Transitions towns, decrescita felice, bioregionalismo, panarchia e spiritualità laica
Con questo servizio dossier abbiamo esplorato alcune utopie moderne, quelle nate negli ultimi decenni. Nonostante da più parti ne sia stata decretata la scomparsa, le utopie esistono e si evolvono. Ancora svolgono la funzione di immaginazione prospettica verso modelli ideali futuribili, seppure siano relegate in ambiti marginali della popolazione. Il sociologo Zygmunt Bauman ha coniato il temine retropie per concettualizzare l'attuale tendenza dominante, propensa al rigetto di una percezione del futuro che appare indecifrabile e allarmante e che trova come ripiego la negazione dell'utopia. La retropia prende dunque forma con il tentativo di recuperare modelli del passato, dove si presume che le certezze avessero solida stabilità negli assetti sociali e politici. Questa presunzione, cioè l'idea di reiterare forme del passato difficilmente riproducibili, si accomuna al carattere illusorio insito nell'utopia. La differenza sta nel guardare indietro invece che avanti.
Non è la prima volta che la storia umana attraversa periodi di grande instabilità e confusione. Il cambiamento epocale in cui siamo immersi, che va sotto la nome di globalizzazione, è paragonabile alle grandi trasformazioni avvenute per esempio con il passaggio dalle caverne alle tribù, al villaggio e infine allo Stato nazione. La trasformazione attuale fa intuire un ulteriore passaggio dallo Stato nazione a qualcosa d'altro. Alcuni, per definirlo, hanno preso in prestito il termine di “villaggio globale” da Marshall McLuhan, ma a questo non è corrisposta un'identità chiara e delineata del mondo a venire. È proprio questa incognita che genera riluttanza e timore: il procedere verso un ordine sicuramente stravolto rispetto a quello attuale, con gerarchie e valori completamente diversi, da inventare e interpretare.
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