“Sono il marito della zia Giusepppina.” L’indiano non aveva capito, aveva aggrottato la fronte e aveva ripetuto: “Peppina…?” E lo zio Ivo: “No Peppina! Giuseppina, Giuseppina Malossi. Ci siamo sposati il giorno prima della mia partenza per la guerra.”
E
ra scappato dal Purgatorio approfittando della distrazione degli angeli custodi che si erano rivolti alla finestra improvvisamente spalancata da un colpo di vento. Che succede? Mah, chissà! Forse il Padre Eterno ci ripensa e vuol rifare i conti con i penitenti. C’è chi ha scritto un libro e crede di essere più immortale di altri. In punta di piedi lo zio Ivo era sgattaiolato dalla porta e si era ritrovato fuori. Dove? In mezzo alle risaie, a perdita d’occhio nei campi senza nessuna vista di campanili. Solo uccelli che fulmineamente calavano dal cielo per catturare il pesce e subito risalivano le nuvole con la preda che strillava nel loro becco. Da che parte è Gerenzago? Lo zio Ivo non si raccapezza: solo acqua e pianticine di riso. “Dunque se il riso è spuntato siamo d’estate.” Lo zio Ivo si consola: anche lui è morto d’estate, in Africa, ad El Alamein. Gli aveva sparato un indiano che parlava inglese e prendendolo di mira gli aveva gridato: “Who are you?” E lui aveva risposto: “Sono il marito della zia Giusepppina.” L’indiano non aveva capito, aveva aggrottato la fronte e aveva ripetuto: “Peppina…?” E lo zio Ivo: “No Peppina! Giuseppina, Giuseppina Malossi. Ci siamo sposati il giorno prima della mia partenza per la guerra.” “What..?” “Sposati il giorno prima…” aveva ripetuto lo zio Ivo. L’indiano si era spazientito e senza tante storie gli aveva sparato a bruciapelo. Del resto se non avesse sparato lui avrebbero sparato gli altri indiani inglesi che venivano avanti al riparo dei carri armati, tanks di ghisa spessa una mano, con la testa da morto pitturata sulla torretta. Lo zio Ivo non aveva fatto in tempo a farsi il segno della Croce: così era finito in Purgatorio. Millenni e millenni di Purgatorio prima di traslocare in Paradiso. Adesso è tornato sulla terra e non può certo stare con le mani in mano, in mezzo alle risaie, aspettando che venga notte. Così fiuta l’aria e si mette in cammino dove gli pare di sentire fumo di casa. Cammina, cammina, finalmente un campanile, è il campanile di Copiano, solo un’ora di strada da Gerenzago. Cammina, cammina ancora: Belgioso. A Belgioioso si ferma a bere una spuma: fa caldo! Poi Villanterio, Gerenzago. E’ arrivato. Gli batte il cuore. Si ferma in piazza, davanti alla chiesa. C’è gente, è giorno di mercato. Lui s’inchina a salutare: “Buon giorno, come state? Io bene.” Ma nessuno si accorge di lui. Sventola il fazzoletto: inutile, la gente si volta dall’altra parte. Come mai? Tutti vanno per la loro strada come se lui non ci fosse. Che sia trasparente? Proprio così, è trasparente. Tutte le anime sono trasparenti, quelle del Purgatorio sono più trasparenti delle altre, perché non sono né carne né pesce. Lo zio Ivo scrolla le spalle e s’incammina verso casa. La sua casa è proprio lei, come l’ha lasciata quando è partito per la guerra. C’è ancora il vaso di ciclamini sul davanzale della finestra. Solo il fico davanti alla porta non sembra più lui: è rinsecchito. Gli aveva preso un colpo quando era arrivata la cartolina postale con l’avviso della morte dello zio Ivo. “E’ morto da eroe!. Cioè, non proprio morto, piuttosto disperso. Qua in Africa se tira vento la sabbia copre tutto. E’ accaduto che quando il vento ha cambiato giro si è scoperta gente che mai si sarebbe creduto potesse ritornare. Anche faraoni, si proprio faraoni dati per morti da secoli.” Firmato Rodolfo Graziani, maresciallo d’Italia. Lo zio Ivo non fa in tempo a tossire che gli vengono incontro le galline. Sono tutte intorno a lui e becchettano tra i suoi piedi. Anche Tom, il cane, viene avanti e lo annusa. Lo zio Ivo si china ad accarezzarlo: “Tom…” gli sussurra. Il cane leva il muso: “Non sono Tom” dice “Tom è morto.” “Morto?” “Morto.” “E tu chi sei?” “ Mi chiamo anch’io Tom, ma sono un altro cane.” Non l’avesse mai detto, le galline si ricredono e si ritraggono intorno al gallo come se avessero visto una biscia. Senza chiocciare stanno alla larga dallo zio Ivo. Un’ombra passa su di lui. Non è l’andare di una nuvola ma un buio che gli viene dal cuore. Comunque lui si scrolla e l’ombra si disfa nell’aria. Ora è davanti alla porta, sta per bussare, ma si trattiene. “La zia Giuseppina…” pensa “Se busso verrà lei ad aprire?” Si fa coraggio, bussa. Silenzio. Bussa ancora, un poco più forte. Silenzio. Si decide, spinge la porta. La stanza è in penombra, gli scuri delle finestre sono accostati contro il caldo estivo, a mala pena si distingue il tavolo, la credenza…lo zio Ivo trema, muove un passo. Sulla poltroncina di paglia la zia Giuseppina dorme con il gatto in grembo. Dio, Dio come è invecchiata: i capelli bianchi, le rughe sul viso, i piedi gonfi. Lo zio Ivo si china. La zia Giuseppina russa leggermente. Cosa stringe nelle mani? Sì, è la fotografia del loro matrimonio. Lui con l’abito scuro, come un santo guerriero della chiesa, lei con l’abito di tulle bianco, come una farfalla. Sono giovani, giovanissimi, due ragazzi! Allo zio Ivo salta il cuore in gola. Sente il pianto salire agli occhi. Stringe i denti. Non vuole piangere. No, no! Bisbiglia “No, no!” Adagio adagio retrocede, un passetto dopo l’altro. Per un attimo si ferma sulla porta. Con la mano raccoglie un bacio dalle sue labbra e lo manda alla sua sposa, poi si volta, s’incammina rapido, corre, corre, corre verso le risaie e di là vola di nuovo in Purgatorio, dove il vento è cessato e gli angeli custodi giocano a carte come se non fosse successo nulla.