Il portiere intinge la penna nel calamaio: “Dove sei nato?” L’interrogato tace. “Dove sei nato e in quale anno?” sul viso del viaggiatore appare un finto sorriso.
Se di notte sbatte una porta mi desto spaventato. Non c’è nessuno se non la sveglia che mi guarda con i suoi numeri fosforescenti. Addio sonno! Mi levo dal letto, vado alla finestra: la città che conosco non la conosco più. Addio sonno! Fa freddo! Non posso fare altro che scrivere. Scrivo di un mare in burrasca raccontatomi da un vecchio in coda a un funerale. (Avevo sbagliato funerale). Fa così freddo che devo mettermi in testa due cappelli.
Ecco qua: “ Mare, mare, mare che ribolle, burrasca sulla costa irta di scogli. Non c’è requie! Tempesta contro quel poveraccio di rappresentate di commercio con valigetta di cartone, scarpe col buco, cappello spelacchiato che arranca, inzuppato fino al midollo dalla pioggia battente. Egli si stringe al proprio ombrello rappezzato da difformi cotoni e prende fiato arrestandosi davanti al cane Setter di lungo pelo. “Salve!” saluta il viaggiatore “Mi chiamo Cervantes.” Il Setter starnuta e appagato torna al vicolo “Dei ciechi”, dalla sua padrona, la maestra di tedesco Frau Deutsche, che si consuma a rimuginare su colui che se n’è andato di soppiatto e mai più s’è visto. Se qualcuno l’ha veduto batta un colpo! Ma nessuno ha mai battuto un colpo o fischiato con due dita in bocca.
Alto là, alto là, ho già troppo divagato. Devo tornare a raccontare di quell’ansimante commesso viaggiatore che suona il campanello dell’ “Albergo del Fosso” suscitando un fuggi fuggi di gatti. Mi pare di vederlo mentre spinge la porta, il più lamentoso battente del mondo. Nella guardiola il portiere, occhiali di filo di ferro, è già pronto con la penna in mano. “Chi sei tu?” “Cervantes!” “Come?” “Ho detto Cervantes.” ”L’autore del Don Chisciotte?” “ Per servirla.” “Servirla, servirla!!! La gente si presenta nominandosi tesoriere del Re e se ne va dal camino senza pagare il conto.” Il viaggiatore alza le spalle: se il camino non è troppo stretto è pur sempre una via d’uscita. Il portiere tossisce e passa oltre. Con riguardo apre il registro dei rispettabili signori clienti: una nuvola di tarli e di formiche con le ali si solleva dalle pagine. Altro che il Vecchio Testamento, lì c’è la firma di tutti, dai primi, primissimi viaggiatori: Adamo ed Eva di sotterfugio, cacciati dall’Eden con un fagotto di stracci e niente altro. Lì c’è di tutto, fino all’ultimo arrivato, il sopraddetto Cervantes che dondola sui due piedi lasciando in terra una pozza d’acqua tanto è fradicio. Transeat, transeat!
Il portiere intinge la penna nel calamaio: “Dove sei nato?” L’interrogato tace. “Dove sei nato e in quale anno?” sul viso del viaggiatore appare un finto sorriso. Il portiere leva l’indice. Il cliente chiude gli occhi. Il portiere gli soffia in faccia. Finalmente il cliente parla, racconta della casa dove è nato. A bassa voce, come in confessione, parla del ripostiglio sbiancato a calce dove i suoi genitori riponevano le reliquie della famiglia: l’abito da sposa di sua madre, il pentolone per fare il sapone, la macchina da cucire, il tavolino col piano di pelle nera dove suo padre si sedeva a scrivere il Don Chisciotte. “A ricopiare il don Chisciotte…!” corregge il portiere. “Macchè, macchè, lui, proprio lui scriveva il Don Chisciotte!” “L’originale Don Chisciotte?” ”L’unico Don Chisciotte.” Il portiere si passa le mani sugli occhi: “Non sei tu che hai scritto il Don Chisciotte?” “Sì, certamente sono io.” “E tuo padre?” “Io sono mio padre.” Il portiere agita le mani come per scacciare un fantasma.
Intanto il cattivo tempo ha preso più vigore, la pioggia batte alle finestre con febbrili dita, vecchi tuoni invocano dal mare altra tempesta. D’improvviso lo schianto di un fulmine. L’ “Albergo del Fosso” diventa incandescente spaventando le ombre che frettolosamente scompaiono con stridio di topi. Poi buio! Il portiere accende un paio di candele, una per sé, l’altra per il cliente. Il viaggiatore s’avvia su per la scala seguito dalle ombre che sono risorte e come una masnada di servi petulanti gli offrono i propri servigi. Chi bisbiglia di volergli lucidare le scarpe, chi mettergli una penna sul cappello, chi servirgli la boule dell’acqua calda, chi pettinarlo, chi sussurrargli le orazioni della notte. L’uomo agita la candela contro quelle vane forme che rotolano giù per la scala. Che cosa è rimasto se non tanfo di zolfo?
Nel corridoio il viaggiatore spinge la porta numero sette. La candela getta un filo di luce. La camera straripa di vecchi libri, sulle mensole, sul pavimento di assi sconnesse, sul letticciolo stiracchiato, sul tavolino col ripiano di pelle nera dove è seduto… ” “Chi è seduto?” Il padre del viaggiatore! Impossibile, è un miraggio: No, no, è lui, il Cervantes padre del Cervantes. Il povero commesso viaggiatore trema come una foglia. “Davanti a tuo padre togliti il cappello!!!” grida la stanza numero sette. Il figlio ubbidisce senza batter ciglio. Guardatelo, senza cappello la sua testa è lucida come la luna. “Rimettiti il cappello!” concede la stanza. Sì, sì! il cappello che il pavido si calza fino agli occhi a difesa del nuovo fulmine che si scarica sull’ “Albergo del Fosso” con sfrigolare di azzurre scintille lungo i fili della corrente. Miracolo! si riaccendono tutte le luci: la lampadina della cantina, l’abatjour sul tavolo dell’ingresso, il lumino da morto nella camera numero sette.
Un momento: ora devo raccontare del portiere che, zitto zitto, ha seguito il cliente su per le scale ed ora sta con l’occhio incollato allo spioncino sulla porta. Cosa vede? Libri, libri, ma lui non sa niente di tutti quei libri squadernati e ingialliti. Che lui sappia, nell’albergo c’è solo una vecchia Bibbia. Egli non crede al proprio occhio che vede il viaggiatore seduto ad un tavolino di pelle nera e di fronte a lui suo padre. Vede che scrivono ciascuno sopra un proprio quaderno. Scrivono velocemente, schizzando inchiostro dal pennino, come se temessero di morire prima di aver terminato tutto ciò che hanno il dovere di scrivere. Dovere verso chi? Mah..?
Fuggevolmente levano il capo e si guardano. Il padre ha sguardo di falco che punta la biscia. Il figlio vorrebbe sprofondarsi. Sul suo viso sono apparse le pustole della varicella che l’aveva infettato da bambino. “Perché non hai finito il mio libro? Perché, perché?” Il figlio si confonde: “Io, io…” Il padre mostra i denti. Il portiere è spaventato: “Ruggini di famiglia…” si stacca dallo spioncino, si volta, riprende le scale, è nell’ingresso, inciampa, sta per cader, brancola, corre alla porta, esce curvo sotto la pioggia. C’è gente per la strada, gente che corre verso il mare. Uomini e donne con le braccia levate a chiedere aiuto. “Che succede?” vuol sapere il portiere. La maestra di tedesco, Frau Deutsche, stretta nel luttuoso scialle, grida: “E’ tornato, finalmente è tornato!” “Disgraziata!” La rimbecca un’altra donna. “E’ naufragio, naufragio sugli scogli!” La maestra di tedesco vacilla, le gira la testa, per fortuna si stringe al collo del suo cane Setter. Chi dice che l’ha vista piangere. Chi dice che è diventata una statua di sale. Chi dice che una statua di sale non piange, una statua di sale si scioglie sotto la pioggia e basta. Io non posso che raccontare ciò che ho sentito raccontare da altri che a loro volta hanno sognato e quei sogni ripetono come verità sacrosanta. Sbatte una porta nella notte spergiurando che è tutto vero.