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- Di Adamo Calabrese
Pinuccio Mancuso aveva farfugliato: “Mina anticarro.” e aveva passato alla donna un bottone di giubba militare, un bottone ammaccato come se fosse stato masticato dall’inferno.
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Mio padre aveva usato quella cravatta una sola volta per la cerimonia di conferimento del premio di poesia assegnatoli da un giornalino letterario. “Vuol sapere qualcosa delle sue poesie?”
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Povero Comico si trucca davanti allo specchio in un lago di lacrime. “Passatemi il cinabro!” e gli passano il cinabro. “Passatemi l’ocra!” e gli passano l’ocra
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Il portiere intinge la penna nel calamaio: “Dove sei nato?” L’interrogato tace. “Dove sei nato e in quale anno?” sul viso del viaggiatore appare un finto sorriso.
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Muto era invece il camaleonte che appariva sul davanzale della finestra e mi fissava con occhi da coccio di bottiglia.
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I due ascoltatori non sapevano che pensare, per un po’ si erano dondolati sulle sedie finché la donna si era fatta coraggio e aveva levato la mano. Aveva chiesto quale fosse la città ricordata nelle poesie. “Londra.” “Londra?” “Sì, Londra.” “Ci siamo stati anche noi.” aveva aggiunto il vecchio
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Agesilao socchiude l’anta centrale. Suo padre è là, gli occhi pieni di lacrime, le mani tremanti che stringono la risma dei suoi fogli manoscritti sui quali si raggrinzano vaste macchie di muffa.
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Le quattro del mattino! E’ l’alba. Il fuoco sui monti non c’è più. Menippo ha fatto un brutto sogno, si stropiccia gli occhi. Gli scarafaggi? Spariti! All’ora dovuta si presenta nell’aula. Davanti a lui una classe di svogliati
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Con le scarpe in mano aveva disceso la scaletta scricchiolante, sussurrando una “madonna” ad ogni sospiro dei gradini. Con le scarpe in mano si era calato in cucina dove l’aspettava la cartolina del re con l’ordine di presentarsi domani alla caserma più vicina
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Le sue dita scorrevano sui fogli, ne percepivano la scrittura esitante, come una risacca che sfocia sulla riva ma subito si ritrae e, poco per volta, ne decifravano il senso.
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Hamelin s’ingobbì stringendosi nel suo cappotto e rialzò il bavero fino agli occhi. Quanto tempo restò così porgendo l’orecchio a remoti tuoni? Si distolse quando la terra sospirò e si fece man mano più riconoscibile il sussultante avanzare di una carovana.
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Sono caduto in ginocchio raspando la terra con le mie mani intirizzite. Che terra nera! Te ne ho portato una manciata. Ecco qua, terra della valle di Giosafat: carbone d’alto forno, vera antracite.
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Il convoglio splende di luci che fluttuano da multipli lampadari di cristallo. Hamelin parla al libro: “Che cosa succede?” Anche Il libro è incuriosito. “Sì, qualcosa succede. Qualcosa che ha a che fare con l’infanzia.”
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“Chi ha visto il professore di matematica?” “Noi, noi non abbiamo visto nessun professore.” “Come non avete visto nessun professore? Chi siete voi per parlare così?” “Noi, noi siamo i lampioni delle strade…noi facciamo luce ma non vediamo niente, noi non abbiamo occhi.”
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E fuori, contro i vetri delle finestre, si affollano i più gagliardi venti: lo scirocco delle steppe spinge il ghibli del deserto, la tramontana delle Alpi balla con l’aliseo artico, il libeccio trottola su sé stesso.