Otto giorni sul tetto e 445 di presidio permanente per il rispetto dei diritti
Dopo aver trattato della Carlo Colombo di Agrate, passiamo alla vicenda Yamaha, durata oltre tre anni e divenuta l'emblema della resistenza in Brianza allo strapotere delle multinazionali. Nelle prossime pubblicazioni tratteremo della Colombo Agostino di Villasanta, di Micron e Star di Agrate, di Mx-Group e Carrier di Villasanta e di Ibm di Vimercate.
2009.
Non sembra vero vedere nella ricca e operosa Brianza, nel cuore della Valle del Lambro, sventolare sul tetto della prestigiosa e blasonata Yamaha di Gerno le bandiere di protesta di Fim Cisl. Non sembra vero nemmeno agli stessi quattro giovani operai volontari, saliti lì sopra in rappresentanza dei 66 licenziamenti annunciati dalla direzione aziendale.Nessuno di noi immagina la decisione dei giapponesi di chiudere la produzione di moto
Nessuno di noi immagina la decisione da parte dei giapponesi di chiudere il reparto di produzione di moto”. Ci dice Angelo Caprotti. 56 anni delegato della Rsu da sempre, da quando ancora trentenne comincia a lavorare in Yamaha. “Sono stato assunto tra i primi insieme ad altri, quasi tutti giovani sui venti anni. Lavorare in Yamaha dà entusiasmo e orgoglio: qui produciamo moto di classe, alcune da competizione e vincitrici di campionati mondiali. Non è come produrre oggetti banali tipo appendiabiti. Per questa ragione in venti anni di attività non c'è un rapporto conflittuale tra noi e l'azienda. Non c'è una grande cultura sindacale e forse per questo la multinazionale ci tratta così, con estrema arroganza. Siamo convocati il 27 ottobre 2009 dalla direzione aziendale e liquidati nel giro di dieci minuti con un documento che ci illustra la procedura del nostro licenziamento immediato. Sono le cinque meno dieci della sera, dieci minuti alla fine del turno giornaliero di lavoro. La freddezza della comunicazione e l'orario scelto sembrano irreali. Non ci aspettiamo la chiusura. Certo, c'è la crisi iniziata nel 2008, abbiamo il sentore che potrebbe interessare anche noi. Ma pensiamo si possa risolvere con una riduzione, con strumenti e ammortizzatori sociali quali la cassa integrazione, la mobilità oppure i contratti di solidarietà”.
Qui la prima parte e qui la seconda del documento consegnato alla Rsu.
Cominciano le proteste. Manifestazioni e presidi non danno risultati. La direzione Yamaha è inamovibile. La procedura dei licenziamenti si avvicina. Dopo un accorato appello a Confindustria perché intervenga a smuovere la posizione oltranzista di Yamaha, i lavoratori decidono di passare a una lotta eclatante. Il 16 dicembre, nonostante la neve e il freddo, quattro operai salgono sul tetto e si accampano in due tende per resistere a lungo.
“Sono i lavoratori a volerlo. L'intenzione è quella di ottenere il minimo dei diritti negati. In questi casi a tutti viene concessa la cassa integrazione. Non si capisce perché ci sia tanta durezza e non si voglia dare la possibilità ai lavoratori di avere un tempo adeguato per cercarsi un altro lavoro o per chi si può agganciare alla pensione si poterlo fare”. Racconta ancora Angelo Caprotti. “Abbiamo studiato bene l'operazione salita sul tetto: ci siamo organizzati con un presidio di appoggio e abbiamo pensato di installare le tende esattamente sopra l'ufficio dell'amministratore delegato Hiromu Murata. E' il modo per dargli maggior fastidio: per la mentalità giapponese questa cosa corrisponde a un'offesa gravissima, peggio che uccidere un famigliare.”
Angelo Caprotti
Dopo solo otto giorni il 23 dicembre 2009 il presidio viene smobilitato e gli operai scendono dal tetto. Giornali e televisioni danno spazio alla protesta e si riesce a raggiungere un'intesa sulla cassa integrazione, perfezionata poi in un accordo del 7 gennaio 2010. Qui il video del discorso di Gigi Redaelli, segretario della Fim-Cisl che illustra agli operai i dettagli dell'accordo ottenuto. Dopo aver costretto l'azienda con “l'assalto al tetto aziendale” a richiedere la cassa integrazione straordinaria, al tavolo ministeriale viene sottoscritto l’accordo che prevede 24 mesi di cassa integrazione e una buona uscita di 8.000 Euro alla scadenza della cassa integrazione e successiva entrata in mobilità. Qui il costo dell'accordo. Nell'accordo la Yamaha sottoscrive l’impegno vincolante a non produrre o modificare moto in Italia. Ma qualche mese dopo si scopre che Yamaha, tramite la consociata francese, affida 500 moto da modificare a un terzista di Arcore.
Barbara Panzeri: per me è stato uno shock essere licenziata in un modo così crudele
“Ho cominciato a lavorare con Belgarda nel 1982 e ho sempre lavorato nel settore commercio. Poi nel 2009 sono stata trasferita dal reparto del commercio all'industria. Per me è stato uno shock essere licenziata in un modo così crudele, in un modo che forse non avrei mai immaginato. Per me è diventata una questione di principio capire perché è stata usata tanta cattiveria nei nostri confronti.” Racconta Barbara Panzeri. “Non riesco ancora a capacitarmi di come l'azienda che si comporta in modo così brutale, possa essere la stessa di quel 2001, quando per celebrare il ventesimo anniversario in Italia organizzò una festa sfarzosa, portando i dipendenti al ristorante di Villa Castelbarco e regalando a tutti una serigrafia, appositamente commissionata a un artista famoso. Peraltro l'originale della serigrafia fu installata in modo goffo in una parete dell'azienda: avvitata con quattro fisher sulla parete, tanto da deturparne la fattezza. Con il senno di poi si può dire: forse quella installazione incurante era il sintomo dell'ipocrisia Yamaha. Dopo l'inizio della nostra lotta in Yamaha ho dovuto ricredermi in fatto di relazioni e giudizi sulle persone. Con alcuni colleghi, esclusi dai licenziamenti e con cui ho lavorato insieme tanti anni, non ci siamo più parlati per repulsione reciproca. Stranamente ho scoperto qualità umane in compagni di lavoro che conoscevo solo di vista e che poi si sono rivelate, con mia grande sorpresa, persone di grande umanità.”
Il bilancio a sorpresa
Ancora Barbara Panzeri: “Durante il periodo della cassa integrazione a Luglio 2009 riusciamo a visionare per la prima volta il bilancio e quindi a scoprire l'esistenza di una voce di accantonamento molto discutibile: la prudenziale quantificazione degli oneri dei rischi legali connessi all’accordo con le rappresentanze dei lavoratori, nonché gli oneri di ripristino del sito hanno il valore di 7.140.000 Euro! Portiamo subito il bilancio a consulenti e specialisti per capire meglio e da loro riceviamo sorprese inaspettate sulla strategia seguita da Yamaha per pilotare il fallimento di Gerno.” Qui la lettera della Rsu sul bilancio spedita in raccomandata alla direzione Yamaha.
È un’azienda “sana” che ha deliberato una liquidazione volontaria!
Orietta Felician, coordinatrice del Pd di Lesmo è una delle personalità politiche locali che ha maggiormente aiutato i lavoratori Yamaha per tutto il lungo percorso di tre anni di lotta.”Sono da poco coordinatrice del Circolo di Lesmo e subito capita questa brutta situazione. Mi adopero con grande umanità e divento tramite per l'interessamento dei nostri rappresentanti in Provincia e nelle istituzioni. In particolare si può dire che si affiancano al sostegno dei lavoratori Yamaha, oltre al circolo di Lesmo, i Consiglieri Provinciali Vittorio Pozzati e Mimmo Guerriero. Abbiamo organizzato un incontro con Rosi Bindi e i senatori Farinone e Baio. Ma l'apporto maggiore l'ho potuto dare personalmente in qualità di esperta fiscalista, producendo una analisi sul bilancio Yamaha 2009: è un’azienda “sana” che ha deliberato una liquidazione volontaria! In sostanza l'azienda che aveva chiuso in attivo l'anno precedente, inserisce un aggravio squilibrato per procedura di 9 milioni di euro, stranamente riduce drasticamente i crediti e contemporaneamente aumenta un debito di 7 milioni di euro verso finanziatori, poi rimborsati l'anno successivo.”
13 dicembre 2010: presidio permanente per 445 giorni
Le sorprese del bilancio e la mancanza di volontà a rinnovare il secondo anno di cassa integrazione spingono i lavoratori a organizzare il 13 dicembre 2010 un presidio permanente davanti alla Yamaha durato 445 giorni, fino al primo marzo 2012. In questo periodo si consuma l'abbandono della Fim Cisl da parte dei lavoratori per passare tutti tranne uno alla rappresentanza della Fiom Cgil.
Agenzie di ricollocamento: ciapan el purcèll quand l'è föra del stabiell.
Angelo Caprotti: “Fin dall'inizio siamo rappresentati dalla Fim Cisl. Ma a un certo punto il livello dello scontro con Yamaha richiede un impegno un po' meno consueto e la linea sindacale della Cisl stenta a seguire quanto i lavoratori si aspettano e vogliono ottenere mettendosi in gioco fino in fondo. La loro linea cerca di non contrastare l'azienda e anzi si spende molto nel concetto di ricollocazione. Abbiamo visto invece quanto siano disattese le promesse di questo tipo. In Brianza i tentativi di ricollocazione tramite agenzie fanno venire in mente un detto dei nostri antenati: ciapan el purcèll quand l'è föra del stabiell. La rottura con la Cisl si consuma in conseguenza del Lodo Prefettizio: la Fim Cisl ci invita espressamente ad aderire. Ma solo due lavoratori accettano, il 90% dei lavoratori. Nasce una feroce discussione tra i lavoratori e si giunge alla decisione di consegnare le tessere alla Fim Cisl e chiedere alla Fiom Cgil di seguirci nelle negoziazioni. Nel frattempo l'azienda tenta di contrastarci in tutti i modi e tra le altre cose spinge gli altri lavoratori non licenziati a far pubblicare sui giornali locali una lettera che prende le distanze dalla nostra lotta e anzi ci chiede di andarcene perché “rovinando” l'immagine di Yamaha rischiamo di far perdere il posto di lavoro. Una azione inutile. Poi si rivela per loro una burla in quanto successivamente vengono anche loro licenziati, seguendo un piano prestabilito in partenza.” Qui la risposta alla lettera.
La Yamaha tenta di licenziare Angelo Caprotti con motivi pretestuosi: “L'azienda aveva provato in precedenza a sedare la nostra lotta con un tentativo di licenziami. Colpire la mia persona, da sempre il riferimento sindacale in Yamaha, significava — come diceva qualcuno — colpirne uno per educarne cento. Ma il ricorso al giudice condanna l'azienda al mio reintegro per comportamento anti sindacale. Del resto l'azienda colleziona altre condanne e multe: sia per comportamenti discriminatori nei confronti dei lavoratori, in quanto decide arbitrariamente di assegnare un trattamento incentivante migliore per persone da lei scelte, sia dalla visita della Guardia di Finanza, che accerta quanto da noi sostenuto: il reato di falso in bilancio e ed evasione fiscale. Un bilancio farlocco che serviva a giustificare la chiusura di Gerno.”
Yamaha chiude anche in Spagna. Un'altra beffa si consuma. Lo stabilimento di Barcellona in cui doveva essere delocalizzata la produzione di Gerno nel gennaio 2011 viene a suo volta raggiunto da una procedura di chiusura. A Barcellona il colpo è assai più pesante e riguarda 417 persone, prima illuse e poi licenziate con la stessa modalità utilizzata in Italia. Dopo uno scambio di solidarietà tra i lavoratori di Gerno e quelli di Barcellona questi ultimi presi dalla disperazione arrivano a malmenare, durante una manifestazione, i dirigenti spagnoli della Yamaha.
Il ruolo della politica
Con l'inizio del presidio si moltiplicano le solidarietà provenienti da varie parti. Tutte o quasi le forze politiche aiutano e organizzano eventi sul tema. In Particolare il Pd e la Federazione della Sinistra che contribuiscono anche con l'apporto di militanti volontari nel presidio.
Vittorio Pozzati
“Quella in Yamaha forse è stata la prima evidente lotta per il posto di lavoro nel nostro territorio. Ha attratto l'interesse di tutti, a partire dai media e sicuramente per il marchio. L'avvicinamento è nato da questo tipo di attenzione-attrazione nei confronti di questa azienda e sulla forma di contestazione adottata: l'occupazione del tetto e il presidio davanti alla fabbrica durato diversi mesi”.
La politica è totalmente estromessa dai meccanismi delle crisi aziendali
Ancora Pozzati: “Mi sono mosso in due modi. Il primo riguarda la solidarietà alla loro lotta. Come Comune di Mezzago abbiamo messo a disposizione una roulotte e dei gazebo. Eravamo a contatto diretto e costante con loro. Abbiamo attivato i Circoli Pd di Lesmo e di Mezzago. Insomma abbiamo dato un sostegno solidale. Poi abbiamo messo a disposizione il fronte politico rappresentativo che va da Comuni al Parlamento, interessandoci con visite, incontri, ordini del giorno ecc. Si è mosso a onor del vero anche il presidente della Provincia Dario Allevi, svolgendo un ruolo di mediazione, per quanto possibile. Siamo riusciti tramite un ex Consigliere Provinciale a far pervenire una lettera direttamente in sede centrale Giappone. Insomma ci siamo messi a disposizione totale su tutti i fronti.”
“Certo in situazioni così la politica non può fare molto. Diciamo che la politica è totalmente estromessa da questi meccanismi. A tutti i livelli: dalla grande azienda alla piccola. Mi viene da dire che è estromesso lo stesso sindacato. Per cui non abbiamo la capacità: in una condizione liberista di questo tipo la politica è accessoria. Quindi non si può pensare che la possa fare chissà che cosa. Bisognerebbe avere un governo talmente autorevole e forte da poter imporre vincoli e penali a queste aziende che arrivano, fanno quello che vogliono e poi se ne vanno, come ha fatto la Yamaha o come hanno fatto altre. Non si può fare niente”.
Ci siamo messi a disposizione per favorire la lotta degli operai nell'azienda
“È difficile trovare delle soluzioni. Abbiamo di fronte aziende con comportamenti più o meno corretti, ma quando si tratta di chiudere o spostare, non c'è niente da fare. Si tratta di capire come portare a casa quanto più possibile in termini di mediazioni o di ritardi. Poi ci sono quelli furbi, i cattivi. Li chiamo così perché ci sono aziende che vengono fatte morire apposta. Ma ce ne sono altre dove invece il rapporto con i padroni, come si chiamavano nell'Ottocento, è ancora possibile. La mia esperienza con la Yamaha, sia come partito che come Consigliere Provinciale dunque è stata questa: mettere a disposizione tutte le opportunità per favorire la lotta degli operai nell'azienda.“
Lo strano caso del Sindaco di Lesmo.
La solidarietà al presidio arriva in modo trasversale, coinvolgendo oltre alle Rsu delle aziende vicine quasi tutte le forze politiche. Anche dalla Arcidiocesi di Milano arriva la solidarietà di Mons. Armando Cattaneo. Non manca l'interessamento di Paolo Ferrero del Prc e del consigliere regionale Luciano Muhlbauer. Persino arriva un comunicato solidale dal gruppo di estrema destra Casa Pound. Fa eccezione stranamente il primo cittadino di Lesmo, il Comune che ospita il sito Yamaha. Marco Desiderati, Sindaco per due mandati del piccolo Comune di 8000 abitanti, entrato nella Lega Nord e poi divenuto deputato. Non solo si disinteressa e non si fa vedere nei tavoli istituzionali e in azienda, come di norma fanno tutti o quasi i Sindaci di comuni interessati da crisi, ma addirittura attacca i lavoratori facendosi intervistare da un giornale locale e manda la polizia urbana a interferire e infastidire i lavoratori nel presidio, posto ai margini della strada provinciale di Gerno.
Per il Sindaco di Lesmo “Chiedere la cassa in deroga è immorale. Sentirò il prefetto per sgomberare il presidio “ Così viene riportato su un giornale locale a cui viene risposto per le rime qui con lettera aperta in comunicato congiunto Pd Fds e qui dai lavoratori e dalle lavoratrici cassintegrati Yamaha. Un comportamento criticato anche da diversi militanti della stessa Lega Nord locale, che non mancano di presentarsi al presidio. Alcuni di loro arrivano a scusarsi per le dure parole espresse dal primo cittadino. Lésmu, insieme al contiguo Biasòn, è il comune più legista della Brianza. Gestito come un feudo per quasi un ventennio è poi passato nel 2011 sotto l'amministrazione di Lesmo Amica, lista civica di centrosinistra.
Persecuzioni, intimidazioni, atti vandalici vari e sabotaggio del sito
Durante i 445 di presidio, i gazebo dei lavoratori sono meta per centinaia di persone provenienti da tutta la Brianza. Per sovvenzionare la protesta vengono organizzate periodicamente delle serate con grigliate caserecce di salciccia e intrattenimento.
A contrastare la protesta si aggiungono, oltre al Sindaco, alcuni fatti vandalici e atti intimidatori. Tutti rimasti attribuiti ad ignoti e denunciati con comunicato sindacale. Tranne uno registrato dall'impianto di video sorveglianza Yamaha, dove si può riconoscere una delle guardie private effettuare un danno.
Yamaha compie una ripicca verso il giornale Riders “colpevole” di aver stampato a Febbraio 2010 l'articolo "sul tetto della precarietà". Andando contro corrente, ovvero rendendo noto le malefatte di Yamaha, Riders si gioca le inserzioni pubblicitarie di parecchie migliaia di euro, oltre che la cancellazione di test di motocicli, sia per pubblicazioni giornalistiche che televisive. Filippo Colombo, a nome dei lavoratori Yamaha, invia una e-mail di solidarietà al direttore e pubblica dei post nella versione on-line del giornale: “Tanto di cappello al direttore Roberto Ungaro per la sua scelta coraggiosa di andare contro corrente e di "giocarsi le inserzioni pubblicitarie".
Viene cancellato da un attacco informatico il sito della lotta Yamaha66. Nemmeno il provider del domino del sito, appositamente acquistato dai lavoratori Yamaha, è in grado di dare spiegazioni nè di recuperare il materiale editato.
La lotta paga sempre
Angelo Caprotti: “Se c'è una cosa che di questa esperienza va detta, anzi va urlata è che a prescindere dalle sigle sindacali e dalle bandiere, quello che conta in queste cose sono i lavoratori. Sono le intenzione di mettersi in gioco per poter ottenere quello che si sono prefissi di ottenere. I lavoratori devono rendersi conto che in questi casi è determinante la loro lotta. Poi è evidente che ci deve essere da parte sindacale un supporto. Perché il sindacato ha la struttura per potere supportare le lotte e lo deve fare. E non sempre lo fa. Però prima del sindacato ci deve essere una coscienza di lotta da parte dei lavoratori”.
11 gennaio 2012: epilogo della vicenda con le lettere di licenziamento spedite a tutti i dipendenti. Qui possiamo leggere quella indirizzata ad Angelo Caprotti e identica per contenuto alle altre.
Yamaha: in Italia dal 1980
La Yamaha è dopo la connazionale Honda la più importante casa costruttrice di moto del mondo. La sede storica si trova a Ywata in Giappone.
1889: nasce la Organ Manufacturing Company produttrice di organi e pianoforti
L'origine della società viene datata 1889: Mr. Torakusu Yamaha fonda la Organ Manufacturing Company. In breve tempo il business decolla e nel 1897 l'azienda assume il nome di Nippon Gakki. Nella prima metà del XX secolo la Nippon Gakki è una delle aziende giapponesi leader nella produzione di organi e pianoforti.
I tre diapason e il logo di Yamaha: la simbologia della corporation.
Il diapason fa la sua prima comparsa quale elemento grafico nel logo della Nippon Gakki nel 1898. Nel 1927 appaiono i tre diapason incrociati. Simboleggiano la melodia, l'armonia e il ritmo quali componenti basilari nella musica, così come la collaborazione tra i settori tecnologico, produzione e vendite lo è all'interno dell'organizzazione Yamaha. Il cerchio che li racchiude viene inserito nel 1967 e rappresenta il mondo.
1955: a luglio nasce Yamaha Motor
Nel secondo dopoguerra il bisogno di diversificazione produttiva spinge Yamaha a entrare nel settore della produzione di motocicli. Nasce la Yamaha Motor.
Appena costituita la Yamaha Motor Co. Ltd. si inserisce nel settore manifatturiero di motocicli e compete per la sopravvivenza con centinaia di altre aziende. Tra le nuove aziende da poco lanciate e le altre già nel mercato si scatena una accanita concorrenza. In pochi anni la selezione che ne deriva cancella dal mercato molte aziende. In Italia in particolare, per sostenere le aziende nazionali, vengono mantenuti per diversi anni limitazioni e contingentamenti alle importazioni di motocicli.
Yamaha in Italia ed Europa
Italjet: prima importatrice di moto Yamaha alla fine degli anni '60.
Sul finire degli anni sessanta la Italjet, azienda motociclistica italiana fondata nel 1959 a Bologna dal pilota Leopoldo Tartarini, diviene importatrice per l'Italia della Yamaha. Per aggirare le misure protezioniste italiane, che limitano l'importazione di moto a un massimo di un migliaio di unità, Italjet si accorda con la Yamaha e produce due nuovi modelli: la Buccaneer 125, equipaggiata da un motore Yamaha e la EnduroMad.
1980: nasce la Belgarda di Ronco Briantino
Dopo qualche anno l'importazione delle moto Yamaha viene affidata alla società Yamota, fallita poi nel 1979. Il 10 aprile 1980 viene fondata una nuova società, la Belgarda, emanazione italiana della Yamaha. La Belgarda trova sede a Ronco Briantino, un piccolo comune brianzolo della provincia di Milano. Nel 1980, primo anno di attività, vengono importate 1200 moto e la Belgarda con solo 8 dipendenti fattura 3 miliardi di lire.
A metà degli anni '80 comincia il boom delle moto 125. La Yamaha, nonostante in questa cilindrata produca modelli competitivi come il DT125, ne può esportare in Italia poche centinaia di unità all'anno. Le aziende più produttive, dislocate nella “moto valley” dell'Emilia, si lanciano nel nuovo business. La bolognese Malaguti richiede alla Minarelli, un motore ad alte prestazioni. La Minarelli, altra azienda emiliana di moto, poi assorbita nel gruppo Yamaha e attualmente in crisi produttiva-occupazionale, si accorda con la Yamaha per produrre su licenza un monocilindrico.
1986: La Belgarda si sposta a a Gerno di Lesmo
Nel pieno del boom delle vendite del mercato delle 125, il management Belgarda riesce a convincere la casa nipponica a produrre in Italia moto complete con il marchio Yamaha. La nuova sede del sito viene individuata a Gerno. In un'area di 6250 metri quadri una linea di montaggio produce le DT125, copie fedeli della versione giapponese. Nel biennio 1986-1987 ne vengono prodotte circa 3000 pezzi. Dal 1987 al 1992 il sito di Gerno, dotato anche di un reparto progettazione, raggiunge una produzione di circa 5000 esemplari della 125 versione Tenerè. Questo progetto fu il primo completamente sviluppato in Italia.
1990: il fenomeno Booster
Nel 1990 Yamaha Motor conclude il primo decennio di attività. La piccola azienda di Gerno importa dal Giappone i semi lavorati in lega leggera e riesce a creare una filiera italiana delle componenti in plastica Il modello Booster in dieci anni vende solo in Italia oltre 350.000 unità. Segue la serie TDR125 e TDR125R, nata per il mercato italiano ma progettata in collaborazione con il Product Planning europeo dell'Olanda. Dal 1991 al 1994 ne vengono prodotti 12000 pezzi. Si aggiungono anche alcune produzioni di nicchia. Vengono prodotti circa 9000 esemplari della TT600, una moto costruita solo in Italia per tutto il gruppo Yamaha. Dal 1997 viene realizzata la TTR125, moto da competizione prodotta in 12800 esemplari.
2000: Yamaha si consolida in Europa
L'azienda celebra il ventennio di attività in Italia all'apice della sua massima espansione, sia in Italia sia nel resto dell'Europa. La società dispone infatti in Europa di 4 siti così dislocati: in Italia a Gerno di Lesmo, Yamaha Motors Italia Spa e a Bologna, Motori Minarelli Spa; in Francia a San Quentin, Mbk Industrie; in Spagna a Barcellona, Yamaha Motors España Sa. La società madre europea, la Yamaha Motor Europe Nv, ha sede in Olanda ad Amsterdam-Schiphol.
A Gerno vengono inseriti il reparto corse agonistiche internazionali di Moto GP e il centro sviluppo e ricerca Yamaha più grande al mondo dopo quello della casa madre in Giappone. L'azienda di Gerno raggiunge al massimo della sua storia produttiva 250 lavoratori complessivi, di cui 63 del reparto produttivo. Oltre il 70% dei dipendenti è composto da impiegati.
2009: chiusura del reparto produttivo di Gerno
La notizia arriva come un fulmine a ciel sereno: il 27 ottobre 2009, due giorni dopo la conquista del nono titolo mondiale di Valentino Rossi, Yamaha Motor Italia chiude la catena di produzione a Gerno di Lesmo. Il management Yamaha lo annuncia alle Rappresentanze Sindacali Unitarie dell’azienda, che aderiscono ai sindacati FIM-CISL e CISL Commercio. I licenziamenti riguardano 67 su 180 dipendenti, compreso Claudio Consonni, responsabile della produzione e del progetto Superbike. Nella sede madre di Ywata in Giappone hanno deciso di trasferire il reparto produttivo nella filiale spagnola.
2011: chiusura dello stabilimento in Spagna
Nel gennaio 2011, lo stabilimento di Barcellona, in cui doveva essere delocalizzata la produzione di Gerno, viene a suo volta raggiunto da una procedura di chiusura. A Barcellona il colpo è assai più pesante e riguarda 417 persone.
2014. cambio al vertice del mamagement italiano. Massimiliano Mucchietto viene nominato Country manager di Yamaha motor Italia, sostituendo Hiromu Murata che viene richiamato in Giappone
Riangraziamo per la collaborazione al servizio: Roberta Panzeri, Orietta Felician, Angelo Caprotti, Angelo Spada, Raffaello Bonaiti, Igina, Vittorio Pozzati. Si ringraziano il Circolo Cooperativo Libertà di Monza e la Casa dei Popoli di Villasanta per disponibilita degli spazi in cui sono state realizzate le interviste.