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Conosciamo da vicino la proposta di riforma della legge
per la protezione della fauna e la caccia

 

 

Report
Disegno di Legge Orsi

Promuovere l’ambiente attraverso l’educazione,
l’informazione, la comunicazione
www.amb-ire.com

Il presente Report nasce dall’esigenza, più volte esternata dalle diverse parti in causa, cittadini compresi, di capire e approfondire le dinamiche contenute nel Disegno di Legge presentato dal Senatore Orsi in via definitiva lo scorso 11 marzo 2009. L’iniziativa di intervenire sulla legislazione italiana in materia di caccia e territorio arriva dopo uno dei tanti ammonimenti dell’Unione Europea volto a richiamare l’Italia al rispetto delle direttive comunitarie e a sollecitare il nostro Paese a dotarsi di una struttura normativa valida ed efficiente in materia di tutela delle specie minacciate e degli ecosistemi naturali a rischio.

A fronte di questi richiami all’ordine, la proposta del Senatore Orsi di ammodernamento della legge 157/1992 (recante norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio) ha fatto da subito discutere proprio perché è parsa, almeno ad alcuni, un passo indietro nella salvaguardia del patrimonio faunistico ed ambientale. Le modifiche proposte “riguardano la cattura temporanea e l'inanellamento, l'esercizio venatorio da appostamento fisso ed i richiami vivi, la definizione della zona faunistica delle Alpi, le forme di prelievo venatorio specialistico, la gestione programmata della caccia, la mobilità per l'esercizio della caccia alla fauna migratoria, la disciplina delle aziende faunistico-venatorie e delle aziende agrituristico-venatorie, la gestione degli ungulati selvatici, la caccia alle specie opportunistiche ed invasive, il controllo faunistico, i divieti di caccia, la licenza di porto di fucile per uso di caccia e l'abilitazione all'esercizio venatorio, le tasse di concessione regionale, il fondo di garanzia per le vittime della caccia ed il risarcimento dei danni prodotti dalla fauna selvatica e dall'attività venatoria, la vigilanza venatoria e le sanzioni amministrative” (Intervento del Sen. Orsi in Commissione Territorio, Ambiente e Beni Culturali, 71ª Seduta, 11 marzo 2009).

Non abbiamo inserito appositamente una parte dettagliata riguardo i contenuti del Ddl, perché ci è sembrato di maggior stimolo alla lettura completa del lavoro presentare le modifiche rilevanti proposte da tale decreto nello svolgersi dei dialoghi con i nostri interlocutori.

Il nostro intento è stato dunque quello di chiarire, se pur brevemente, il quadro normativo attualmente vigente, al fine di creare una minima consapevolezza delle norme vigenti sul territorio italiano in materia ambientale; volendo rendere più vivo il confronto, abbiamo dato voce a tre rappresentanti delle categorie che si sono esposte nel dibattito riguardante il Ddl, chi a favore, chi contro.

Chi meglio di loro poteva accompagnarci nell’analisi del Ddl Orsi?

Troverete quindi tre interviste: una a Danilo Selvaggi, Responsabile nazionale dei rapporti istituzionali Lipu (Lega italiana protezione uccelli); la seconda a Osvaldo Veneziano, Presidente nazionale Arcicaccia; la terza a Rodolfo Grassi, Presidente Provinciale Fidc Milano.

La struttura del Report è libera, sullo stampo dei libri interattivi. Partite quindi da dove desiderate, saltate le parti che volete, il filo si ritrova sempre… Le domande rivolte ai nostri intervistati seguono una struttura comune, voluta appositamente per consentire ai lettori un confronto tra le varie posizioni esistenti; ovviamente, a seconda delle differenti competenze dell’intervistato, in ciascuna intervista sono stati approfonditi aspetti specifici .

Manca una voce in questo lavoro, quella del Senatore Orsi, cui ovviamente è stata a suo tempo richiesta l’intervista, in quanto proponente del Disegno di legge. Per il resto, se qualcuno avesse voglia di partecipare al dibattito in corso, mi contatti senza alcun problema: marta.mainini@amb-ire.com; o visiti il nostro sito: www.amb-ire.com. Andiamo dentro le notizie; buona informazione

Viene di seguito presentato, in via sommaria per ovvie esigenze di lettura, il quadro normativo in cui il Ddl Orsi andrebbe ad inserirsi. Ricordo quindi che il breve sguardo normativo non vuole essere esaustivo, bensì un semplice punto di partenza per una migliore comprensione dei fatti ed un eventuale, personale, approfondimento legislativo.

In Italia vige la legge quadro sulle aree protette 394/1991 finalizzata a garantire e promuovere la conservazione e valorizzazione del patrimonio naturale del Paese (cfr. l’art. 1 comma 1), in dichiarata attuazione degli articoli 9 e 32 della Costituzione, attraverso l’azione coordinata di Stato, regioni ed enti locali. Detta legge propone un tessuto normativo efficace volto a integrare e promuovere una stretta collaborazione fra enti statali, regionali e locali al fine di conservare il territorio nazionale e il patrimonio faunistico che in esso risiede. L’approccio transcalare della legge quadro offre la possibilità di un dialogo e di una cooperazione tra i diversi livelli amministrativi, non dimenticando però di sancire la natura sovraordinata della pianificazione, garantendo in tal modo un ordine gerarchico tra le parti e una necessaria supervisione.

Oltre alla normativa italiana, è rilevante allargare lo sguardo al panorama europeo ed internazionale. Nel primo caso è necessario ricordare l’esistenza della direttiva comunitaria 79/409/CEE, grazie alla quale vengono create le Zps (zone a protezione speciale) ovvero territori idonei per estensione e localizzazione geografica alla conservazione degli uccelli selvatici e dell’avifauna migratoria; successivamente viene emanata la direttiva 92/43/CEE, meglio conosciuta come “direttiva Habitat”, attraverso la quale vengono istituite le Zsc (zone speciali di conservazione) e Sic (siti di importanza comunitaria) luoghi nei quali si rileva la presenza di habitat e specie animali e vegetali ritenute prioritarie per la conservazione della biodiversità a scala europea. Sic e Zps costituiscono infatti quegli ecosistemi che si connettono a livello sovranazionale nella rete europea denominata Natura 2000.

Volgendo lo sguardo al panorama internazionale inoltre, si evidenzia l’esistenza di AEWA - Agreement on the Conservation of African-Eurasian Migratory Waterbirds, ovvero della più estesa alleanza sviluppata in accordo alla Convenzione sulle specie migratorie, alla quale il nostro Paese ha aderito con propria normativa in data 1-09-2006. L’accordo per la conservazione degli uccelli acquatici migratori di Africa-Eurasia è stato concluso il 16 giugno 1995, per poi entrare in vigore il 1 novembre 1999. Da quel momento AEWA è ufficialmente un accordo indipendente e internazionale e copre 255 specie di uccelli ecologicamente dipendenti dalle zone umide per almeno una parte del loro ciclo annuale. Il trattato ha interessato 118 Stati e la Comunità Europea, il suo range d’azione si estende dal Canada alla Russia, fino agli estremi meridionali dell’Africa, stabilendo delle coordinate e delle azioni concertate da implementare in ciascun Stato firmatario, a seconda della posizione in cui esso si trova all’interno del sistema migratorio delle specie interessate.

Dei 118 Stati interessati dalla rotta migratoria, cui vanno aggiunti quelli facenti parte della Comunità Europea, al 1 novembre 2008, 62 sono diventati ufficialmente parti contraenti l’Aewa. Ovviamente le parti sono chiamate a rispondere ad un concertato Piano d’Azione che coinvolge la conservazione di specie e habitat; la gestione delle attività antropiche, le attività di ricerca e monitoraggio, educazione e informazione e, fondamentale, l’implementazione.

Oltre a questo movimento internazionale, è da rilevare come nel luglio 2006 sia entrato in vigore un progetto per le rotte migratorie tra Africa ed Eurasia, portato avanti da Wetlands International in stretta cooperazione con Birdlife International, focalizzato maggiormente in: accrescimento delle capacità e competenze dei singoli Stati, cooperazione nella ricerca e nel monitoraggio, azioni di comunicazione e dialogo fra gli Stati interessati.

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Fonte: Mappa delle parti firmatarie, contraenti e non partecipanti Aewa, http://www.unep-aewa.org/map/map_large.htm

Come si può ben notare dall’immagine, l’Italia rappresenta un corridoio per la fauna migratoria (non solo per i volatili) e dovrebbe quindi legiferare e intervenire in merito alla gestione della fauna selvatica anche a partire da questa consapevolezza: le specie presenti sul territorio nazionale costituiscono un patrimonio insostituibile per tutta la collettività, non solo italiana.

Anche alla luce di queste considerazioni, nell’accordo per la conservazione degli uccelli acquatici migratori tra Africa ed Eurasia, nella sezione Gestione delle attività antropiche – caccia troviamo i seguenti punti di interesse (fonte: http://www.unep-aewa.org/documents/index.htm).

A ciascun paese firmatario viene chiesto di:

- Descrivere le misure normative e legali più rilevanti, atte a controllare la caccia, nel proprio territorio di competenza, delle specie interessate dall’accordo internazionale, riguardo ad esempio la pratica della caccia con munizioni al piombo o con esche avvelenate, il bracconaggio …

- Ciascun paese monitora i propri livelli di caccia? Se si, come vengono acquisite queste informazioni e realizzati questi studi?

- Descrivete le azioni intraprese dalle associazioni di caccia o altre organizzazioni volte a gestire l’attività venatoria, ad esempio azioni in collaborazione, le modalità riguardo le concessioni di licenze, test di competenze..

Nel documento “Aewa implementazioni delle priorità internazionali per 2006-2008” si legge:

Valutazione dello sfruttamento degli uccelli acquatici nelle aree interessate dall’accordo (AP 4.1.5)

Gli uccelli acquatici sono sfruttati in modo esteso in tutti gli Stati compresi nell’accordo Aewa per sport, commercio e sostentamento (...). Ciò nonostante poco è conosciuto sul livello di tale sfruttamento (...) e sull’impatto che tale pratica ha sulle popolazioni di queste specie. L’impatto della caccia sull’avifauna è infatti poco conosciuto e sarebbe quindi un valido oggetto di studio. A questo scopo si propone di esaminare la localizzazione, il livello per specie, i metodi e impatti del prelievo degli uccelli acquatici nelle aree interessate dall’Accordo Aewa.

Riesame dell’uso di munizioni non tossiche nella caccia (AP 4.1.4)

Brussels 1991, Europa centrale 2001.. sono i più importanti momenti internazionali finalizzati a mettere al bando le munizioni al piombo. Ma è necessario un lavoro ulteriore e aggiornato, soprattutto sulle valide basi dello studio già iniziato da Wetlands International.

È necessario che ogni Stato affronti il tema di uno sfruttamento sostenibile dell’avifauna (AP 4.1.1)

Milioni di uccelli vengono abbattuti mentre migrano tra i Paesi dell’Accordo Aewa ogni anno. Alcuni di questi uccelli sono riconosciuti a livello internazionale come specie minacciate. Oltre al prelevamento diretto, gli uccelli migratori sono minacciati in particolare dall’avvelenamento dovuto all’inquinamento del loro habitat causato dagli spari al piombo. (..) Un dibattito regionale dovrebbe svolgersi per promuovere pratiche venatorie più sostenibili e rinforzare la cooperazione tra i diversi impegni internazionali e nazionali riguardo la conservazione degli uccelli migratori, così come riguardo la gestione della caccia agli uccelli, al fine di ridurre il prelievo eccessivo, indiscriminato ed illegale dell’avifauna migratoria.

Abbiamo così concluso la panoramica inerente le norme nazionali ed internazionali vigenti sul territorio italiano ed europeo; avviamoci ora al confronto diretto con gli specialisti che gentilmente ci hanno concesso l’intervista.

 


 

Intervista a
DANILO SELVAGGI, responsabile nazionale rapporti istituzionali Lipu

È davvero necessario cambiare la Legge 157/1992?
Solo nella misura in cui andasse ad aumentare il livello di tutela di animali e natura in generale, solo per mettere l’Italia in regola rispetto alle numerose infrazioni della normativa europea: non dimentichiamoci che l’Europa sta per condannarci per troppa e malfatta caccia. Non era necessario cambiarla per diminuire la tutela. Teniamo conto che le sanzioni europee sono principalmente pecuniarie, bloccano ad esempio fondi destinati all’Italia per agricoltura etc, anche somme ingenti: si crea quindi un danno alla collettività causato da una minoranza.

La Lipu ha rapporti con associazioni ambientaliste estere? Se sì, queste associazioni straniere che ne pensano della politica nazionale in merito alle gestione delle attività venatorie, soprattutto per quanto riguarda la fauna migratoria, che quindi interessa un livello ecosistemico più ampio del territorio italiano in sé…
Si infatti.. La Lipu fa parte della federazione internazionale “BirdLife International” presente in tutti i continenti, in più di 100 Paesi, in Europa ovunque, creando un rapporto strettissimo fra i partners europei. Questi ultimi sono molto preoccupati per la proposta normativa italiana. L’Italia è sotto i riflettori d’Europa, è molto scorretta nell’applicazione della normativa europea. Il tentativo filo-venatorio viene ripresentato ciclicamente, non è la prima volta, ciò suscita preoccupazione per la fauna selvatica, patrimonio di tutta la comunità internazionale, non solo italiana.

Per quanto riguarda l’uso estensivo del “controllo faunistico”.. non rischia questo di diventare un termine impacchettato per cacciare nei parchi specie protette in più periodi all’anno?
È un rischio grosso quello del controllo faunistico… prima di parlare di controllo faunistico bisognerebbe chiedersi come mai certe specie, in alcune aree geografiche, sono aumentate di numero. Il fatto è che i cinghiali sono stati immessi dai cacciatori, oltretutto utilizzando sottospecie dell’est, più prolifiche, e infatti si sono riprodotte. È un problema serissimo, cha include i danni all’agricoltura e il desiderio di cacciare.

La prima cosa da fare a proposito del controllo faunistico è bloccare l’immissione, chiudere il rubinetto. Il procedere al controllo faunistico per abbattimento è come andare a raccogliere l’acqua con un cucchiaio mentre il rubinetto è aperto.. La prima cosa da fare, più efficace ed immediata, è chiudere il rubinetto, bloccare le immissioni artificiali di specie cacciabili. Esistono degli strumenti pianificatori adeguati, azioni di controllo, piani di gestione, strumenti tecnici, le Regioni hanno norme ad hoc per farlo.

Non utilizzare l’espediente dei danni da fauna come cavallo di Troia per aumentare le possibilità di caccia; in questo modo si prendono in giro i cittadini e gli agricoltori: i danni da fauna non sono davvero affrontati, solo utilizzati come possibilità per diminuire i vincoli venatori.

All’art. 12 e 18-ter troviamo invece il concetto di specie “opportunistiche ed invasive”, nei confronti delle quali viene legalizzato l’abbattimento, anche in caso di specie non cacciabili, purché siano “fastidiose”? Mi corregga se sbaglio.
Sì è così.. Nella realtà esistono moltissimi strumenti per esercitare un controllo efficiente sulla fauna, non solo interventi cruenti di abbattimento. E poi, se la riforma alla 157 è stata fatta per dare una risposta ai danni da fauna, cosa c’entrano le civette usate come richiami vivi, cacciare dopo il tramonto, nella neve, sul ghiaccio..

Sì, anche queste innovazioni le vedremo tra poco; mi interessava prima capire il discorso, ex. art. 15, sulla mobilità dei cacciatori negli Ambiti Territoriali di Caccia. L’Art.11, co 13 sancisce inoltre che la licenza di porto di fucili per caccia abbia validità su tutto il territorio nazionale. Quali conseguenze porterebbe una tale mobilità?
Il cardine della legge 157/1992 era proprio il rapporto cacciatore-territorio, la stessa legge stabiliva gli ATC, ambiti territoriali di caccia, proprio per la necessità che il cacciatore operasse su uno o più aree, ben definite. Questo porta un duplice vantaggio: la responsabilità, ogni cacciatore ha familiarità con il proprio territorio di caccia, si sviluppa anche maggior attenzione e rispetto da parte di quei cacciatori meno rispettosi di regole e norme.

In secondo luogo viene facilmente controllata la densità venatoria, non si verifica la possibilità di concentrazione maggiore, ad esempio si evita la possibilità legale di un addensamento di cacciatori in zone interessate da rotte migratorie.

Tutto questo viene meno nel Ddl Orsi, che prevede ben 30 giorni di mobilità venatoria; tenendo conto che i giorni di caccia effettiva per singolo cacciatore sono circa 30/40 giorni, ben si comprende come i 30 giorni di mobilità siano equivalenti ad una quasi totale mobilità, una deregolarizzazione.

Arrivando a quello che già anticipava Lei prima, l’art. 4 prevede che più specie possano essere richiami vivi, anche senza l’utilizzo degli anellini identificativi per legittimarne la provenienza. Un certificato di provenienza (art. 5), sarà davvero sufficiente?
No, impossibile evitare che persone non corrette ne approfittino, l’anellino è molto difficile da rimuovere, scoraggia chi vuole utilizzare illegalmente i richiami vivi nel mercato nero o in altro.. Questa deregulation liberalizza in pratica la detenzione di illimitati uccellini da richiamo. Il Senatore Orsi ha pure risposto che elimina la pratica dell’anellino perché è fastidioso. Noi della Lipu ci chiediamo: è più fastidioso avere un anellino su una zampa, o essere detenuto tutta la vita in un gabbia minuscola, al buio, destinato ad essere un’esca o richiamo vivo? La Lipu ha intenzione di abolire questa pratica aberrante, oggi, nel 2009, con la cultura diffusa, una notevole sensibilità collettiva, dovremmo muoverci contro l’utilizzo dei richiami vivi.

L’art. 22 legalizza la caccia in valichi montani; tali aree sono oggi interdette alla caccia per un raggio di 1000 metri, in questo modo l’avifauna migratrice ha tranquillità per sostare, riposarsi, trovare ristoro etc.. Consentire lo svolgersi di attività venatorie anche in questi ambienti può comportare forme di disturbo, o aprire la possibilità del bracconaggio per la difficoltà strutturale di controllo?
Il discorso è che si apporterebbe sicuramente disturbo alla fauna migratrice; inoltre si offre anche qui un incentivo ai malintenzionati..già che possono essere lì, armati.. E poi la logica alla base è assurda, paradossale: si estende la caccia a questi territori perché le specie in esubero potrebbero spingersi fino a lì.. ma allora se queste si spingessero nelle città, nei giardini.. si aprirebbe la caccia ovunque in nome di questo esubero? Forse ci vuole un management di base, ben potenziato e mirato, queste invece sono ragioni palesemente strumentali.

L’art.22 consente di portare armi, purché scariche e in custodia, lungo le vie di comunicazione di parchi e riserve. Consente inoltre di cacciare da veicoli, anche da natanti a motore spento. Quali conseguenze comportano queste nuove possibilità, soprattutto nelle zone umide, ecosistemi più che mai fragili?
Toccando l’argomento zone umide, è necessario ricordare un fatto, quasi mai menzionato (Io lo menziono infatti grazie a questa dritta, non per merito mio): esiste un accordo internazionale, l’AEWA -accordo per la conservazione degli uccelli acquatici migratori tra Africa ed Eurasia (vedi quadro normativo)- che chiede agli Stati coinvolti di proteggere i migratori. In questo accordo si vieta l’utilizzo di pallini al piombo nelle zone umide dal 2000. L’Italia, nel 2006 con legge 66/2006 proposta dal Ministro Frattini, recepì tale accordo e ne previde l’applicazione. Ad oggi, comunque, escluse le Zps (zone a protezione speciale -vedi quadro normativo), si caccia ovunque con pallini al piombo: ciò provoca problemi di saturnismo agli uccelli, un forte inquinamento degli ecosistemi naturali ed acquatici. Proprio questi rischi dovrebbe proibire un Ddl serio: bandire definitivamente il piombo.

Per arrivare alla caccia da natanti a motore spento: è una modalità molto invasiva, permette ai cacciatori di avvicinarsi in silenzio, cogliendo gli animali in situazioni più rilassate.. legalizza un modo subdolo, sleale di cacciare.

Art 11, co 9,10 prevede invece il tanto discusso tirocinio di caccia per 16enni: cosa ne pensa?
I ragazzi a quell’età dovrebbero pensare a suonare la chitarra, a leggere; dedicarsi all’arte, alla musica, ai libri.. e non ai fucili. Inoltre i 16 anni di adesso non sono i 16 anni degli anni 50’, la maturità è diversa, il contesto in cui vivono, le pressioni a cui sono soggetti sono diverse. Da non sottovalutare inoltre il caso di paesi in cui la caccia a 16 anni è concessa: hanno conosciuto purtroppo eventi drammatici, stragi di giovani; Germania e Finlandia stanno ritornando sui loro passi, in Finlandia si sta pensando addirittura di portare l’età minima per cacciare non solo ai 18 anni, bensì a 21.. Questa politica correttiva dovrebbe far pensare.

Con l’art 16 sparisce il divieto di immettere fauna dopo il 31 agosto. Sapendo che l’attività venatoria apre a settembre, in teoria, questo articolo prevede la possibilità di immettere fauna in periodo di attività venatoria. Giusto?
Prima di tutto l’immissione e l’introduzione di fauna proveniente dall’estero crea squilibri non indifferenti, solo perché si vuole cacciare tanto e tanta fauna.. fenomeni che “drogano” l’ambiente. E poi gli animali immessi in periodo di caccia non avrebbero il tempo di ambientarsi al nuovo luogo.

È davvero necessario rivalutare tutta la materia; per come stanno le cose nel Ddl, si tratta di una sorta di esecuzione.

Anche perché, io non sono un’esperta di caccia, ma credo la finalità istitutiva delle aziende faunistiche venatorie sia quella di ricreare popolazioni animali stabili ed autosufficienti.
Il problema da rilevare è che in Italia non esistono dati su tutto ciò che gira intorno alla caccia, la legge 157 richiede dati, rapporti, analisi del livello di pressione venatoria.., ma in realtà non ci sono né a livello regionale, né a livello nazionale. Ciò mina nel fondamento l’attività venatoria: quest’ultima è sostenibile per la conservazione dell’ambiente? Come capire se la caccia esercitata ad oggi sia sostenibile? Non possiamo valutarla, non ci sono strumenti, misure.. Come rifare la legge 157? Su quali dati, su quali conoscenze? Ha funzionato? Come e perché? Questa è una riforma alla cieca, o meglio, una riforma che vede solo in una direzione..

A proposito di vedere, l’art 16 sancisce la possibilità di estendere la caccia dopo il tramonto. Ma come funziona? Cioè, il motivo è perché alcune specie tornano solo nel buio, o perché sono bersagli più facili perché nel nido?
Mi risulta che il tramonto sia quando il sole va a nascondersi oltre l’orizzonte.. ciò comporta una notevole riduzione della visibilità: già per gli esperti è difficile distinguere un piccolo esemplare di una determinata specie da un altro, figuriamoci una persona meno esperta, al buio. Inoltre, è vero, solo alcune specie ritornano proprio al calar del sole, e se tu non cacci proprio quella non sei in pace con te stesso?
Senza dimenticare il rischio, sparando al buio, anche per una specie in più, la nostra.

Sì in effetti.. comunque, ultima domanda: all’art. 27 si propone una riduzione dei ruoli e delle presenze dei guardia parco, guardie ecologiche e zoologiche.. Come valuta questo intervento in concomitanza al problema del bracconaggio in Italia?
Mentre l’Unione Europea emana una nuova direttiva sui reati ambientali, chiedendo che su determinate illegalità, caccia a specie protette, ci sia un rafforzamento delle pena, un enforcement, maggior vigilanza, chiede insomma un giro di vite per rispondere ad un problema grave, noi in Italia abbassiamo la tutela ed eliminiamo pure alcuni dei controllori. Che dire di più.

Grazie a Danilo Selvaggi,
Responsabile nazionale rapporti istituzionali Lipu



Intervista a
Osvaldo Veneziano
, Presidente nazionale Arcicaccia

È davvero necessario cambiare la Legge 157/1992?
Non era l’emergenza del Paese, comunque si potrebbe parlare di un adeguamento della 157, perché ovviamente quest’ultima legge non è intoccabile, ma seguendo almeno due passaggi: prima di tutto, partendo da un buon livello di conoscenza sullo stato di applicazione della legge che si vuole innovare (ma lo Stato non ha realizzato rapporti su ciò, non esiste un documento che identifichi lo stato di attuazione della 157). Secondo punto: eventuali migliorie hanno bisogno di essere condivise, prima che politicamente, dalle categorie interessate: ambientalisti (associazioni dialoganti, non quelle proprio abrogative), agricoltori, cacciatori. È necessario che queste concordino le linee di intervento in modo da rendere più applicabile la legge. Esistono dei tentativi, oggi in stand-by, di fornire delle linee comuni per un aggiornamento della legge 157 che mantenga il suo fulcro nella conservazione della biodiversità. Purtroppo la normativa vigente spesso è stata disapplicata da alcuni ambiti venatori, che hanno comprato selvaggina dall’estero.. Mentre Arcicaccia auspica un’armonia di propositi e di gestione della fauna locale anche in accordo alla legge italiana sulle aree protette (L.394/1991 –vedi quadro normativo). In Italia esistono problemi che prescindono la tematica generale della caccia e per tale motivo andrebbero affrontati in maniera specifica: alcune specie sono state portate da diverse variabili, sia naturali che antropiche, ad avere una consistenza tale da arrecare danni all’agricoltura. È vero, ma questa problematica attuale può essere sganciata dalla riforma sulla caccia e affrontata in un iter ad hoc: attraverso interventi preventivi ad esempio, limitando le immissioni di ulteriore fauna, intensificando la protezione del territorio agricolo e migliorando la gestione e lo studio della fauna locale, effettuando dei rapporti su stato e distribuzione delle specie.. Sarebbe utile un provvedimento mirato.

Quindi nei fatti, il Ddl Orsi, migliora o peggiora la situazione nazionale in materia di caccia?
Attualmente non risponde all’interesse delle categorie, è in contrasto con le elementari indicazioni scientifiche che poggiano sulla conservazione; dato che il Ddl sembra più orientato alla vendibilità della fauna come prodotto, soprattutto per quanto riguarda gli ungulati. Anche per gli stessi cacciatori, il Ddl complica le cose, creando una maggiore complessità burocratica e procedurale, ad esempio prevedendo la necessità di 8 licenze invece di 1… O il fatto di legalizzare la caccia su neve… ma persino il mio cane si rivolterebbe se lo portassi a cacciare nella neve, è contro la nostra stessa etica venatoria.

Secondo la Sua esperienza, esiste il rischio che l’uso estensivo del “controllo faunistico” possa aprire le porte ad una pressione eccessiva sul capitale faunistico nelle aree protette?
Già nella 157 esiste la possibilità in intervenire in territorio protetto, per reale necessità di contenimento, ma sempre appurata la reale necessità, per un determinato intervento, in un dato tempo. Se, ad esempio, una popolazione in eccesso di cinghiali ha un impatto negativo rilevante sull’ambiente, sulla flora e l’agricoltura locale, occorrono deroghe, ma in un tempo dato, sotto il controllo degli enti gestori delle aree protette, delle guardie parco etc.. Se invece questa pratica diviene una modalità forever.. è fuori dal concetto scientifico, salta il principio secondo cui il 30% del territorio regionale dovrebbe essere protetto.

Quanti cacciatori sono ufficialmente registrati in Italia?
In Italia è quasi impossibile identificare con certezza il numero dei cacciatori ufficiali. Né lo Stato, né le questure forniscono documenti con cifre ufficiali confermate. Io credo comunque che la stima più credibile si aggiri intorno ai 750.000 cacciatori. Un problema reale è il rapporto con le nuove generazioni: la popolazione venatoria è molto anziana, e questa è una questione che andrebbe affrontata seriamente, insieme al ruolo della caccia nella conservazione, nella tutela della fauna selvatica. Queste priorità non sono ben evidenziate nel Ddl, né forse dalle Regioni, che destinano gli introiti derivanti da licenze e robe varie per comprare selvaggina dall’estero invece che destinarli al ripristino ambientale e alla ricostituzione di popolazioni vitali di fauna autoctona.

Art 11, co 9,10: tirocinio di caccia per 16enni: cosa ne pensa?
Beh… io ho iniziato a 16 anni, ma credo che il problema nel Ddl sia stato affrontato male. Potevano proporre un percorso di preparazione dai 16 anni, con esercitazioni, quiz, per poi prendere il porto d’armi a 18 anni compiuti. Questa proposta suscita rancori inutili fra le diversi parti in causa, oltre al suscitare problemi di altra natura: Il 16 enne deve essere accompagnato, ma dato che nella caccia comunque non si può procedere a braccetto, per sicurezza personale, se dovesse succedere una disgrazia, la responsabilità su chi cadrebbe? Sull’accompagnatore, con risvolti anche penali.. Insomma, il rapporto con i giovani è una questione attuale, che andrebbe affrontato in maniera seria.

All’ art. 12 e 18-ter, con il termine specie “opportunistiche ed invasive”, si legalizza l’abbattimento di specie non cacciabili normalmente, purché siano "fastidiose"? E’ così?
Non si risolve così il problema, è un’esagerazione. In questo modo si cade nel problema di farsi giustizia da soli, magari sparando anche a specie protette. Dà adito ad interpretazioni oserei dire border line della legge, fino ad arrivare al bracconaggio, lascia porte aperte ai reati.

Perché estendere la caccia un’ora dopo il tramonto (art.16)? Non è più difficile distinguere quali specie si possono abbattere e quali no?
Ma.. non c’è nessuna finalità. Tutto questo avverrebbe a fronte del pagamento di permessi; incentivo ancora una volta a leggere la fauna come un prodotto vendibile; invece è un patrimonio dell’intera collettività, che non andrebbe commercializzato per facili guadagni.

Secondo invece l’art. 4, più specie possono essere richiami vivi, senza l’utilizzo di anellini identificativi per legittimare la provenienza dei singoli esemplari.. Come mai? E poi, da non esperta in caccia, a quale scopo permettere la detenzione di richiami vivi appartenenti ad una specie non cacciabile?
Già ora i richiami vivi utilizzabili ci sono e sono sufficienti. A che pro consentire la detenzione di così tanti richiami vivi, oltretutto nemmeno più identificabili con l’anellino.. Forse alcuni si usano per la caccia.. e altri finiscono in polenta e usei.. O nel commercio.. Il discorso è ancora più complesso per quanto riguarda la possibilità di utilizzare come richiami vivi specie non cacciabili: legalizzando l’utilizzo come richiamo vivo di specie in teoria non cacciabili, mi porto avanti nell’aggirare tale divieto, poiché poi ho lo spazio per ottenere una deroga all’elenco che prevede quali specie siano cacciabili e quali no. Una volta ottenuta la deroga, e avendo già, grazie a questo nuovo art. 4, la possibilità di utilizzare il richiamo vivo ad hoc, il gioco è fatto.

Quindi, mi corregga se ho capito male, io mi porto avanti allargando lo spettro di specie utilizzabili come zimbelli, pensando di portare poi nell’elenco delle specie soggette ad attività venatoria anche quelle determinate specie per cui ho già il richiamo?
Si, in realtà è semplice, solo che così facendo si provoca una doppia inflazione, andando ad utilizzare come richiamo vivo e oltretutto a cacciare una specie che, al contrario, andrebbe tutelata.

Spariscono gli anelli di riconoscimento per i richiami vivi –“un certificato di provenienza” (art. 5) sarà davvero sufficiente?
No, non sarà sufficiente. Come si farà a distinguere un tordo dall’altro tramite un pezzo di carta? Con le impronte digitali..? Inoltre, l’utilizzo della pratica dell’inanellamento è una modalità di riconoscimento utilizzata da tutti gli ornitologi del mondo, evidentemente quindi non così fastidiosa (come dichiarato dal Senatore Orsi). Ancora una volta si apre la porta ad un’interpretazione border line della legge, in un sottile divisorio tra legalità ed illegalità. Chi onestamente continuerà a tenere un determinato uccello con rispettivo certificato d’identificazione; chi, meno onestamente, terrà più uccelli con un unico, comune certificato.. come fare a dire univocamente a quale esemplare, univocamente, si riferisce il certificato? E poi se l’uccello muore, l’onesto cacciatore dichiara il tutto, si procura legalmente un altro richiamo vivo.. ma il meno onesto avrà la possibilità, data dall’incertezza della normativa, di sostituire meno legalmente il richiamo con un altro, tenendo lo stesso certificato.. E come si procurerà il sostituto? E il richiamo di prima sarà davvero morto o sarà stato venduto?

L’art. 15 disciplina invece la mobilità dei cacciatori negli Ambiti Territoriali di Caccia, l’art.11, co 13 prevede che la licenza di porto di fucili per caccia abbia validità su tutto il territorio nazionale. Quali conseguenze?
Attualmente ci sono forme di mobilità programmate: tele prenotazioni, si telefona ad un numero prefissato e si verifica se c’è posto o no. Con il Ddl si prevedono invece diverse procedure, che introducono maggiore confusione, prevedendo richieste via fax, telefono e altro.., si tratta dell’ennesimo marchingegno, che crea anche problemi interpretativi, richiedendo più soldi per gli spostamenti. A chi giova tutto questo? Anche il fatto di consentire la restituzione delle armi sotto pagamento di un corrispettivo monetario dopo un sequestro dovuto ad azioni di bracconaggio.. Rialza un muro tra le categorie interessate, stimolando un clima da crociata anziché dialettico, utilizzando la caccia come mercanzia elettorale, riferendosi ad un rapporto distorto tra le parti.

Parlando di rapporto distorto, com’è vista dagli stessi cacciatori la possibilità, prevista dal nuovo art.22, di cacciare da veicoli, anche da natanti a motore spento?
Vista la conformazione territoriale italiana, non dovrebbe essere così, si tratta di un ragionamento prima di tutto etico, che interessa anche la possibilità di cacciare nella neve, su ghiaccio, dopo il tramonto.. Tutto questo allontana la possibilità di avvicinare i giovani alla caccia, offende l’etica stessa della pratica venatoria. Sono fasi ormai superate, che vengono, non si sa perché, riproposte nel Ddl.. Così come un cacciatore non dovrebbe essere interessato a praticare la caccia da appostamento alla beccaccia, sapendo che quest’ultima si trova già in una situazione di difficoltà, allo stesso modo dovrebbe vergognarsi nell’esercitare la caccia in determinate condizioni.

Quindi anche a proposito dell’art 16, che consente l’estensione della caccia dopo il tramonto, come vi ponete?
Ma no infatti, a noi non interessa, sia per un discorso di etica, per il quale non vogliamo approfittare di situazioni climatiche o di momenti della giornata in cui l’animale è più svantaggiato, sia per la nostra stessa incolumità.. sparare al buio.. non ce n’è bisogno.

Nel Ddl Orsi non c’è il divieto di utilizzo di pallini al piombo in zone umide, nonostante una posizione nazionale e internazionale chiara a riguardo, come si sta muovendo il mondo venatorio italiano?
Da tutte le associazioni venatorie a livello europeo parte il divieto di utilizzare il piombo. C’è stata la sottoscrizione a BirdLife International, vietando appunto l’utilizzo di pallini al piombo nelle zone umide. In Italia si producono già armi pronte a sparare anche l’acciaio, però poi la parte produttiva focalizzata sulle cartucce preferisce continuare a commercializzare anche le munizioni al piombo, per così dire.. far fuori le scorte che hanno già prodotto e in magazzino…

All’art 16 sparisce il divieto di immettere fauna dopo il 31 agosto, in questo modo esemplari di specie cacciabili possono essere introdotti in determinate aree proprio in periodo di attività venatoria, ciò darebbe il tempo alla fauna medesima di ambientarsi nel nuovo ambiente?
Alla base purtroppo c’è sempre un’idea mercantile della fauna, non si parte da un principio di conservazione. L’etica che fine fa? Invece di preoccuparsi di far nascere prima che cacciare..

Ricostituire popolazioni stabili ed autosufficienti, cosa che sarebbe la finalità istitutiva delle azionde faunistico-venatorie, ricreare condizioni ottimali per la fauna?
Sì infatti, è anche contro le finalità istitutive.. tutti gli interventi in questo campo andrebbero fatti in base a censimenti, rapporti, studi di alta qualità, in base ai risultati dei quali poter programmare interventi di pianificazione e gestione faunistica. Anche per questi motivi poi i giovani non si avvicinano al mondo venatorio.

L’art. 22 consente la caccia in valichi montani; tali aree sono oggi interdette alla caccia per un raggio di 1000 metri, in questo modo l’avifauna migratrice ha tranquillità per sostare, riposarsi, trovare ristoro etc.. Consentire lo svolgersi di attività venatorie anche in questi ambienti può comportare forme di disturbo, o aprire la possibilità del bracconaggio per la difficoltà strutturale di controllo?
Il limite dei 1000 metri comunque non vale se parliamo di caccia a specie in esubero, quindi di interventi di contenimento.. Per il resto si ritorna al problema della mancanza di confine tra legalità ed illegalità.. così come la possibilità di riprendere il fucile a seguito del pagamento di soldi dopo esser stati fermati per bracconaggio. Questa è un po’ la filosofia che permea tutti gli articoli, non solo il 22.

Ciò che realmente serve è maggior coordinamento tra le parti, lavorare insieme, effettuare una vigilanza coordinata, anche incrementando il presidio, perché no?

A proposito della necessità di cooperare, anche nel presidio contro il bracconaggio, attraverso l’art. 27 si vuole diminuire o eliminare del tutto il ruolo dei guardia parco, guardie ecologiche e zoofile. Come va interpretato a Suo parere questo articolo?
Sì, mi lasci proprio accentuare il problema del bracconaggio e della sicurezza, anche per gli stessi cacciatori: ad oggi in Italia non esiste una norma adeguata che disciplini la sicurezza dei cacciatori. Anche il fatto di utilizzare dei giubbetti catarifrangenti durante l’esercizio venatorio… Ma perché non dovremmo farlo? Perché poi potremmo essere individuati più facilmente dai guardia parco? E quindi? Per i cacciatori che rispettano i tempi e le norme, non sussiste il problema, e inoltre noi stessi saremmo più tranquilli, evitando rischi inutili per la nostra incolumità. Ma il problema, forse, sta nel volersi guadagnare il favore di qualche ricco cacciatore aderente a qualche partito.

Anche perché, torno a ribadire, è nel nostro interesse preservare popolazioni vitali di animali, quindi, siamo favorevoli ad un controllo diffuso sul territorio agro-silvo-pastorale, ad un’azione coordinata e condivisa delle diverse parti in causa finalizzata ad una conservazione della biodiversità italiana.

Grazie ad Osvaldo Veneziano,
Presidente Nazionale Arcicaccia



Intervista a
Rodolfo Grassi, presidente provinciale Fidc Milano

È necessario cambiare la Legge 157/1992?
Ma sì, i tempi sono cambiati, è cambiata la mentalità, il territorio stesso, c’è bisogno di creare un nuovo assetto.

Quali sono le esigenze prioritarie dei cacciatori che ritenete non siano ancora state soddisfatte?
Non c’è più libertà di girare l’Italia e cacciare, ogni provincia è divisa in spicchi di territorio dove il cacciatore può esercitare l’attività venatoria o meno. Per cacciare in ciascun ambito territoriale di caccia (Atc) si paga una quota alla direzione che lo gestisce, alla Regione territorialmente competente e allo Stato, quindi il cacciatore, per ogni Atc in cui vuole cacciare, paga 3 tasse. Per fare un esempio, la Lombardia è divisa in 54 ambiti, quindi per esercitare l’attività venatoria in tutta la Regione, un cacciatore dovrebbe pagare 54 differenti tasse, in media stimabili intorno agli 80, 90 euro ad ambito.. Questo è un punto che andrebbe affrontato: meno tasse e burocrazia a favore della semplificazione.

Un altro problema sentito è la limitazione dei tempi di caccia: si può cacciare dalla terza settimana di settembre al 31 gennaio, tre giorni a settimana esclusi il martedì e il venerdì, giorni nei quali vige il silenzio venatorio. Non ci sono così tante possibilità, inoltre già con la 157 ci sono limitazioni rispetto al numero di selvaggina stanziale e migratoria che si può abbattere. Il fatto è che, a fronte di ciò che paga, il cacciatore vorrebbe avere maggior libertà sul territorio, magari una sola tassa per la Lombardia, per esempio. La caccia in fondo è un rapporto di amicizia, si creano legami tra gli stessi cacciatori, una sorta di cameratismo; se tra amici di differenti regioni si volesse organizzare un’uscita di caccia in comune, ci sarebbero problemi perché uno non ha il permesso di spostarsi, anche se paga; così si interrompe il cordone che lega i cacciatori tra di loro.

Il terzo problema che andrebbe ammodernato riguarda il calendario dell’esercizio venatorio: alcuni Paesi europei tengono aperta la caccia anche fino a fine febbraio, e in Italia, Paese in cui siamo anche interessati ai migratori, perché dobbiamo chiuderla prima? Non dobbiamo inoltre dimenticarci che oggigiorno il cacciatore riveste un ruolo importante nella concreta gestione dell’ambiente: sa che senza selvaggina non ci sarebbe caccia, quindi se il cacciatore ragiona, e lo fa, mira a salvaguardare i riproduttori, non va di certo a cacciare in momenti inopportuni per la fauna selvatica. Senza contare che i ripopolamenti di fauna vengono pagati dalle quote dei cacciatori.

All’art 16 sparisce il divieto di immettere fauna dopo il 31 agosto, in questo modo esemplari di specie cacciabili possono essere introdotti in determinate aree proprio in periodo di attività venatoria, ciò darebbe il tempo alla fauna medesima di ambientarsi nel nuovo ambiente, o di ricostituire popolazioni stabili ed autosufficienti, cosa che sarebbe la finalità istitutiva delle aziende faunistico-venatorie?
Ricordiamoci che la fauna immessa nelle aziende faunistico venatorie è allevata, vengono liberati in territorio idoneo, dove non ci sono altri esemplari, ridanno senso alla caccia. Non voglio poi uscir troppo dal discorso, ma si pensi solo agli allevamenti intensivi di pollo, o ancora peggio a quelli di conigli, o ai maiali allevati fino a raggiungere in giovane età un determinato peso, che se non vengono abbattuti a tale raggiungimento muoiono di infarto perché il loro corpo è stato così artificialmente messo all’ingrasso senza avere un rispettivo aumento del sistema nervoso-circolatorio..

Serve un tavolo di discussione serio, almeno che vengano riconosciute ai cacciatori le competenze che hanno.

Crede che attualmente, in Italia, il confronto non si svolga attorno ad un tavolo valido?
Mah… il fatto è che non si può dialogare solo per ragioni emotive, ci vogliono contenuti scientifici, sostenuti da biologi, zoologi con serie conoscenze. Pensiamo a quanto successo quando hanno liberato le nutrie, o al caso dello scoiattolo americano, o ancora alle cornacchie, a causa delle quali stiamo perdendo specie autoctone di verdoni, fringuelli, capinere, passeri.. I piccoli della cornacchia sono infatti carnivori e predano i nidi degli altri.. Il ruolo della caccia è anche quello di contenimento, di intervenire a seguito di squilibri ecologici.

Insomma, se mi devono dire di no, voglio che questo no sia motivato da contenuti seri, che non parta solo da spinte emozionali. A questo proposito abbiamo promosso per primi a Milano la possibilità che i territori controllati di caccia, che esistono grazie alle quote dei cacciatori, siano diretti da rappresentanti dei cacciatori (che mettono soldi, manodopera per le immissioni, gestione, competenze); da agricoltori (che mettono i terreni) e, iniziativa nuova di Milano, anche da categorie ambientaliste, purché siano laureati, in biologia, agraria, scienze forestali o altro, ma che siano seriamente preparati sulla gestione della fauna e dell’ambiente agro-silvo- pastorale. Ripeto, se dobbiamo avere un no, che sia un no competente.

Capisco.. e mi sa dire quanti cacciatori sono ufficialmente registrati in Italia?
800.000 circa, pensiamo al fatto che solo 10 anni fa la cifra arrivava senza problemi a 2.000.000..

La nuova formulazione dell’art.18, riguardo i tempi di attività venatoria, prevede la possibilità di creare un calendario tecnico per singola specie e periodo, con date di inizio e fine caccia per ogni specie, invece dei termini attualmente vigenti di inizio e fine stagione venatoria uguali per tutte le specie. È davvero eseguibile una strategia del genere? Mi spiego, per realizzare un calendario tecnico per specie, si hanno sufficienti dati da cui partire? Rapporti sullo stato delle specie, distribuzione? E per controllare l’esercizio venatorio, non si avrebbe maggiore confusione nel capire chi sta cacciando cosa?
Ci vorrebbero in tutta Italia osservatori sulla fauna, in ogni Regione, per singole specie, sarebbe necessario creare censimenti, rapporti.., servono studi. In Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, ci sono, ma poi manca un coordinamento a livello nazionale e un’attività seria in molte altre regioni.

Il primo coltivatore della selvaggina è il cacciatore, esercitare la caccia senza validi censimenti porta alla scomparsa della caccia stessa; come un agricoltore con il suo frutteto, se sradicasse tutti gli alberi alla prima fioritura..

Per quanto riguarda il controllo faunistico di “specie fastidiose” (art 12 e 18-ter) si parla spesso di immissioni poco bilanciate di fauna a fini venatori.. non potrebbe essere una soluzione più efficace eliminare le immissioni piuttosto che cacciare la fauna in esubero? Come vi ponete a riguardo?
Per anni la caccia al cinghiale non è stata praticata, la specie si è espansa, inoltre è vero, alcune aziende faunistiche hanno liberato cinghiali, ma ora comunque le aziende che li liberano hanno una gestione commerciale: se ne liberano 10, si assicurano che questi 10 vengano abbattuti, perché ci hanno messo dei soldi in prima persona. Il fatto è che nei parchi non si può intervenire, quindi la specie prolifera e si sviluppa fino ad uscire dai confini dell’area protetta, quindi una volta non controllata, la popolazione si espande andando ad incidere negativamente o meno anche all’esterno. In Italia c’è un eccesso di animalismo, di interventi dettati dalle emozioni, senza basi scientifiche.

Faccio un esempio per capirci, riferendomi a quello che accade all’estero: si presenta una densità eccessiva di cervi all’interno di un parco. L’ente parco prende atto e mette all’asta gli esemplari di cervi in esubero. Il cacciatore che si aggiudica il cervo paga e, accompagnato da un guardiacaccia, va ad abbattere solo quel determinato esemplare. Il parco incassa, per dire, 3000 euro ad esemplare per l’asta avvenuta.

In Italia, questo inverno c’erano i cervi che morivano per l’eccessiva neve e la mancanza di cibo, i cacciatori si sono offerti di portare cibo in aiuto a determinate popolazioni di cervi in difficoltà, ma il Parco non ha voluto, ha detto che non si doveva intervenire, se morivano, era naturale fosse così. Dunque, per principio il Parco non fa entrare fucili nell’area protetta, ma se il cibo non c’è per tutti gli animali, non c’è. Quando poi la situazione precipita, gli animali muoiono in ogni caso; a questo punto meglio riconoscere l’aiuto della caccia in certi casi controllati, anche per le stesse entrate economiche del Parco. È un discorso di gestione della fauna.

Arrivando all’art. 15, che disciplina la mobilità dei cacciatori nei diversi Ambiti Territoriali di Caccia, mi chiedevo, in nome proprio del legame cacciatore-territorio, sancito dalla L.157, gli stessi cacciatori non sono infastiditi all’idea che molti altri cacciatori possano cacciare nel “loro” ambito territoriale abituale, magari prestando meno cura e rispetto in paragone a quello che userebbero loro?
È vero questo, sì, ma la mobilità è una buona cosa. Si può regolamentare meglio, non si può dire a priori di no, vediamo prima come. Io sono ideologicamente a favore della mobilità, lo vedo come un arricchimento, uno scambio culturale, anche come occasione per visitare nuovi posti, città.. Certo bisogna saper organizzare bene il tutto, porre dei freni, un numero limite di selvatici da abbattere. I no arrivano da un’interpretazione fuori dal contesto di ciò che la caccia è oggi, non è che uno si sveglia e va da solo in Puglia a cacciare sparando a tutto quello che vede.. La caccia è conoscere gente, luoghi, è uno scambio, è accarezzare con lo sguardo luoghi che hai già visto anni prima, rifare sentieri e vedere che quel ramoscello è cresciuto.. non per fare poetica, il cacciatore ha questo senso, se non ce l’ha non è un cacciatore, è un pazzo.

Anche perché, se uno esce di casa con fucile e licenza, vuol dire che ha già speso almeno 500 euro. Facendo un breve calcolo, 15 euro a fagiano, con 500 euro mi comprerei 40 fagiani in un anno, uno a settimana, cacciando in un anno non li prendi ma neanche.. a stagione siamo sui 7-8 fagiani..più i soldi per i trasporti e tutto il resto.. La caccia è qualcosa di più del semplice fagiano, economicamente sarebbe più conveniente comprarselo.

Art. 4 consente l’utilizzo di più richiami vivi, ma esiste davvero questa esigenza? E perché eliminare la pratica dell’anellino identificativo?
Ma sì, l’esigenza è reale, rientra in una sorta di abitudine: se ho alcuni richiami, poi ne voglio altri, vado ad una fiera, sento che un uccello canta bene, lo prendo, anche solo per tenerli lì, magari poi non li uso tutti.. La questione invece dell’anellino è piuttosto semplice: partendo da un presupposto che per merli e tordi ci sono impianti di cattura, nei quali il cacciatore va per comprare il richiamo vivo, quindi la conferma di origine serve per confermare la provenienza da tali centri e non da mercati di contrabbando, ma per noi è un’inutile pratica burocratica, allunga il tutto.. Se gli uccelli sono presi da impianti di cattura riconosciuti, si paga e si ha la certezza dell’origine; se invece i richiami nascono in gabbia, devono avere l’anellino, ma quello che sosteniamo noi è: se il cacciatore a queste specie può sparare, perché non potrebbe pure tenere le stesse specie in gabbia? Non ha senso..

Sì, la logica può esserci, ma il discorso però non regge più per quanto riguarda la possibilità contenuta nel Ddl di utilizzare come richiami vivi esemplari di specie non cacciabili.
È vero, infatti quella richiesta non ci interessa tanto, sai come funzionano queste cose, si chiede sempre 150 per avere 10.. Le cose a cui davvero puntiamo sono la mobilità, meno tasse, più semplificazione.

L’art.22 invece consente di portare armi, purché scariche e in custodia, lungo le vie di comunicazione di parchi e riserve al di fuori dei giorni di divieto venatorio. Ma se il cacciatore non può cacciare, perché dovrebbe volersi portar dietro il fucile?
Anche qui il discorso è più semplice di quello che sembra, se io mi sposto per raggiungere l’ambito di caccia prescelto il venerdì in macchina, giorno di silenzio venatorio, ora posso incorrere in sanzioni perché ho il fucile nel bagagliaio, mentre l’intenzione è solo quella di usarlo il sabato, in tutta legalità.

Mentre per arrivare al discusso art 11, co 9,10, riguardante il tirocinio di caccia per sedicenni: come vi ponete a riguardo?
Se un ragazzo sedicenne va con il padre a caccia, è sotto la sua responsabilità, e se il padre, puntato un fagiano, passa il fucile al figlio, che problema c’è? Si tratta della stessa idea alla base della patente e del foglio rosa: chi accompagna il ragazzo inesperto ha la responsabilità di ciò che succede. Ditemi se è più pericoloso un inesperto al volante o un ragazzo che, accompagnato, spara ad un fagiano. Inoltre la possibilità di andare a caccia a 16 anni esisteva molti anni fa, e comunque in Lombardia, nessuno lo sa, ma per tutti coloro che prendono la licenza di caccia, dopo un esame, c’è l’obbligo di andare a cacciare accompagnato da un cacciatore esperto per i successivi due anni.

Per quanto riguarda l’assenza nel Ddl Orsi del divieto di utilizzo di pallini al piombo nelle zone umide, come vi comportate nella pratica dell’esercizio venatorio?
Ma queste sono situazioni tecniche.. l’inquinamento da piombo si verifica solo se uno spara sempre nello stesso posto, in particolari condizioni; ci sarebbero inoltre degli accorgimenti per migliorare l’impatto, con una gestione mirata, una ripulitura accurate delle zone interessate.., ci sono molti fucili che con munizioni in acciaio si sciuperebbero. L’inquinamento da piombo incide soprattutto nelle pratiche venatorie come l’appostamento fisso, ecco, per questo specifica modalità, andrebbe proibito.

Parlando invece della possibilità di cacciare dopo il tramonto (art.16), quali sono le finalità venatorie?
Mah, questo lo richiedono in particolare i cacciatori di anatre, perché arrivano dopo il tramonto..

Sì, però alla fine, se passasse il Ddl, la possibilità di sparare dopo il tramonto sarebbe concessa a tutti i cacciatori interessati a tutte le altre specie.. e al buio non è più difficile distinguere tra piccoli uccelli le specie cacciabili e non?
Sì, capisco dove vuoi arrivare, è vero, ma fai conto che le specie piccole cacciabili, come lo storno, si vedono bene, li distingui, per quelli più complicati, comunque non sono cacciabili, quindi il problema non si pone. E poi torniamo di nuovo al discorso di chiedere 150 per avere in realtà quello che realmente ci interessa: maggior mobilità, avere riconoscimento riguardo le competenze dei cacciatori e instaurare un dialogo con ambientalisti esperti, aventi serie competenze riguardo le gestione della fauna e del territorio.

L’attività venatoria ha molto appassionati, persone che amano l’ambiente e la caccia in sé; il permesso di sparare sulla neve, sul ghiaccio, da barche a motore spento, non va a minare la vostra etica venatoria? Non inficia lo svolgimento stesso della pratica venatoria?
Queste richieste riguardano pratiche venatorie specifiche e specialistiche, avrebbero bisogno di legislazioni particolari, ma io non vorrei entrarci.. poi, probabilmente, se abitassi sul delta del Po, parlerei in maniera diversa.

Capisco. Ultima domanda, perché far sparire la categoria delle specie super protette?
Solo perché in questi casi ci si imbatte in provvedimenti penali per eventuali abbattimenti..

Grazie a Rodolfo Grassi
Giornalista, Direttore del Periodico “Il Cacciatore italiano”,
Presidente provinciale Fidc Milano.



Conclusione

Desideriamo lasciare al lettore qualsiasi tipo di valutazione, riflessione e decisione a riguardo; il presente Report è nato proprio per questo, mantenere alta l’attenzione su una tematica fondamentale per il nostro futuro, fornendo magari qualche strumento in più per approfondire il discorso.

Io mi sento solo di aggiungere un piccolo pensiero.

Sul territorio agiscono diversi portatori di interesse: agricoltori, cacciatori, ambientalisti, cittadini, turisti etc; gli organi legislativi si trovano quindi a dover tutelare diverse esigenze e, allo stesso tempo, disciplinare differenti attività. Quello che crea a volte dissenso, forse, è il fatto che lo Stato, nel legiferare in merito a qualsiasi materia, caccia e ambiente incluse, non può basarsi solo sulla buona fede di tutte le parti in causa.

Ciò provoca delle incomprensioni tra le categorie, perché spesso ci si sente tirati in causa senza giuste ragioni: non tutti gli agricoltori uccidono i selvatici “fastidiosi” di loro iniziativa; non tutti gli ambientalisti liberano di nascosto specie da allevamenti, non tutti i cacciatori sparano alle specie protette.

Il fatto è, però, che qualcuno queste cose le fa e, onestamente, dobbiamo prenderne atto.

Quindi, in via precauzionale, la Legge deve andare a coprire anche questi casi isolati, creando una norma efficace e attenta al contesto in cui andrà ad inserirsi, senza per questo ledere la correttezza di qualcuno.