“Dimmi la verità” ma lei non dice il vero e io capisco che da lei fa freddo, molto freddo.
1
Sì, è così, io sono oggetto di vituperio, perché sono un povero rappresentante di commercio che vende chiodi. I maestri mi interrogano sui verbi passivi, gli impiegati del dazio mi tassano, i vecchi si scansano, le matrone voltano l’angolo. Ma io vado per i mercati con le mie scatole di chiodi. “Chiodi, Chiodi Fulmine! Svendita acrobatica di Chiodi Fulmine!” Qualcuno ci casca e compra un pizzico di chiodi. Vendo anche quando è cattivo tempo. Se piove a catinelle i mercanti si rifugiano nei bar ordinando bicchieroni di acqua calda a costo zero. Io, invece, non recedo. Io sto ritto sotto la pioggia sperando in un rialzo delle vendite. “Perché non ti ripari?” mi chiedono i cani attraversando di corsa la piazza. “Perché devo leggere L’Iliade!” rispondo. I cani non rallentano, non sanno niente dell’Iliade, non sanno niente della morte di Ettore, né della morte in generale. “Orbene!” dico a me stesso “Leggi il capitolo della morte di Ettore.” Ubbidisco ad una voce che tuona dentro di me e senza batter ciglio apro il mio Iliade tradotto dal Vincenzo Monti. La versione è bislacca, ma tant’è! Leggo a voce alta rivolgendomi alla pioggia che mi spazzola da capo a piedi. Declamo con tutto il fiato che ho, come la tromba d’aria che sradica alberi a metà luglio. A leggere l’Iliade a voce alta ho imparato da mio padre. Ero un bambino senza malizia e mio padre stava attaccato alle gonne di mia madre davanti ai fornelli, dove lei menava il risotto. Mio padre sbraitava l’Iliade nelle orecchie di mia madre finché lei levava la padella dal fuoco e la spadellava in faccia al suo poeta e poi rideva, e rideva anche mio padre, ridevano insieme e insieme chiudevano gli scuri della finestra e tutto era buio e bisbigli e tic tac dei bottoncini automatici che si slacciavano ed infine silenzio come l’ora meridiana in fondo alla campagna estiva.
L’Iliade è taumaturgico.
2
Malheur! E’ piovuto anche sabato scorso al mercato di Sant’Angelo Lodigiano, tanta acqua da arrugginire i miei chiodi. Per fortuna il mio amico Oculos si sbracciava dal bar Aurora perché mi rifugiassi là dentro. Oculos è il rappresentante degli occhiali Zeiss, con i quali si può leggere anche una Bibbia rosicchiata dai topi. Ho accettato l’invito e mi sono ricoverato nel bar Aurora. Oculos mi ha battuto le mani sulle spalle e gli altri mercanti si sono trastullati con me asciugandomi con i loro fazzolettoni, soffiandomi addosso, pregandomi di accettare una bevanda calda tipo acqua zuccherata. “Macché, macché acqua calda zuccherata!” intonava il mio amico: “Io, me, voi, noi, no, pago io per lui un punch all’arancio” “Merci beaucoup! Merci beaucoup!” ringraziavo sorseggiando il punch all’arancio mentre i clienti del bar facevano cerchio intorno a me per la gola di sentire le mie storie, perché io sono rinomato per raccontare storie di morti.
3
I rappresentanti di commercio avevano gli occhi lucidi quando ho cominciato a raccontare di quella notte quando la zia Giuseppina era uscita dalla finestra e non era più tornata. “Come non è più tornata?” chiedevano i venditori. “Giuro!” dicevo io “Non è più tornata e per fortuna dormivamo al pian terreno per cui non era caduta dalla finestra ma l’aveva scavalcata. Di fatti, sul davanzale era rimasta una sua calza per ricordo.” “Ma tu cosa hai detto, tu cosa hai fatto?” “Che cosa ho fatto? Facile a dire. Quando mi rado la barba davanti allo specchio mi viene voglia di mangiare il sapone invece bevo le lagrime che mi traboccano dagli occhi.” Ribattevano i mercanti: “Noi, propriamente, vogliamo sapere cosa hai fatto. Cioè, vogliamo sapere che cosa hai fatto di quella calza rimasta sul davanzale della finestra.” Io non volevo dire altro perché ogni volta che tiro in ballo la zia Giuseppina mi vien voglia di ficcare il dito nella presa della corrente. Ma i mercanti insistevano. “Tu, tu che cosa hai fatto tu? Tu ti sei messo alla finestra a guardare l’orizzonte?” A furia di interrogativi mi lasciavo andare. “Che cosa avevo fatto con la calza della zia Giuseppina? L’avevo messa in tasca e quando mi viene da piangere mi asciugo gli occhi col ricordo di lei. “E poi?” insistevano i mercanti “Poi, poi … ho preso la rappresentanza dei “Chiodi Fulmine” girando i mercati e per ogni madama che mi pare la zia Giuseppina mi tremano le gambe. Purtroppo devo ricredermi: sì, la camicetta col collettino di piqué sembra la sua, ma lei non è lei. Era una che passava e neppure mi ha guardato. Certo, ne incontro di quelle che sembrano sua sorella ma quando aprono bocca capisco che non sono lei. Io dico: “Buon giorno …” e loro mi rispondono: “Gute Morgen!” o “Salam Alek!”
4
Un giorno un maestro di scuola mi offre da bere e mi dice: “Non guardare lontano, guarda dentro te stesso.” “Come,” dico io “dentro me stesso non vedo niente.” “Se non vedi niente metti gli occhiali.” Ho provato con gli occhiali Zeiss del mio amico e mi è sembrato di vedere che sono in viaggio e alloggio in una bettola con acqua fredda corrente. Ho venduto due chiodi e non posso permettermi nessun comodo. Mangio una zuppa di pelli di patate e subito a letto. No, non per dormire ma per stare al caldo sotto le coperte. Non mi viene sonno, accendo un lumino, mi accomodo i cuscini dietro le spalle, inforco gli occhiali del mio amico Oculos e leggo l’Iliade sussurrando le parole per non disturbare l’armadio e l’attaccapanni che condividono la mia camera. Pian piano la stanza brulica di topi. Sì, ratti. Si arrampicano sul mio letto per non perdere il filo della mia voce. Ai topi piace l’Iliade. Dopo un poco spengo il lumino e mi addormento con gli occhiali sul naso. Dall’alto dei cieli mi cade addosso un sogno. La zia Giuseppina ritorna nel mio cuore. Mi chiama “Chiodo fisso” come mi ha sempre chiamato quando vivevamo assieme. “Come stai?” le chiedo “Bene” mi risponde. “Dimmi la verità” ma lei non dice il vero e io capisco che da lei fa freddo, molto freddo. “Non vuoi dirmi dove sei?” Lei scuote la testa, mi accarezza ed io vorrei morire in quel momento, stretto nelle sue braccia. Invece mi sveglio. L’ho vista, l’ho vista, eccome l’ho vista! Le lenti Zeiss sono miracolose, anche se di sfuggita, fanno vedere chi non c’è più come se ci fosse ancora. Conclusa la mia storia i mercanti del bar Aurora si fanno il segno della croce e si stringono intorno al mio amico per comprare i suoi occhiali: un paio, due paia, tre paia … cento paia di occhiali Zeiss per vedere chi c’è nell’aldilà: il padre che accende la stufa, la madre che stira le camicie, il nonno che imbottiglia il vino, l’insegnante di latino che fuma la pipa, l’aerostato che scende nel campo di granoturco mentre io e la zia Giuseppina siamo nascosti dietro il covone di paglia e ci batte il cuore a sentire che ci chiamano perché ormai è sera ma nessuno risponde. Cento paia di occhiali Zeiss! Al mio amico è andata bene, ha venduto tutta la scorta dei suoi occhiali riservando per me il due per cento dell’incasso. Bonheur!