Agesilao socchiude l’anta centrale. Suo padre è là, gli occhi pieni di lacrime, le mani tremanti che stringono la risma dei suoi fogli manoscritti sui quali si raggrinzano vaste macchie di muffa.
È sorta la luna, è tramontata la luna, dopo il sole è piovuto, poi c’è stato vento, molto vento, quindi la neve è caduta copiosa e quando si è sciolta sono spuntate le gemme sugli alberi e i successivi boccioli hanno partorito pere Kaiser e mele cotogne. Nell’aiuola dei fagioli la gatta nera ha fatto i gattini.
E’di nuovo estate, ma da troppo tempo Agaste non ha più notizie di Menippo. Che fine ha fatto il professore di matematica? Si metterà il cappello quando d’improvviso tira vento?” Sulla porta di casa la donna torce ansiosamente il fazzoletto interrogando i viaggiatori che passano. Chi ha visto Menippo addormentato sui banchi delle biblioteche pubbliche: e come russa! Chi lo ha incontrato a colloquio con gli uccelli degli alberi. “Macchè uccelli” dice il corriere che va avanti e indietro da Efeso: “Il professore è all’ospedale.” “All’ospedale di Efeso?” “Sissignora, all’ospedale di Efeso.” Agaste impallidisce: “Come mai, all’ospedale di Efeso?” “E chi lo sa. Sta con la faccia rivolta al muro e parla. Chissà con chi parla?”
Agaste è lì lì per svenire ma si fa coraggio cucendo vecchi stracci di lana per un nuovo gilet di Menippo. Cuce, cuce soprattutto di notte perché la quiete del buio le fa compagnia come se il professore fosse accanto a lei ad infilare l’ago, annodare il filo, dare uno zac di forbici alla gugliata troppo lunga. Agaste canta: “Filo di su, filo di giù, filo di lana, filo di seta, chi ha paura della morte scappi via da qui!” Quando il gilet è pronto lo consegna al corriere di Efeso.
Dopo alquanti giorni il corriere ritorna: “Menippo non è più all’ospedale!” “Morto..?” “Macchè morto. E’stravivo. Ha vinto il concorso per una cattedra di algebra ed ora gira con le mani dietro la schiena, impomatato di brillantina e scarpe lucide.”
Menippo è un bravo insegnante, non solo riempie la lavagna di equazioni, ma si fa in quattro a spiegare le relazioni tra i numeri ed i pensieri notturni che rodono gli animi: “Che numero ha l’immortalità dell’anima? L’immortalità dell’anima ha il numero sette! E le premonizioni della morte che numero hanno? Le premonizioni della morte hanno infiniti numeri, sono più delle gocce del mare.”
L’uditorio resta a bocca aperta e un giovane studente, Codaditopo Agesilao di Sparta, alza la mano per sapere se veramente il formarsi di umidità sulle pareti di casa sia la réclame della imminente fine propria o di qualche caro congiunto. Menippo chiude gli occhi e allarga le braccia. Agesilao resta interdetto, raccoglie i suoi quaderni, zeppi di scarabocchiate poesie, e se ne va con un peso sul cuore: “I suoi genitori sono ancora vivi?”
Il giovane s’incammina per tornare a casa mentre il brontolio di un remoto temporale lo accompagna raccomandandogli di affrettarsi: “Uno due, uno due, avanti marsch!!! Il giovane arriva a Sparta col fiato grosso. E’ notte fonda quando entra in casa: nessuno! In punta di piedi sale la scala che dà alla camera dei genitori. “Ssst…!” I gradini non scricchiolano, comandati al silenzio. Agesilao pone la mano sulla maniglia della porta che piagnucola: “Troppo tardi.” Il giovane entra trattenendo il respiro: nessuno.
Sul maestoso letto non vi sono impronte umane. Sul comodino, dalla parte di suo padre, un libro aperto. Dalla parte di sua madre il bicchiere con l’acqua. Agesilao si guarda in giro mentre riaffiora la sua infanzia: torna il ricordo del padre addormentato con le braccia e il capo posato sul suo manoscritto, mentre le mosche gli ronzano intorno come una divina aureola. Sua madre in piedi col dito sulle labbra. Agesilao si scuote mentre un colpo di vento spalanca la finestra e le ombre gridano sgomente: “Troppo tardi, troppo tardi!” Ma il greve armadio, sette ante e sette specchi, canterella: “Fuochino, fuochino…”
Agesilao socchiude l’anta centrale. Suo padre è là, gli occhi pieni di lacrime, le mani tremanti che stringono la risma dei suoi fogli manoscritti sui quali si raggrinzano vaste macchie di muffa. “Padre, padre!” grida Agesilao “dammi i tuoi scritti, continuerò io.” Ma il padre stringe al petto le sue carte e come lupo scovato nel folto del bosco mostra i denti. Accanto a lui la madre scuote la testa: “Codaditopo il tuo destino è un altro. Il tuo destino non è scrivere, il tuo destino è la battaglia delle Termopili.”
Rataplan, rataplan, rataplan… l’esercito persiano è in marcia tra rulli di tamburi e grida militari. Agesilao è nelle prime file dei greci, duri come statue in attesa che il loro fato si compia. Egli avrebbe voluto scrivere seguendo il magistero del padre. Avrebbe voluto lasciare una traccia come il granchio di mare che va a zig zag sulla sabbia. Ma il suo destino è un altro. Il suo destino è la freccia persiana che lo trapasserà come l’ombra di un uccello che vola.
Rataplan, rataplan…con truce volto e fermo polso i soldati di Serse avanzano leccando il filo delle spade e incidendo sulla fronte la diritta ruga della volontà vittoriosa. Davanti a loro fugge la gatta nera con i suoi gattini. Fugge il cagnolo zoppo invocando la pia padrona. Fuggono i selvatici del bosco: scoiattoli con baffi, ricci centospilli, volpi travestite da chiocce, cavallette soprano e mezzosoprano, farfalle in abito da sposa…fugge l’estate nella gloria del turgido fogliame ancora ignaro del voltafaccia del tempo che ammassa burrasche ai confini del mondo, oltre Persepoli, molto oltre Persepoli, più in là del bottone della camicia. Laggiù convengono nuvoloni, doppituoni. strafulmini, ventacci, pioggia mista a grandine per fiaccare le già mature vigne. Niente si salverà e Codaditopo sarà tra i primi caduti. Povero, acerbo poeta illuminato da subitanei estri destinati a rabbuiarsi come le fiammanti luci del tramonto estivo…rataplan rataplan rataplan… Menippo ha ricevuto il gilet di Agaste, davanti al quale s’inginocchia baciandone l’orlo: “filo di su, filo di giù, filo di lana, filo di seta, chi ha paura della morte scappi via da qui!”