Intervista a Gian Piero de Bellis, studioso e ricercatore della Panarchia
La Panarchia
Continuiamo il nostro tour, cominciato con il Bioregionalismo, in quelle che abbiamo definito Post Utopie, perché, a differenza delle utopie classiche, contengono parti, anche se minimali, già realizzate, o in fase di assimilazione, nelle trasformazioni epocali che stiamo attraversando. Panarchia, Poliarchia e Personarchia sono tre categorie di pensiero complementari e intrecciate tra loro. Ne abbiamo parlato con Gian Piero de Bellis, studioso che vive in Svizzera, durante un suo recente passaggio a Milano. Gian Piero de Bellis non è propriamente un pensatore, né un idealista utopista classico: è più semplicemente un appassionato ricercatore che, attraverso una ricerca metodologica, sta riportando alla luce, dandogli nuova vita, elementi del pensiero liberale, anarchico e libertario nati a metà dell'ottocento.
Il concetto di Panarchia nasce esattamente nel 1860 da uno scritto del botanico belga Paul-Emile de Puydt, ma resta quasi completamente sconosciuto. Come avviene in un processo carsico, scorre nei sotterranei della conoscenza, sottostanti al massimo fulgore di un epoca alle prese con lo sviluppo capitalista e industriale, per poi riaffiorare nel 1909, riproposto nell'articolo di Max Nettlau Un'idea dimenticata e visibile a pochissime persone dell'epoca. Subito dopo viene ringhiottito nel sottosuolo e riemerge negli anni '50 ad opera del libertario tedesco John Zube che ne aveva rintracciato il manoscritto originale, poi andato perduto. Passano altri anni e nel 1999 un altro ricercatore, Gian Piero de Bellis, lo riporta ancora in superficie.
La zona industriale di Sheffield, quando la città aumentò del 500 per cento. Gli operai vivevano ammassati negli alloggi fatiscenti dei quartieri degradati (slums). Litografia del 1855 (Sheffield, City Museum)
La Panarchia (o Poliarchia, i due termini oramai si sovrappongono nel significato) appare oggi come una suggestiva possibilità di andare oltre la crisi dello Stato nazionale a sovranità territoriale e in grado di superare le complicazioni dei processi legati alla globalizzazione. La Panarchia propone uno spazio non territorializzato che può contenere tutto: forme di pensiero anche diverse o antitetiche che possono convivere tra loro, basandosi sulla tolleranza, nonché nel rispetto reciproco e nella libera scelta associativa. Al contrario delle altre Post Utopie che stiamo esaminando, non è un movimento organizzato, ma un pensiero e un metodo adattabile alle complessità del mondo attuale. Presuppone una mutazione radicale degli schemi mentali dominanti e il superamento delle ideologie in quanto ismi contrapposti, di cui i sostenitori hanno la finalità di prevalere su ogni altro diverso: capitalismo, socialismo, liberalismo, comunismo, fascismo ecc. Per ora è fonte di studio in alcuni istituti di ricerca e università negli Stati Uniti e in Europa. Gian Piero de Bellis si sta occupando di documentare lo sviluppo dell'idea, le sue molteplici radici e collegamenti (liberalismo, libertarismo, socialismo utopistico, anarchia) e a divulgarne la conoscenza, pubblicando le scoperte in rete nel sito panarchy.org.
Gian Piero de Bellis
Gian Piero de Bellis, sei nativo italiano, però risiedi all'estero. Dove?
Ho abitato a lungo in Inghilterra e ora abito a Saint-Imier che fa parte del Canton Berna, Svizzera. Lì ho aperto un centro documentazione (World Wide Wisdom).
Dove hai vissuto in Inghilterra?
A Oxford, per quasi venti anni. Credo che l'Inghilterra sia stata fondamentale a formarmi nell'approccio ai metodi di ricerca e alla documentazione.
Hai frequentato l'università?
A Oxford ho frequentato il politecnico, che però non fa parte dell'università e ora è diventato Brookes University. Ho fatto un corso di progettazione e conservazione. I miei interessi erano, tra gli altri, anche nel campo dell'architettura e della pianificazione. Ho studiato all'Università Statale di Milano (Scienze Politiche) e poi in quella di Roma (Sociologia), dove ho redatto un tesi sulla divisione tra Campagna e Città. Prima mi ero occupato del tema della divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale che sono i pilatri fondanti del pensiero anarchico e socialista, a cui purtroppo non si dedica quasi più nessuno.
Sono i temi dei socialisti utopisti come William Morris?
Morris ha scritto alcune cose sul tema, però lui era più indirizzato all'artigianato e a una concezione medioevale. Invece Kropotkin e anche Engels hanno scritto lavori molto più interessanti.
Questo è riferito al'800?
Si, alla fine dell'ottocento, quando ci sono state le prime esperienze delle città giardino in Inghilterra. Oggi esistono, anche se in gran parte sono state realizzate nei sobborghi, in ambienti residenziali con molto verde. Si può dire che il concetto del rozzo campagnolo, dell'idiotismo rurale, a cui fanno riferimento Marx ed Engels, cioè l'arretratezza della campagna rispetto alla città, sia stato o possa essere superato. Ora abito in un piccolo centro in Svizzera, eppure qui, attraverso le connessioni, si può comunicare e ordinare qualsiasi cosa da luoghi molto lontani e riceverla in pochi giorni. Non è ancora così ovunque, purtroppo: in Italia e in particolare nel sud, attualmente i piccoli centri sono serviti malissimo.
L'Inghilterra è stata importante per la mia formazione metodologica, ma a un certo punto è diventato un luogo regressivo e poco affine ai miei modelli
Perché hai lasciato l'Inghilterra?
L'ho fatto durante il periodo del coinvolgimento di Tony Blair nella guerra in Iraq. L'Inghilterra è stata importante per la mia formazione metodologica, ma a un certo punto è diventato un luogo regressivo e poco affine ai miei modelli: sono prevalse politiche stataliste e populiste che poi abbiamo visto sfociare nella Brexit. Quindi ho cominciato a pensare ad altri luoghi in cui vivere. Sono tornato per un breve periodo in Italia e ho aperto alcuni siti web. Il primo sito è stato polyarchy.org, perché avevo preso spunto da uno studioso americano che aveva inventato la parola polyarchy, intesa come presenza di vari gruppi per la gestione del potere nell'ambito della democrazia. Tuttavia già allora intendevo il concetto in modo differente: pensavo all'esistenza di società parallele, non come una democrazia con all'interno gruppi paralleli, ma come un modo per le società di vivere l'una accanto all'altra. Senza che le prossimità siano causa di ingerenza: ognuna vive secondo le sue regole, nel rispetto delle altre.
Quando hai creato il sito?
Nel 1999. Proseguendo il lavoro, sono giunto all'idea evolutiva della Poliarchia, considerandola un fase verso un modello in cui ogni individuo diventa un centro autonomo. Questa l'ho chiamata Panarchia.
E' una tua invenzione?
No. E' stata pensata dal botanico belga Paul-Emile de Puydt e inserita in un articolo pubblicato nella Revue Trimestrielle di Bruxelles nel 1860. L'ho scoperto dopo, perché non conoscevo il testo e nemmeno conoscevo la riscoperta del testo, finito nel dimenticatoio per quasi 100 anni e recuperato dall'oblio negli anni '50, a opera del libertario tedesco John Zube che ora vive in Australia. Nel 2000, dopo che avevo scritto Poliarchia: un manifesto manifesto, John Zube mi contattò, inviandomi una e-mail. Qui analizzava punto per punto le 49 tesi del documento che avevo pubblicato e mi portava a conoscenza del testo di de Puydt. Allora ho iniziato a indagare. Dopo lunghe ricerche sono riuscito a ritrovare un esemplare originale dell’articolo presso la Bibliothèque Royale de Belgique. Subito dopo ho aperto il sito panarchy.org.
Di cosa tratta questo articolo?
Per cominciare a inquadrane bene i concetti, ho dovuto leggerlo cinque volte. Propone l'idea di formare comunità volontarie non territoriali che si autogestiscono. Il concetto principale è il non territorialismo che possiamo definire con il termine Aterritorialismo e cioè la fine di qualsiasi sovranità territoriale monopolistica, pretesa e imposta dagli stati. Con questa idea geniale siamo a un livello più evoluto del concetto di comunità anarchica, comunemente intesa come associazioni di micro comunità, ma pur sempre circoscritte nelle territorialità.
Incroci....Pericolosi? - 70x100x2,5 cm ~ Pittura, Smalto ~ Tela - di Marco Sergio Fassiotti - 2014
La Panarchia è una pratica che, per certi versi, si sta realizzando nel nostro vivere quotidiano
Ricordano vagamente alcuni concetti creati da Gilles Deleuze e Felix Guattari, come quello di Rizoma e della deterritorializzazione, trattati nella parte finale di Millepiani, che però sono ancorati in un campo prettamente filosofico. Tutto questo può coniugarsi con il fenomeno attuale della globalizzazione?
Penso di si. La Panarchia è una pratica che, per certi versi, si sta realizzando nel nostro vivere quotidiano. Vorrei fosse ben chiaro che la Panarchia non è un ideologia politica, ma è una metodologia. La politica non c'entra assolutamente nulla. E' la vera anarchia (autogestione comunitaria) realizzata.
Però, se viene utilizzato il concetto di Stato e di non Stato, non rientra in un ambito politico?
No, de Puydt immagina la presenza di panarchie in forma plurale, quindi non come una ideologia totalizzante che tutti dovrebbero accettare. Nelle panarchie ci può stare tutto: comunità, club, agenzie di servizi, tutto quello che si vuole, anche stati, ma non territoriali. Quindi ci possono stare anche persone che non si riconoscono in nessun club e in nessuno Stato. Per capire meglio, va preso in esame il pensiero contenuto in “Sulla produzione della sicurezza” di Gustave de Molinari (1849), testo scritto 15 anni prima dell'articolo di de Puydt che, come avevo detto, era caduto totalmente nel dimenticatoio. In questo testo si possono decifrare alcuni concetti anticipatori della Panarchia.
Perché le proposte di Molinari non furono accettate?
Subito dopo la pubblicazione dello scritto, era stata organizzata a Parigi una riunione degli economisti e pensatori liberali. Hanno prevalso le concezioni del potere monopolistico: i più influenti leader liberali non erano disponibili a liberalizzare la gestione della sicurezza. Le idee di Molinari sono state rigettate, perché gli esponenti liberali avevano a cuore solo la concorrenza economica e nessun interesse per la liberalizzazione della sfera politica. Nel 1905 Max Nettlau ha riscoperto il testo e lo riproposto nello scritto Un'idea dimenticata.
Carl Röchling, Unser Heer, Stechschritt üben,um 1910
Al giorno d'oggi stanno emergendo diverse esperienze di comunità che nascono da esigenze di civiltà, o come conseguenza dei guasti che stanno provocando le democrazie
Non c'è stato un seguito?
Però è cominciata a maturare l'idea, non potendo gli anarchici convincere e costringere tutti, a pensare a società parallele. Pensiamo alla libertà di religione: è un qualcosa che già esiste in forma aterritoriale. Nei nostri spazi territoriali non ci sono più poteri impositivi e di controllo di vescovi e sacerdoti, di soggetti che hanno il monopolio religioso: coesistono liberamente diversi credi religiosi, o non credi, strutturati in comunità e liberi da imposizioni. Questo, come anche l'abolizione della schiavitù, sono il frutto di un evoluzione della civiltà. Al giorno d'oggi stanno emergendo diverse esperienze di comunità che nascono da esigenze di civiltà, o come conseguenza dei guasti che stanno provocando le democrazie.
Guasti di che tipo?
Guardiamo esempi macroscopici: la Brexit in Inghilterra e l'elezione di Trump negli Usa o la recente vicenda della Catalogna: hanno spaccato i paesi in due. La democrazia sta producendo dei mostri. Perché la democrazia è totalitaria. E' una forma di tirannia: la tirannia della maggioranza.
E' la stessa concezione espressa 2500 anni, nel periodo di Pericle, nel libretto di un anonimo ateniese e con titolo “ la democrazia come violenza?
Lo ha scritto anche Alexis de Tocqueville in la La democrazia in America, evidenziando i pericoli a cui può incorrere la democrazia quando ha lo strapotere e annichilisce le minoranze. La Panarchia supera la divisione maggioranze-minoranze. In questo periodo sto lavorando a una enciclopedia dell'anarchia, traducendo molti testi di autori sconosciuti e dove sono presenti in varie forme le idee di società parallele.
Come Élisée Reclus?
Si e tanti altri. Sto scoprendo una quantità inaspettata di scritti, anche legati a quei concetti di comunità aterritoriali e mai tradotti in italiano.
Anche Proudhon non era stato tradotto?
In gran parte si, ma alcune sue opere, come “La teoria della proprietà”, hanno avuto una circolazione molto ridotta. Per quanto riguarda il testo di de Puydt, dopo che ho aperto il sito sulla Panarchia ho ricevuto collaborazioni da sconosciuti. Siamo riusciti a inserire alcune versioni: oltre che in inglese, francese, tedesco e italiano, anche in spagnolo, portoghese e in greco. Questo lavoro di divulgazione ha fatto avvicinare molte persone che, pur non conoscendo la Panarchia, ne condividono i concetti di fondo. Così sta nascendo una rete internazionale, con contatti che vanno dalla Svezia, alla Germania, agli Stati Uniti, all'Australia. Insieme a Aviezer Tucker, con cui ci siamo incontrati a Berlino e poi a Ginevra, abbiamo composto una antologia Panarchy: Political Theories of Non-Territorial States, uscita nel 2015 per le università e centri di ricerche negli Stati Uniti. Sempre nel 2015 ho ricevuto la proposta, da parte di Raffaele Alberto Ventura di Parigi, di pubblicare un'antologia di Panarchia in italiano che è uscita a Maggio del 2017 (D Editore) ed è stata presentata al Salone del Libro di Torino.
La mappa politica dopo la Pace di Westfalia del 1648
Il territorialismo è il monopolio della sovranità su un determinato territorio
Leggendo una recensione fatta proprio da Raffaele Alberto Ventura al vostro libro, Aviezer Tucker sostiene in un passaggio che i panarchici e la società multietnica sono una risposta alla crisi dello Stato moderno, nato con la Pace di Westfalia nel 1648. Ora, se da un a parte è vero che proprio da questa data si configura lo Stato moderno, con l'imposizione di regole alla popolazione stanziata in un determinato territorio e quindi territorialista, dall'altro, in Germania, ma anche in Italia, furono riconosciuti una serie di micro stati, confinanti tra loro e con religioni e ordinamenti differenti. Non potrebbero configurasi in un modello panarchico di stati contigui, diversi ma coesistenti e pacifici?
Non proprio, perché erano comunque territorialisti e impositivi, mentre nella Panarchia, come ho detto prima, c'è un principio di aterritorialismo, dove si può convivere in modo differente nello stesso spazio territoriale liberato dai confini. C'è una distinzione fondamentale tra la territorialità e il territorialismo: la territorialità sono i prodotti della vita nel territorio, tutti viviamo in un territorio, il territorialismo è il monopolio della sovranità su un determinato territorio.
Però questa configurazione è durata 200 anni, ritardando la costituzione degli stati nazionali tedesco e italiano.
In realtà a un certo punto è saltata, perché i flussi del commercio erano condizionati dai dazi doganali. Quindi sono stati costretti allo Zollverein, l'unione doganale, che è stata la fase precedente all'unione politica. C'è il lavoro dello storico svedese Eli Heckscher con Il Mercantilismo (1935) che ha studiato i meccanismi mercantili e anche quelli legati ai blocchi di flusso mercantile sul Reno. Stiamo parlando di micro feudi del tutti uguali ai macro feudi, come la Francia o l'Austria. Lo Stato nazionale è un macro feudo, molto esteso e composto da milioni di individui. Cosa diversa è una proprietà, come può essere un convento con estensioni di terreni coltivati: quello non è territorialismo, perché non impone leggi o un suo modo di educazione o il ministero dell'istruzione. Al limite potrei accettare territori come Città del Vaticano, Montecarlo o Andorra, ma senza confini anacronistici, o barriere e controlli dei passaporti. Il problema è che il laicismo è diventata la nuova religione e lo Stato territoriale monopolistico la sua chiesa.
La città murata di Cittadella (Padova) - Foto di Pino Timpani
Il laicismo è una forma di dominio?
E' una sorta di religione statale. Dopo la rivoluzione francese del 1789, lo Stato laico si sostituisce alla monarchia assoluta, espropria le proprietà della Chiesa e stabilisce il potere dello Stato sui suoi sudditi. Abbiamo ancora un apparato politico, burocratico e ideologico vecchio di secoli, in parte venutosi a formare dopo la rivoluzione francese e in parte dopo la prima guerra mondiale, quando lo Stato ha assunto un potere smisurato nei confronti dei propri sudditi. Il novecento è stato un disastro, con l'affermarsi delle dittature stataliste nazionaliste e comuniste.
La Panarchia è il desiderio di libertà dallo Stato?
E' molto di più: è una delle possibili soluzioni della sua crisi. In parte, come accennato prima, la Panarchia già esiste. Nei territori dello Stato convivono comunità diverse tra loro per cultura e, con i flussi migratori degli ultimi decenni, anche per etnia. L'ordinamento monopolistico statale riesce sempre meno a governarle, perché conserva quel carattere impositivo e univocità di ordinamento giuridico, non in grado di risolvere i conflitti ma piuttosto di acuirli. La Panarchia, con i suoi concetti fondanti di volontarietà, è più prossima a una regolazione naturale.
Ci sono degli ambiti in cui già vivono comunità aterritoriali?
Pensiamo al mondo virtuale della rete internet: noi ci siamo conosciuti e relazionati attraverso Facebook che è una comunità aterritoriale. Le parole che ora usiamo, tipo Panarchia, sono una convenzione del linguaggio per rendere comprensibili i concetti. Con il tempo muteranno, gli saranno dati nomi nuovi per identificarli, parole più semplici: comunità volontarie, società parallele, associazioni di servizi. Chiamiamole come vogliamo. Quello che conta e proseguire verso un ulteriore salto di civiltà e realizzare, dopo la tolleranza religiosa anche la tolleranza politica.
Post Utopie:
- Post Utopie: Transition Towns - 19.12.2017
- Post Utopie: la Decrescita Felice - 01.11.2017
- Post Utopie: la Spiritualità Laica, il Bioregionalismo e l'Ecologia Profonda - 15.10.2017
- Post Utopie: la Panarchia - 30.09.2017
- Post Utopie: il Bioregionalismo - 15.09.2017