Il convoglio splende di luci che fluttuano da multipli lampadari di cristallo. Hamelin parla al libro: “Che cosa succede?” Anche Il libro è incuriosito. “Sì, qualcosa succede. Qualcosa che ha a che fare con l’infanzia.”
Nel buio della notte invernale Hamelin scruta dalla finestra le vestigia della città, ostinandosi sul remoto furore di fuoco della fabbrica del ferro. Più volte gli altiforni divampano fino alla cupola del cielo, fulminando gli edifici e le rare figure umane che corrono a nascondersi dove trovano riparo: cinema con proiezioni di vecchi film: (Il Sergente York, il Sergente York con Gregory Peck), bar con biliardi lacerati da furibondi colpi di stecche. Poi le colate di ferro si spengono sotto i tonfi dei magli e, ad ogni colpo, un tremito corre lungo i binari delle tramvie come una febbre che raggrinzi la pelle della città.
Hamelin chiude le imposte. Ora nella stanza è buio completo e Hamelin con le mani protese tasta lo spazio. Ecco la sedia con l’alta spalliera di legno e, scendendo, la ruvida paglia del sedile. Il tavolo, e sul tavolo i residui della cena: il piatto, la scodella, il pane. Hamelin tentenna come un vascello che stenti a lasciare il porto, poi s’arresta: un cane abbaia nella notte, lontano come una voce che sussurri. Hamelin si volge alla parete con lo scaffale dei libri. Ora le sue mani accarezzano il dosso dei volumi riconoscendoli uno per uno. Egli parla con i libri e i libri accolgono le sue parole come prova di fondata amicizia.
Poi Hamelin incontra il libro che cerca, lo saluta e gli chiede notizie dei suoi familiari. Il libro risponde evocando la casa dei suoi genitori. Dice il libro: “Laggiù è già arrivata la neve.” Hamelin chiede al libro se sia disposto ad accompagnarlo in visita all’amico che vive sui monti. Il libro accetta volentieri la proposta. Hamelin e il libro si mettono in viaggio quando non è ancora l’alba. Nella stazione ferroviaria vi sono pochi viaggiatori, ciascuno chiuso nel proprio mantello col bavero rialzato fino agli occhi: uomini che rimuginano, donne che ascoltano il proprio cuore, ragazzi con quaderni di poesie… Sotto le pensiline soffia un freddo vento che rapisce zaffate di zolfo dalle scorie degli altiforni.
Transita, a passo d’uomo, un treno - merci carico di rottami: carcasse di automobili, di motociclette, affusti di cannoni, grossi proiettili, mine con fattezze di bestie, spinosi reticolati: merce destinata alla fabbrica del ferro. Ferrovieri, tenendo alte le lanterne, scrutano i vagoni. Improvvisamente gridano agitando le luci. Hanno scoperto ciò che cercano? Il treno si arresta con fragorose eruzioni di scintille nell’attrito tra ruote e binari. I ferrovieri si infilano tra i rottami incuneandosi come talpe di luce monocola.
Hamelin ha voltato le spalle al convoglio. Non vuole vedere ciò che sta per accadere, ciò che è già accaduto, ciò che non finirà mai di accadere. Un urlo, uno sparo: i ferrovieri hanno scovato l’anarchico raggomitolato in una matassa di puntuti reticolati. Sì, lui, l’amico del padre di Hamelin: Libero Speranza, a suo tempo gloriosamente sparito nelle camere a gas di Auschwitz… E’ lui, è lui, c’è la lapide col suo nome nella periferica stradina della città del ferro, dove non passa un cane. Pietà, pietà per le memorie ormai scancellate.
Per fortuna cala la nebbia. Una nebbia fittissima entro cui il treno dei rottami si immerge lentissimamente, con attutito sferragliare, come un viaggiatore che per estenuata malattia diventi sordomuto. Hamelin stringe al petto il libro e il libro sente battere precipitosamente il cuore dell’uomo. “Non temere” rassicura il libro, “Già nevica sulla casa dei miei genitori.”
Poi, nel buio ventre della nebbia, esplode un petardo. Via, via! La stazione sembra crollare. Le vane sagome dei viaggiatori ondeggiano come fiamme nel vento e una dopo l’altra si dissolvono: nebbia nella nebbia. Annunciato dal petardo appare il treno di Hamelin che si arresta leggero come un uccello che atterri.
Il convoglio splende di luci che fluttuano da multipli lampadari di cristallo. Hamelin parla al libro: “Che cosa succede?” Anche Il libro è incuriosito. “Sì, qualcosa succede. Qualcosa che ha a che fare con l’infanzia.” Hamelin sorride e, mentre la nebbia si dirada, sale sul treno. E’ entrato in una carrozza di stucchi dorati e rossi velluti intitolata “Sacher- Kaffee”. Vi sono festosi viaggiatori, con abiti che hanno la foggia del tempo dei suoi genitori. Dame con grandi cappelli piumati, gentiluomini con monocoli d’argento. In una tazza di translucida maiolica Hamelin beve un caffè che sprigiona aromi orientali. Il libro di Hamelin lietamente sussurra: “Già nevica, sulla casa dei miei genitori.”
Hamelin chiude gli occhi e si protende in un pacifico sonno gratificato dalle voci dei viaggiatori: chi sorride, chi sospira, chi ricorda il passato, chi predice il futuro. Poi, sopra tutto, mentre si attenuano i lampadari e si accendono gli abat - jours, si leva il canto di una donna.
Hamelin stringe il libro: “Che succede?” “E’ l’infanzia, anzi, ancor prima dell’infanzia, quando i tuoi genitori non si conoscevano ma già si cercavano tra le stelle della notte.” Hamelin scivola nel sonno ma fa in tempo a guardare in alto l’immenso cielo stellato: è estate, lui e i suoi genitori abitano
sulle colline prospicienti il mare. E’ la notte del dieci di agosto, lui e la madre stanno alla finestra a contare le stelle cadenti che il padre, salito sul tetto, annuncia già vedendole arrivare dal promontorio della Mortola. Hamelin si sveglia quando il treno “Sacher – Kaffee” si arresta, con un tintinnare di sonagli, alla “Petite – gare” ai piedi delle Alpi. Hamelin scende dal treno.
Il suo amico è là, col leggero abito da esploratore delle Indie. E’ come se fosse sempre stato là, da secoli e secoli, perché niente di lui si muove, né un filo dei capelli, né una piega dell’abito. Il suo sorriso pare scolpito nella pietra lunare. L’amico di Hamelin ha gli occhi chiusi eppure il suo sguardo si diffonde come una cascata d’acqua sorgente. Hamelin avanza d’un passo e protende il libro verso l’amico. “E’ per te.” L’amico di Hamelin è senza respiro, eppure Hamelin sente che sussurra: “Non ci sono, non ci sono più” e svanisce nell’aria azzurra del mattino estivo.