Le sue dita scorrevano sui fogli, ne percepivano la scrittura esitante, come una risacca che sfocia sulla riva ma subito si ritrae e, poco per volta, ne decifravano il senso.
Quando l’al di là fu zeppo di anime da non esservi più posto per le sopravvenienti, invalse l’abitudine di sistemare provvisoriamente i propri cari in casa o meglio nelle domestiche dependance. Così il maestro, in vista dell’approssimarsi dell’inverno, aveva ricoverato le anime dei nonni materni nel capanno che fungeva da legnaia e da ripostiglio. Per loro aveva ricavato un angolo accanto alla vecchia stufa di ghisa e, per maggior conforto, aveva circondato il luogo con un riparo di balle di paglia.
I nonni si erano sistemati con il loro letticciolo, la cesta dei vestiti e la cassa dei libri. Essendo previsto un inverno particolarmente lungo, i libri racimolati erano volumi di moltissime pagine che avrebbero richiesto un infinito tempo di lettura, quale, tra gli altri, il “Viaggio intorno al mondo del capitano Cook”. Per gli abiti la nonna aveva scelto il suo cappotto col collo di volpe e, per il nonno, il tabarro di velluto rosso con i bottoni dorati. L’inverno era arrivato d’improvviso come un ladro che fugge dalla casa derubata saltando il muricciolo dell’orto. Gli animali delle alture erano calati fino agli orti del fondovalle e la temperatura era subito caduta sotto lo zero congelando il canale dietro la casa.
Senza più l’abbecedario dell’acqua corrente le notti avevano perso la parola, così come si era congelata la favella sulla bocca dei nonni. Al mattino, appena desti, i due vecchi non potevano dirsi nulla, raccontarsi i loro sogni, augurarsi una felice giornata, ricordare i tempi passati. Uno accanto all’altra, stavano seduti sul letto con i cuscini dietro la schiena guardandosi smarriti. Più perplesso era il nonno già circuito dal silenzio per la sua crescente sordità. Per percepire un suono il vecchio doveva tastare il petto della nonna finché sentiva i battiti del cuore di lei. “Ecco, sei viva” diceva e lei “ ma che viva e viva, siamo immortali.” Anche i rami dei vecchi alberi che si fessuravano per il gelo non davano alcun cric, semplicemente si sfarinavano come polvere in una casa abbandonata.
Tutto taceva fino a metà del giorno quando un effimero sole scioglieva le più sottili lingue di ghiaccio. Era allora che, appena appena percettibile da dubitarne l’esistenza, si udiva lo scricchiolio discontinuo e tormentato della penna del maestro che scorreva sulla carta. Il maestro scriveva, cancellava, riscriveva, leggeva, rileggeva, di nuovo scriveva come un ragno intento a tessere una tela ingarbugliata. I nonni tendevano l’udito, ascoltavano senza neppure fiatare perché il respiro non confondesse quell’esile fruscio della scrittura. Solo la nonna riusciva a decifrare qualche sillaba, una parola, raramente due o più parole che unite parevano la confessione di una intimità segreta che la faceva avvampare e che subito trasmetteva al nonno per condividere con lui quel turbamento. “Ha scritto: fuoco sotto la cenere” “Ah…” diceva il nonno. “Ha scritto: vento che ritorna.” “Ah, ha…” ripeteva il nonno. ”Scrive una lettera” aggiungeva la nonna. “A chi scrive?” “A lei?” “Sempre a lei.” “E lei risponde?” “Non so. Bisognerebbe curiosare in casa. Cercare, cercare...” “Cercare dove?” “Sotto il materasso.” “Già…” diceva il nonno “sotto il materasso.” “Sotto il materasso” confermava la nonna.
Così i due, quando il maestro partì per una delle sue frequenti assenze, furtivamente sgusciarono dalla legnaia e senza lasciare traccia nella neve alta, essendo puri spiriti, si infilarono nella casa passando agevolmente dal buco della chiave. Al loro apparire le ombre che facevano baldoria per l’assenza del padrone corsero a nascondersi sotto il tavolo, dentro la credenza, nel camino, ovunque vi fosse un mascherato pertugio. Dappertutto si vedevano luccicare i loro occhi spauriti. Nel centro del luogo si elevava Il letto del maestro come una catena montuosa di trapunte e cuscini dentro i quali, per l’aroma sorgente, dovevano essere pigiati fieni, paglie, penne di cicogne e piume di ogni altro volatile che migrando sostava sulla casa per prendere fiato.
La nonna cacciò una mano sotto il materasso. Frugava, frugava finché incontrò una risma di lettere. Le sue dita scorrevano sui fogli, ne percepivano la scrittura esitante, come una risacca che sfocia sulla riva ma subito si ritrae e, poco per volta, ne decifravano il senso. Forse il cuore della donna ebbe paura perché lei subitamente ritrasse la mano e accostandosi al nonno gli soffiò nell’orecchio: “Via, via! Andiamo! Noi siamo puri spiriti, non dobbiamo soffrire.” “Come?” chiese il nonno tremando nell’abisso della sua dilagante sordità “Ho detto” parlò più forte la donna “che siamo puri spiriti, inaccessibili al dolore.” E un’ombra appiattita nell’angolo più remoto della stanza sospirò: “Dolore, quale dolore?” “Io, io lo so” ribatté un’altra voce sorta da sotto il tavolo.
Intanto il maestro saliva la montagna affondando nella neve fino al ginocchio. Il suo respiro si era fatto affannoso, il cuore batteva forte. Egli si fermava sempre più spesso e prima di riprendere il cammino passava la mano sul giubbotto per assicurarsi della lettera che aveva in tasca. Per un attimo la lettera si scioglieva dal suo silenzio e lasciava che le parole scorressero come lacrime.
Bibliografia
Mandragola Schweigen
Regolamento per il recapito della corrispondenza durante il governo di Maria Teresa d’Austria nelle terre strappate ai turchi dopo la battaglia di Durazzo.
Vienna, 1753