20240619 filoponia

Intervista ad Andrea Surbone, ideatore del modello

 

 

Mentre eravamo intenti ad esplorare le scuole di pensiero contemporanee che si pongono il fine di superare le attuali grandi sfide dell'umanità e che abbiamo chiamato Post Utopie, perché, al contrario delle utopie, hanno elementi realizzabili, o in parte in via di realizzazione anche se minimali, prendeva luce una nuova: Filoponìa.

L'idea nasce da una ricerca, in un certo senso da scavo archeologico alla ricerca degli strati più profondi, di risolvere i due grandi nodi che affliggono l'umanità: il saccheggio delle risorse del pianeta, con le gravi conseguenze all'ambiente, e la gigantesca disuguaglianza sociale.

Si tratta di un modello economico e sociale, a tratti originale e geniale, che fagocita il dualismo capitale privato e capitale collettivo, elidendoli come in una formula matematica, semplicemente togliendo dal sistema il debito e con esso la finanziarizzazione. Il risultato è un'economia serena, in cui il primo importante effetto, per il suo funzionamento, è il miglioramento profondo della democrazia, attraverso la partecipazione di massa ai processi deliberativi. Il secondo e fondamentale effetto è la sostenibilità, perché, trovando un equilibrio tra abbondanza e accumulazione, riesce a stabilire un limite invalicabile, consapevolmente accettato, per lo sfruttamento delle risorse disponibili da Madre Terra.

Il modello, di fatto, è già pronto per l'uso, sperimentabile in un ambito anche di entità dimensionata, come potrebbe essere Cuba o, per esempio, una qualsiasi regione europea. Può essere applicato in ogni contesto: da un sistema democratico fino a un sistema autoritario che, paradossalmente, adottandolo, ne trarrebbe vantaggio, divenendo per forza delle dinamiche incorporate, democratico.

Andrea Surbone, torinese, ricercatore indipendente in scienze sociali, da sei anni lavora alla costruzione di un nuovo modello, coerente e attuativo per una società innovativa e si chiama Filoponìa.

 

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Andrea Surbone - Foto di Pino Timpani

 

Come sei approdato a Filoponìa?

Nel 2019 è stato pubblicato un libro da Meltemi Editore, il cui titolo è Il lavoro e il valore all'epoca dei robot, intelligenza artificiale e non-occupazione, come sottotitolo. Si tratta di un lavoro a tre voci: oltre a me ci sono il professor Pietro Terna, docente di economia politica, nei primi anni '80 segretario regionale del Piemonte di Confindustria e Dunia Astrologo che era la direttrice dell'Istituto Gramsci di Torino. Il tema è quello dell'automazione e dei riflessi sul mondo del lavoro. Nell'approccio avevamo deciso di evitare di scrivere l'ennesima analisi, l'ennesima previsione e le ridondanze che circolano su questo argomento, concentrandoci invece su come vorremmo che fosse organizzata una società sempre più automatizzata, fino alla completa automazione.

Avete utilizzato una metodologia particolare?

Abbiamo deciso di scrivere la nostra parte ognuno per conto proprio, senza confrontarci. Per poi trovarci e leggere i rispettivi lavori e discuterli tra di noi. Infatti, la seconda parte del libro, intitolata Battibecco, è una chiacchierata che abbiamo fatto all'Istituto Gramsci. Dopo questo confronto dialettico, è nata in me l’idea di andare oltre la prima bozza di Filoponìa, versione che oggi disconosco un poco, semplicemente perché il primo editore che contattammo ci aveva assegnato un numero di battute limitate per la pubblicazione e quindi non si era potuto approfondire i temi e soprattutto perché, ora, a distanza di cinque anni, riscontro una certa acerbezza del mio pensiero.

Possiamo dire che si tratta di una bozza?

Sì. Devo dire che proprio il “battibecco” e le critiche ricevute mi hanno spinto a non concludere con quel libro la mia avventura di esploratore di pensiero. Chi immagina una società prossima a venire, non può che vedere come un peccato di superbia il fermarsi solo perché si è pubblicato un libro. Credo sia un lavoro costantemente in fìeri, il pensare a un futuro possibile. Proseguendo, ho potuto approfondire meglio e anche arrivare ad evolvere i concetti iniziali, poi talmente evoluti da divenire quasi un'altra cosa.

Ci fai un esempio per farci capire?

Certo, così iniziamo ad entrare nel merito della proposta. Inizialmente era citato una sorta di universal basic income, sulla stregua dei tanti redditi universali che esistono nel mondo e che in sostanza garantiscono la sopravvivenza. Si chiamava reddito di emancipazione. Oggi si chiama reddito di autodeterminazione e si è evoluto a coprire sia i bisogni di base, sia quelli secondari e anche qualche esigenza voluttuaria.

Mi sembra di aver capito che l'impianto del modello di Filoponìa ha come cardini concettuali l'abbondanza e l'accumulazione. Puoi spiegarci come sono configurati?

Va chiarito, prima di tutto, cosa si intende con il termine, perché abbondanza può voler dire sfrenatezza bulimica dell'attuale società capitalista, anzi più che capitalista, accumulatoria, ma anche quello che viene declinato in Filoponìa, in cui l'abbondanza è l'agiata sufficienza sostenibile. Sufficienza è mitigata dall'aggettivo agiata, nel senso che in Filoponìa, a differenza per esempio della Decrescita Felice, che ha toni draconiani nei confronti dei consumi, i toni sono da una parte più rigidi, ma dall'altra molto più morbidi.

Ti riferisci ai concetti di sobrietà?

Non proprio. In Filoponìa esiste un limite all'azione antropica nel suo complesso, cioè la sommatoria di tutta l'azione antropica, invalicabile che chiamo bilanciamento globale ambientale. Questo limite è quanto la terra può mettere a disposizione all'umanità annualmente. Coinvolge tutto: l'entropia, i limiti planetari che in larga parte abbiamo già oltrepassato, coinvolge la resilienza della terra all'azione antropica, consequenzialmente i temi dei rifiuti e del riciclo ecc. ecc. È un concetto onnicomprensivo in cui l'umanità può fare tutto ciò che vuole, purché la sommatoria dell'azione antropica stia leggermente al di sotto del limite annuale. Da una parte per permettere alla terra di rigenerarsi, dall'altra per affrontare le crisi. Le crisi sono sia della natura, sia della società umana. Anche se in Filoponìa, molte delle crisi che abbiamo ora, non ci sarebbero per altri motivi, di tipo economico. Per crisi naturali, mi riferisco a eventi slegati dall'antropizzazione, cataclismi come terremoti, eruzioni vulcaniche ecc.

Non avremmo le crisi cicliche del capitalismo dovute alla sovrapproduzione?

No, assolutamente, in Filoponìa la sovrapproduzione è fustigata.

Lo stesso avviene anche per quanto riguarda l'accumulazione che poi traccia sequenzialmente le crisi finanziarie?

Sì. C'è uno strumento attuativo. Anche qui, sono sei anni che ci lavoro, l'indagine mi ha portato a cambiare il nome e anche il senso: prima l'avevo chiamata penalizzazione di sostenibilità, cioè aggiungendo un sovra costo, oggi la chiamo inaccumulazione di sostenibilità e non è più espressa in termini economici, come costo aggiuntivo, ma è una cifra collaterale al prezzo. Di ogni merce. Quindi, l'accumulazione, o quella che ho definito tachiproduzione che comprende oltre la sovrapproduzione altre dinamiche, come le guerre commerciali, cioè per abbassare i prezzi, i concorrenti aumentano a dismisura i volumi, quindi si va ad attaccare alla base, essendo l'accumulazione un effetto di altre dinamiche. 

 

OLTRE IL GIARDINO, L'UTOPIA AI TEMPI DEI ROBOT
Un focus sullo sviluppo delle nuove tecnologie e il loro impatto sulla società

Conduce Paride Leporace, Ospiti: Andrea Surbone ( Scrittore ed Editore ) Maria De Carlo ( Pres. Associazione "Conduco un Dialogo" ) Antonio Califano ( Scrittore e Libero Pesantore )

 

Nel libro, in merito all'abbondanza e all'accumulazione, fai un riferimento ai 20.000 anni della civiltà umana. Perché proprio 20.000?

Ne faccio accenno nel finale, nella sezione dei ringraziamenti. È un vezzo letterario, una citazione del libro di Giulio Verne, 20.000 mila leghe sotto i mari. A me non piace scrivere saggistica, in forma tecnica, sono più incline a trattare le cose con una visione di filosofia morale, un poco come Adam Smith. Sembra che, dalle scoperte dell'archeologia e dell'antropologia, le prime comunità umane, composte da raccoglitori e cacciatori, fossero di carattere mutualistico. Dopodiché, la stanzialità ha portato alla formazione delle società. Qui è stata scoperta l'abbondanza che è connessa alla scoperta dell'agricoltura. Definisco un comportamento anomico della mutualità, l'accumulazione. Teoricamente nulla vieta la mutualità nelle società stanziali, tant'è che ci sono alcuni esempi nel neolitico. Però, quello che si è affermato è il comportamento anomico. L'antica favola di Esopo, La cicala e la formica, è una metafora che contiene anche il concetto affermatosi di accumulazione. In sé, conservare, mettere da parte il cibo per il futuro, è certamente positivo, ma proprio nella favola vediamo il passaggio di funzione, quando la formica scopre di detenere un potere nei confronti della cicala che pure ha la sua funzione nella natura, in cui l'accumulazione diventa uno strumento di potere.

Il difetto di questa economia che abbiamo ancora oggi, si basa su questo passaggio?

Sì. Prima nasce l'agricoltura, poi come conseguenza l'accumulazione, questa si lega al potere e dà vita alle società, con un potere centrale che controlla l'accumulazione che poi distribuisce a suo arbitrio. Da qui nasce la società, compreso lo sviluppo del pensiero umano e comprese le elaborazioni delle teorie economiche. Capitalismo e socialismo, i due grandi modelli che attualmente si contrappongono, anche se il socialismo sembra sconfitto a livello globale, ma in realtà non è esattamente così, certo non vive i fasti del '900, si basano entrambi su un capitale di accumulazione. Quindi, anche se c'è una differenza abissale tra l'accumulazione privata e quella collettiva, questo è chiaro, il basarsi sullo stesso capitale porta con sé un peccato originale che non permette di coniugare compiutamente uguaglianza e libertà. Non sto parlando di libertà politica. La mancanza di libertà politica che il socialismo reale ha avuto, mi riferisco principalmente all'Unione Sovietica, è una conseguenza della mancanza di libertà nel fare economico dell'essere umano. La centralizzazione della produzione e la statalizzazione, toglie all'essere umano la libertà di fare impresa che è un tratto innato. Peraltro questo era stato inizialmente preso in considerazione durante la prima fase, con la proposta di Lenin della Nep, poi abbandonata durante il periodo staliniano.

Quindi fu un errore l'eliminazione della Nep, fatta nel periodo staliniano?

Va detto che il concetto è poi stato ripreso da altri, per esempio a Cuba, nel 2019, è stato addirittura messa in Costituzione la possibilità privata dei mezzi di produzione e anche sono state le tesi di Hugo Chavez. Il problema non è nella proprietà privata dei mezzi di produzione. È lo stesso discorso dell'accumulazione legata al potere. Il problema sono i rapporti di potere all'interno del lavoro. Filoponìa, grazie ad interventi sia di macro che di micro economia, sottrae al datore di lavoro gli strumenti di potere sui lavoratori, portando questi ultimi sullo stesso piano.

Questo come avviene?

Trovando una soluzione all'interno della teoria del valore, cioè togliendo il pluslavoro (cioè lo sfruttamento), perché in Filoponìa che prevede la piena occupazione, la retribuzione non è erogata dal datore di lavoro, ma dallo Stato. Così il datore di lavoro si trova nello stesso piano funzionale del lavoratore dipendente.

Cos'è in definitiva Filoponìa, concettualmente?

Con Filoponìa ho immaginato una società non più retta dal paradigma dell'accumulazione, ma sul paradigma dell'auto determinazione. È una sorta di crestomazia economica, cioè il cogliere il meglio di tutto ciò che l'umanità ha espresso nel corso dei millenni, anche se probabilmente non sono venti, ma un po' meno, come dicevamo prima è un vezzo letterario. È una società dell'uguaglianza, della libertà, anche nel fare impresa e dell'antropizzazione sostenibile. Nel libro di prossima pubblicazione ci sono dettagliate le tecnicalità e i passaggi da compiere per arrivarci.

Può legarsi con le altre Post Utopie che abbiamo trattatto nella rivista Vorrei?

Il limite di tutte è che, agendo all'interno dell'attuale paradigma dell'accumulazione, non possono uscirne fuori. Tuttavia, ho colto alcune affinità soprattutto con Transition Town che sarebbe utile approfondire con loro, così come con gli altri: ci accomuna l’impegno nel cercare una via d’uscita. 

 

 

 Filoponìa, da Cuba al mondo - Senza debito: uguaglianza e libertà 

Andrea Surbone

Andrea Surbone, scrittore, editore ed ex viticoltore. Ha scritto narrativa con Pulviscolo e dal novembre 2007 redige il buona settimana, una piccola rubrica di sguardi sul mondo, inviata ogni lunedì via email. Editore della rivista Nuvole (numeri cartacei dal 16 al 23) e tuttora membro della Redazione (www.nuvole.it). Membro del Core Team di The Jus Semper Global Alliance (www.jussemper.org), ha pubblicato interventi su GT Network (https://greattransition.org). Portavoce di una proposta di economia politica (www.propostaneokeynesiana.it). 

Gli autori di Vorrei
Pino Timpani

"Scrivere non ha niente a che vedere con significare, ma con misurare territori, cartografare contrade a venire." (Gilles Deleuze & Felix Guattari: Rizoma, Mille piani - 1980)
Pur essendo nato in Calabria, fui trapiantato a Monza nel 1968 e qui brianzolato nel corso di molti anni. Sono impegnato in politica e nell'associazionismo ambientalista brianzolo, presidente dell'Associazione per i Parchi del Vimercatese e dell' Associazione Culturale Vorrei. Ho lavorato dal 1979 fino al 2014 alla Delchi di Villasanta, industria manifatturiera fondata nel 1908 e acquistata dalla multinazionale Carrier nel 1984 (Orwell qui non c'entra nulla). Nell'adolescenza, in gioventù e poi nell'età adulta, sono stato appassionato cultore della letteratura di Italo Calvino e di James Ballard.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.