strehler di Milano fino all'11 marzo.
E’ scandito dal contrastante susseguirsi delle note gioiose e rassicuranti di Strauss e da quelle dissonanti e destabilizzanti di Schönberg, rispettivamente accompagnate dalle immagini di un valzer di corte nella Vienna Imperiale reso come un sofisticato cartone animato e da un filmato che allude all’inconscio, il prologo dello spettacolo Freud o l’interpretazione dei sogni, adattamento teatrale del romanzo L’interpretatore di sogni di Stefano Massini, in scena fino all’11 marzo 2018 al Piccolo Teatro Strehler di Milano, per la regia di Federico Tiezzi.
Composta dal venticinquenne Arnold Schönberg in quel 1899 che vede anche la pubblicazione de L’interpretazione dei sogni (che Freud vuole però profeticamente datare 1900 consapevole della portata rivoluzionaria dei suoi studi), Verklärte Nacht, la notte trasfigurata, rappresenta la sintesi in chiave musicale dei profondi cambiamenti che la svolta del secolo porterà con sé.
Cambiamenti storici, che con la prima guerra mondiale configureranno un’Europa completamente diversa rispetto ai secoli precedenti, ma anche cambiamenti del modo di percepire la realtà da parte dell’individuo, che si affaccia all'ultimo secolo del millenio privo della fiducia positivista dell’800 e con lo spaesamento derivante dalla perdita delle sue certezze.
E’ l’uomo moderno, quello che diventa il centro dell’indagine dei grandi protagonisti culturali di inizio secolo, parecchi dei quali appartengono alla cerchia artistica viennese.
Personalità come Gustav Klimt o come Arthur Schnitzler (al quale Freud è legato da una particolare sintonia e da un bizzarro rapporto epistolare) i quali, sia parallelamente a Freud sia sull’onda de L'interpretazione dei Sogni, rompono ogni convenzione e sviscerano conflitti irrisolti, desideri inconfessabili e pulsioni nascoste, smascherando l’ipocrisia borghese.
Gustav Klimt, Bisce d'acqua, 1904
Basti pensare alle tele in cui Gustav Klimt dà libero sfogo alle più audaci fantasie erotiche o all'introduzione della tecnica letteraria del monologo interiore, che Schnitzler per primo utilizza proprio nel 1900 ne Il sottotenente Gusti, facendo emergere pensiero dopo pensiero lo squallore morale di un ufficiale dell'esercito. Nello stesso anno Schnitzler scandalizza ancora la società viennese con la divertente e "spudorata" catena circolare di doppi incontri sessuali, tra persone appartenenti alle più diverse categorie sociali, in Girotondo, diventato poi uno dei capolavori cinematografici di Max Ophüls.
C'è già molto Freud in Schnitzler, e viceversa, ancora prima di arrivare a quel conturbante Doppio Sogno che Stanley Kubrik trasferirà in una enigmatica notte newyorkese di fine millennio in Eyes Wide Shut, l'ultimo film della sua vita.
C'è talmente tanto Freud in Schnitzler che in una lettera al drammaturgo del 1922, Freud gli confesse di non averlo ancora voluto conoscere personalmente, pur avendo con lui uno scambio epistolare da diversi anni, per la paura di trovarsi di fronte ad un suo sosia. Un suo doppio, più dotato di lui, essendo arrivato istintivamente alla scoperta di ciò che per lui ha comportato anni e anni di lavoro, studi, conflitti e frustrazioni.
E sono alcuni di questi conflitti e frustrazioni che vediamo sul palco del Piccolo, non solo nel rapporto diretto tra Freud e i suoi pazienti, ma anche nei monologhi in cui il professore svela le sue difficoltà e fragilità nel tentativo di arrivare alla definizione di un metodo che metta inequivocabilmente in relazione la cosciente vita quotidiana ed l'inconscia vita onirica.
Tema centrale del lavoro di Massini, e conseguentemente anche di Tiezzi, è proprio la ricostruzione del faticoso percorso compiuto da Freud nella strutturazione della modalità scientifica con cui dimostrare che l’inconscio parla attraverso i sogni e che dentro di essi esiste il meccanismo per comprendere i comportamenti degli esseri umani e per guarirli da disturbi e patologie psichiche.
Per scrivere il suo "falso letterario", come Massini definisce il suo romanzo L'interpretatore dei sogni, l'autore dichiara di essersi servito non solo di sogni tratti dall’immenso repertorio freudiano, tra cui gli stessi sogni del professore oltre a quelli dei suoi pazienti, amici, familiari, conoscenti, colleghi, ma anche di alcuni tratti dal proprio patrimonio onirico.
Essi, rimaneggiati, assemblati, mescolati e poi affidati ai personaggi, in alcuni casi tratti dalla realtà freudiana in altri inventati, sono divenuti lo strumento attraverso il quale indagare lo scienziato e l'uomo Freud, tormentato investigatore che cerca di procedere verso la soluzione dell’intricatissimo enigma che vuole a tutti i costi risolvere.
La resa di tutto ciò è affidata a molteplici mezzi che confluiscono in un montaggio alternato ed ellittico di tipo cinematografico, tanto che lo stesso regista Federico Tiezzi dichiara di considerare questo spettacolo come il suo primo film. Monologhi del dottore o dei pazienti si alternano a dialoghi, per lo più a due o a tre, che in alcuni casi assomigliano ad incontri di lotta libera e che in altri casi si svolgono con scambi più pacati e riflessivi.
A loro volta le scene parlate si alternano a suggestive azioni corali in cui anche la scenografia gioca un ruolo essenziale.
Porte chiuse, inizialmente poste solo sul fondale, che col procedere dello spettacolo aumentano di numero comparendo anche lateralmente fino a delimitare completamente la scena. Da esse gli attori entrano ed escono sia in modo funzionale ai vari incontri con lo psichiatra, sia in un turbinio coreografico collettivo che lascia intravedere, oltre le soglie, spazi altri, illuminati. Spazi onirici che il subconscio popola di apparizioni surreali, spazi che ciascuno di noi conosce per averli frequentati nel sonno, quando anche le nostre porte, serrate durante lo stato di coscienza, si socchiudono, si aprono o si spalancano per lasciare il campo alle strane immagini con cui l’inconscio ci manda i suoi messaggi.
Foto di scena di Masiar Pasquali
Tutti gli attori sono bravissimi, ma chi naturalmente spicca, anche per la quasi ininterrotta presenza nelle circa tre ore di spettacolo, è Fabrizio Gifuni, che entra in scena subito dopo il prologo Strauss-Schönberg nei panni di un Sigmund Freud che Massini ha voluto ritrarre “nel mezzo del cammino della sua vita”.
Da una piccola pedana sul lato sinistro del proscenio svela fin da subito le sue debolezze di uomo rispetto alla sfida titanica che si è prefissata, anticipando quello che sarà lo sviluppo dello spettacolo. Fermo e compostissimo nel raccontare la bufera che lo agita internamente, Gifuni si serve solo di qualche movimento delle braccia e delle mani per sottolineare la tensione con cui il suo corpo e il suo viso riflettono l'inquietudine, mentre la voce dirige il flusso di parole e pause variando velocità, ritmo, intensità.
«Ho ascoltato negli anni centinaia di sogni. Li ho trascritti, studiati, sezionati come un chirurgo sui tessuti interni, alla ricerca di niente più che un senso. Se è vero che dentro di noi niente avviene senza un motivo, che ruolo hanno queste immagini notturne di cui noi spesso ridiamo?»
Forse arrivare a descrivere ogni sogno nel più piccolo dettaglio può aiutare. Ed ecco allora il professore impegnato in un intenso sforzo di memoria su un suo sogno (in effetti quello di un suo collega che però Massini trova più funzionale attribuire a Freud), che irrompe in scena attraverso una ripetizione ossessiva, finalizzata alla ricostruzione di tutti i particolari.
Ed alla fine il sogno è lì, in tutti i dettagli. Il cortile con la neve, le lucertole che emergono in fila fuori dal bianco e che Freud prende una ad una e nutre con le foglie di una pianta di cui riesce persino a ricordare il nome latino.
Eppure nonostante i dettagli il significato è ancora sfuggente.
Qual è allora la chiave per decodificare i segni e i simboli dei quali l’inconscio si serve per rivelare attraverso i sogni la frattura “tra la vita vissuta e la vita voluta”?
E intanto dietro di lui i piccoli rettili del sogno fanno la loro prima comparsa in scena, sottoforma di grosse teste di lucertola che gli attori hanno addosso sopra gli abiti neri d’epoca. Rappresentazione visiva di quel sogno che Freud non riesce a decifrare da solo, le lucertole ogni tanto riappaiono sul palco, così come il sogno stesso attraverso le parole, a testimoniare la prevaricazione dell’impotenza dell'uomo comune sulle ambizioni dello scienziato che ha osato credersi onnipotente.
Foto di scena di Masiar Pasquali
Ancora più incisiva è la scena del funerale del padre di Freud, nella quale i personaggi al seguito della bara con ombrelli neri attraversano il palco orizzontalmente, in un continuo succedersi di emblematici ed allusivi passi avanti e indietro. Ma la scena corale che più di ogni altra arriva a mostrare la disperazione della condizione umana attraverso la disperazione dell'uomo Freud è quella che chiude il primo atto. Freud-Gifuni irrompe sul palco, nudo, un’anima in pena senza punti di riferimento, incapace di trovare una via d’uscita in mezzo alla moltitudine di fantasmi neri che lo circondano.
Il significato simbolico di quella scena che tutti accomuna viene ribadito nel finale, sebbene in modo molto meno angoscioso, quando il pubblico viene direttamente coinvolto grazie ad una scenografia di specchi, che rimanda al meraviglioso Don Giovanni di Robert Carsen allestito alla Scala nel 2011. Il personaggio mozartiano attraversava tutta la platea, saliva sul palco e strattonava il sipario rosso che cadendo svelava una parete a specchio semicircolare, nella quale si riflettevano platea e palchi ancora debolmente illuminati
In questo caso non c'è la totalità visiva del rispecchiamento di Carsen, solo la parte centrale della platea è riflessa e illuminata, in quanto la parete di specchi collocata sulla estrema parete di fondo della scena è piatta. Tuttavia il messaggio è chiaro per tutti gli spettatori, ai quali Freud ora si rivolge con una percezione della loro presenza che prima non aveva. La fitta rete del sipario trasparente, che lo teneva isolato nei suoi pensieri nel monologo iniziale, ora non c’è più e lui guardando in sala riesce a vedere ciò di cui precedentemente non si era accorto.
«Mi trovo in un grande spazio, lo definirei un teatro»
Già doppi sognatori di per sé indipendentemente dallo spettacolo rappresentato, in quanto involontari fabbricatori di sogni e volontari spettatori dei “sogni” che il Teatro shakespirianamente riproduce, gli spettatori confluiti al Piccolo sapevano che si sarebbero trovati in un un ulteriore gioco di rimandi, essendo i sogni l’argomento stesso dello spettacolo.
Ma ora la conclusione, con quel vedersi riflessi in scena insieme al professore e ai suoi pazienti, che piano piano entrano in dalle porte laterali, non lascia più alcun dubbio.
Siamo tutti parte dell’“incorporea scena” di Prospero, “destinata a dissolversi” poiché, come il mondo e come la vita degli uomini, “è fatta della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni”.
Forse tutti quanti dovremmo ricordarcene un po’ di più.