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Uno spettacolo teatrale, un nuovo libro, nuove collaborazioni e progetti: abbiamo incontrato il poeta e performer sempre alla ricerca del "nuovo", parlando di poesia, intellettuali e... Bulgaria

Un

tour di cinque tappe in tre città. Dopo aver portato la propria ricerca poetica e artistica in Regno Unito, Australia e Brasile, Dome Bulfaro ha "conquistato" anche la Bulgaria, dove – fra il 13 e il 17 aprile scorsi – ha presentato il suo ultimo libro di poesie Marcia film (Scalino 2016), già presentato in Italia come spettacolo teatrale. Il verbo conquistare, inteso in senso metaforico, è assolutamente azzeccato, anche se va girato: a essere conquistato dalle città e dalla sacralità con cui il pubblico bulgaro vede la figura degli intellettuali, infatti, è stato lo stesso Bulfaro.

«La scena bulgara è caratterizzata da una grande tradizione – spiega il poeta – lì gli intellettuali sono visti come punti di riferimento per il popolo, anche perché molti di loro sono morti per la libertà di parola. Ho visto tanti momumenti dedicati a scrittori e poeti, a cominciare da Petko e Penčo Slaveikov, padre e figlio seduti fianco a fianco di fronte alla Biblioteca Capitolina, dove è iniziato il tour. Quella bulgara – dichiara – è una scena in movimento, ma la poesia performativa come quella che propongo io rappresenta una completa novità in Bulgaria, anche se ci sono diversi poeti capaci di dire il proprio testo ad alta voce, di farlo risuonare». Con lui abbiamo parlato non solo di questo, ma anche della sua ultima fatica, di cui noi avevamo parlato in occasione della prima nazionale al Teatro Binario 7 di Monza, e più in generale di poesia e di poetica.

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Il tour bulgaro
In Bulgaria, Bulfaro è stato presentato come "migliore poeta-performer italiano vivente" («non l'ho scritta io, questa presentazione, declino ogni responsabilità» è il suo divertito commento) addirittura in un'intervista di un quarto d'ora sul primo canale nazionale, cosa che ha favorito poi una buona affluenza di pubblico agli eventi organizzati dalla casa editrice Scalino per presentare il suo ultimo libro e in generale il suo lavoro. Il tour ha visto anche Bulfaro impegnato in letture e performance in una galleria d'arte, in libreria, in un jazz club e alla prestigiosa Biblioteca Capitolina di Sofia.

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Al di là dei giudizi di valore, non è poi così difficile comprendere come mai Emilia Mirazchiyska, l'editrice di Scalino, sia stata colpita dalla complessità della ricerca di Bulfaro: effettivamente, ciò che contraddistingue ormai da anni la ricerca dell'autore è la compresenza – fatto raro nella scena poetica italiana – di tante componenti che vanno a completarsi, piuttosto che semplicemente convivere. Versi canonici, performance poetry improvvisata, poetry therapy, teatropoesia, poesia e musica, la ricerca estetica sul dialetto... La cifra stilistica di Bulfaro sembra essere proprio questa sua dimensione artistica prismatica.

«Dome Bulfaro è un poeta assolutamente unico nel panorama italiano – dichiara Emilia Mirazchiyska – ed è un autore che rientra pienamente nei progetti che abbiamo di costruire ponti tra l'arte e la poesia. In una galleria d'arte a Veliko Tarnovo – spiega ancora – Dome ha improvvisato al momento una performance emozionante che abbiamo videodocumentato. Un'altra improvvisazione molto bella – prosegue – è partita dal testo “Non vedersi più spacca il labbro” – una poesia dell'ultima parte di Marcia film – sul palco dell'antico teatro romano di Stara Zagora».

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Una poetica “in liquefazione”
L'evoluzione che caratterizza la produzione poetica di Bulfaro ha preso forma nel corso degli anni, anche se si può identificare una cesura, un momento di stacco: è dopo la pubblicazione di Ossa Carne (Dot.com Press 2012) che qualcosa è cambiato. Ossa Carne, per quanto già accompagnato da un CD con la lettura dei testi, è ancora un tipico libro di poesie, un'opera solida che, idealmente, va ad aggiungersi al resto del patrimonio poetico italiano “canonico”.

Milano Ictus e Marcia Film, d'altro canto, sono tappe che appartengono a una fase nuova: sono infatti opere fluide, multiformi, fatte di tante anime (reading, spettacolo teatrale, libro e CD); ognuna è autonoma, non sovrapponibile, per quanto parti di uno stesso concetto.

Opera dalle matrici complesse e ampie (la tragedia greca con la presenza del coro, per quanto “rimaneggiato” alquanto; il Fellini di ), la vicenda raccontata in Marcia Film si struttura intorno a tre storie prese dal flusso della Storia, come a fotografare un trittico di momenti specifici di una marcia ininterrotta, che – come si legge nella cornice – non si sa da dove inizia né da dove finisce. Il senso del flusso è dato anche dal fatto che l'opera inizia e finisce con lo stesso cartello, [continua], che è peraltro a sua volta pure una necessaria strizzata d'occhio al mondo del cinema.

La scelta dei tre momenti – 1914, la Prima Guerra Mondiale; 2001, il G8 di Genova; 2016, il nostro presente – è frutto della scelta del regista-narratore protagonista dell'opera. Una simile scelta suggerisce il ruolo preminente che la violenza riveste nell'opera, novità nella poetica dell'autore: in Marcia Film c'è molta violenza gratuita e incontrollata. Proprio per questo, anela alla pace. Un altro richiamo è peraltro l'Inferno dantesco («nelle intenzioni – puntualizza l'autore – come statura poetica non mi permetto»): l'opera vuole essere una sorta di inferno contemporaneo.

 

Un'intervista fluida
Riguardo a Marcia Film come opera fluida, aperta a sviluppi tendenzialmente infiniti, Bulfaro è chiaro: «Marcia Film marcerà ancora – dichiara – In modo simile a quello che è successo all'Antologia di Spoon River, che negli anni si è via via arricchita di storie, anche Marcia Film continuerà a intrecciarne, ad aggiungere strati e livelli».
Quali sono, però, le storie che voleva raccontare Bulfaro? Storie di personaggi maledetti («a differenza di quelli di Spoon River, che invece sono tragici»), storie irreali, fantastiche, a tratti surreali. Soprattutto nell'anima teatrale di Marcia Film, è centrale il personaggio del regista, vero alter ego del poeta: «Il regista, così come il poeta – spiega Bulfaro – diventa i suoi stessi personaggi, con il risultato di diventare incapace di distinguere realtà e finzione. Questa incapacità – continua – è un male comune della nostra contemporaneità, lo vediamo tutti i giorni. In Marcia Film scopriamo che il poeta, il regista, l'intellettuale, non sono meno a rischio. Il poeta, voglio dire, rischia di essere talmente assorbito dalla poesia, come il regista dai suoi film, da perdere il contatto con le relazioni umane più vere e sincere».

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Il regista, infatti, è talmente assorbito dal lavoro sul film più importante della sua carriera da vedersi lasciato dalla propria compagna, nonostante lei lo ami. Quando però vedrà che il suo mondo – il film – si disgrega intorno a lui, farà l'impossibile per ricucire, per salvare il rapporto con la donna che ama: per salvare, in sostanza, l'ultimo filo che lo lega alla vita. È un modo per dire che la vita è più importante della poesia? Senza vivere davvero, cioè, senza provare emozioni e lasciarsi trascinare dalle esperienze, non si può incontrare la poesia? «Io credo sia necessario trovare la misura – risponde Bulfaro – saper distinguere la realtà dal fantastico, l'ordinario dallo straordinario. Va bene riconoscere lo straordinario nell'ordinario, ma penso anche che sia necessario saper ritornare sulla terra: cantando l'amore – conclude – a volte rischi di perderlo».

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Il tema del viaggiare continuamente da straordinario a ordinario e viceversa richiama molto il personaggio di Alice, di Lewis Carroll. «È senz'altro un modello a cui ho pensato – commenta – in Marcia Film parlo delle cose surreali e aberranti che accadono nel mondo; nello spettacolo salta facilmente all’occhio – continua – quanto la realtà, portata alle sue estreme conseguenze, mostri tutto il suo volto più orrendo e violento. Accadono cose che si direbbero inimmaginabili, se la contemporaneità spesso non tramutasse in vero gli incubi, come purtroppo sempre più di frequente riscontriamo. Lo sconfinamento nell'inimmaginabile, le cause e gli effetti di una distopia – aggiunge – mi polarizzano. La realtà disegna il confine mutevole dell’inimmaginabile e, viceversa, l’inimmaginabile, nel bene o nel male, traccia i confini della realtà. Mostro l’abominevole e l’aberrante per arginarli, per riassorbirli. Come nel testo Zebra blues, prosa poetica inclusa nel libro e nello spettacolo, in cui parlo del G8 di Genova, fatto esploso in dramma per negligenza e arroganza da parte di chi, anziché proteggere i propri cittadini, si è calato nel ruolo di loro carnefice; non è un caso che l'ultima poesia del libro, Catarsi #1 evochi uno scenario apocalittico, dove l’uomo è chiamato a una scelta da cui non può esimersi: distruzione del mondo o catarsi».

Ritorna insomma il tema del crollo, della distruzione di tutto, che già era alla base di Milano Ictus. In quell'opera, a crollare era però solo un luogo fisico, il Duomo di Milano, ovviamente di grande portata metaforica – in merito all'identità, alle certezze; in Marcia Film però a crollare in modo forse ancora più devastante è l'amore: «ma questo, in realtà, è come – aggiunge lo stesso Bulfaro – se crollasse tutto il mondo». È possibile resistere a un simile crollo, al crollo dell'amore? «In realtà – risponde l'autore – il fatto che alla fine il regista sacrifichi il film di una vita per salvare la propria relazione lascia uno spiraglio per il trionfo dell'amore».

 

Scalino è una piccola casa editrice che opera tra Bulgaria e Italia. Ha cominciato la sua avventura nel 2011 con un libro, Maternità possibili, pubblicato prima in bulgaro e poi in italiano e presentato a Sofia, Milano, e alla festival della Microeditoria di Chiari. Casa editrice dalla spiccata identità plurilinguistica (è del 2012 un libro di racconti natalizi in tre edizioni, bulgara, italiana e inglese), Scalino ha pubblicato in Bulgaria due romanzi italiani: Senza tacchi di Francesca Lancini (Bompiani 2011), e Studio Illegale di Federico Baccomo, edito da Marsilio. Nel 2014 ha dato inizio a una collana di poesia, di cui Dome Bulfaro è stato il secondo poeta italiano (tradotto in bulgaro da Evelina Miteva), anche se il primo a essere pubblicato anche in Italia.

Gli autori di Vorrei
Simone Camassa
Simone Camassa

Nato a Brindisi il 7 maggio del 1985. Insegnante di Italiano, Storia e Geografia nella scuola pubblica, si è laureato in Lettere, in Culture e Linguaggi per la Comunicazione e in Lettere Moderne, sempre all'Università degli studi di Milano. Suona la chitarra elettrica (ha militato in due gruppi rock, LUST WAVE e BLACK MAMBA) e scrive poesie.

Appassionato di sport, ha praticato il nuoto a livello agonistico fino ai diciotto anni, per un anno ha anche giocato a pallacanestro. Di recente, è tornato al cloro.
È innamorato della letteratura in tutti i suoi aspetti, dalla poesia fino al fumetto supereroistico statunitense. Sogna di realizzare un supercolossal hollywoodiano della Divina Commedia, ovviamente in forma di trilogia e abbondando con gli effetti speciali.

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