Qualche riflessione sulla tutela del patrimonio storico-artistico a margine della presentazione di uno studio dell'ambientalista e ricercatore Zeno Celotto intorno alla fontana seregnese del “mangiabagaj”
É molto comune conoscere poco o nulla della propria città, proprio per il fatto di vederla sempre, dando per scontato ciò che si scorge di sfuggita passeggiandoci. Così recita il risvolto di copertina del volumetto dedicato alla fontana seregnese detta del mangiabagaj, riprendendo la postfazione di Andrea Celotto, figlio dell'autore: un libro, pubblicato e distribuito dal Circolo Culturale Seregn de la memoria, scritto in dialogo, reale e ideale, con le nuove generazioni, che riesce a destare interesse anche fra loro, come ha dimostrato la loro partecipazione alla sua recente presentazione. Perchè può essere eccitante scoprire quante storie può raccontarci un monumento e quanto fascino delle epoche passate queste storie possano restituirci: storie scrupolosamente accertate e vagliate, corredate da testi e immagini che ci immergono nel gusto, nel costume, nella mentalità di secoli lontani, nei quali pure possiamo intravvedere risonanze col nostro presente.
Può essere eccitante scoprire quante storie può raccontarci un monumento e quanto fascino delle epoche passate queste storie possano restituirci
Parliamo di una fontana ottagonale, posta nel cuore della città, nella piazza antistante il palazzo municipale, sovrastata da un“biscione” in cotto, ben noto simbolo visconteo-sforzesco, che i Seregnesi chiamano affettuosamente mangiabagaj, diverso però nella struttura da quello che corona l'identica fontana che adorna oggi in Milano il cortiletto del Castello Sforzesco che da essa prende nome, e che è presente anche nelle copie della stessa che si trovano a Niguarda, nel cortile della Villa Mirabello, e a Grazzano Visconti, nella piazza del borgo. Un prodotto seriale, dunque, questa fontana: che valore ha, quando è stato concepito e realizzato, e dove si trova l'originale, che relazione ha con queste copie? Ebbene sì, si tratta di copie, ma il loro disegno è di Luca Beltrami, l'architetto a cui si deve la salvezza e il restauro del Castello Sforzesco: nel 1897, avendo scoperto durante una sua sosta a Bellinzona una bellissima acquasantiera nella Collegiata, la cui vasca era adornata da “numerose e belle imprese sforzesche”, e nella quale molti particolari rivelavano la sua originaria funzione di fontana, Beltrami ne aveva fatto un calco in gesso e progettato un rifacimento, con l'aggiunta di un basamento ottagonale e della vasca per la raccolta delle acque, oltre che di un biscione visconteo ricavato “dalla decorazione di una scala a chiocciola della Certosa di Pavia” , dato che un lungo frammento di ferro sporgente dalla sommità della vasca suggeriva la presenza di un manufatto che la coronasse. Intervento, questo, che fu giudicato improprio quando una copia della fontana, attraverso vicende rimaste ancora sconosciute, giunse a Seregno, dove fu collocata nella piazza di fronte al palazzo municipale nel 1928: il mangiabagaj fu tempo dopo eliminato, salvo ricomparire nel 2009 in cotto e in una foggia decisamente diversa da quella tradizionale, attestata nelle altre copie, secondo la libera interpretazione dello scultore Antonio De Nova. La pietra originaria in cui la vasca e le decorazioni erano scolpite fu coperta da una vernice in cotto.
Nonostante questo ultimo restauro sia così recente, lo stato di degrado di queste sculture é tale che c'é voluta tutta la pazienza e la passione di Celotto per rintracciarvi ad una ad una le raffigurazioni delle imprese sforzesche, paragonandole alle riproduzioni che i documenti d'epoca rinascimentale proponevano in abbondanza, non solo su stemmi, stendardi, mosaici e dipinti, ma anche su abiti e gioielli. Un esempio è l'impresa detta del velo annodato (raffigurato anche nella lunetta sinistra sovrastante uno dei finestroni absidali della Cappella di Teodolinda): simbolo di fedeltà, amore cavalleresco e dignità regale, era l'emblema dell'imperatore Venceslao IV di Boemia, che lo concesse a Galeazzo Visconti insieme al titolo ducale, ottenuto per intercessione del futuro papa Alessandro V e dietro all'esborso di una somma equivalente a diciassette milioni e mezzo di euro! Quella che illustra il significato di queste raffigurazioni é la parte più nuova e affascinante della ricerca pubblicata dal Circolo Culturale Seregn de la memoria nella piccola collana di storia locale “I Ciculabèt”. Tra soli e colombine circondati da raggi, leoni rampanti che tengono rami di melo cotogno, levrieri che si riposano all'ombra di un pino, falchi che si precipitano sulle oche di uno stagno, morsi per cavalli destinati a suggerire come reggere lo stato e piccole scope che rimandano al compito di farvi pulizia, si ricava l'immagine di una casata, pervenuta fortunosamente al potere sul Ducato di Milano, che attraverso un linguaggio fatto di simboli e motti (oggi si direbbe slogan), vuole affermare la continuità coi Visconti, accreditare come proveniente dal Cielo il proprio potere e dichiararne a potenziali nemici i propositi e la forza morale ed economica. Una bella lezione di storia “viva”, quella che la cura e la preservazione dei monumenti possono garantirci!
Se conoscere il valore di un monumento del passato ne incoraggia la conservazione, è altrettanto vero che la conservazione dello stesso, insieme ai documenti che lo riguardano, rappresenta uno strumento, pregnante ed insostituibile, di conoscenza del passato.
Eppure sono tanti i nemici del nostro patrimonio storico-artistico: scarse conoscenze, ricerche poco accurate o rese impossibili dal disordine degli archivi, furia ammodernatrice e, per ultima, l'attuale cancel culture.
Sono tanti i nemici del nostro patrimonio storico-artistico: scarse conoscenze, ricerche poco accurate o rese impossibili dal disordine degli archivi, furia ammodernatrice e, per ultima, l'attuale cancel culture.
Pratica in realtà molto antica, dalla romana damnatio memoriae, che decapitava le statue degli imperatori caduti in disgrazia, alla sostituzione della testa della statua di Filippo II in Piazza dei Mercanti con quella di Bruto da parte dei giacobini milanesi: è Manzoni a ricordarci, nel dodicesimo capitolo del suo romanzo, le vicissitudini di questo monumento-simbolo, gettato infine nel fiume durante la Restaurazione. Vicenda che somiglia forse a quella dell'edificio seregnese della Gioventù Italiana del Littorio, trasformato nel dopoguerra in Casa del Popolo e alla fine abbattuto per far posto ad un parcheggio...
Ma se é comprensibile che nell'immediatezza dei grandi rivolgimenti storici e culturali vengano abbattuti i simboli carichi di significati politici, non è accettabile trattare con sufficienza le tracce di un passato lontano, per far posto ad un presente privo di memoria.
Foto Esni
La storia delle nostre città, e quella di Seregno non fa eccezione, é anche storia di sventramenti, abbattimenti, ricostruzioni più o meno arbitrarie, specie negli anni del dopoguerra e del boom economico: oggi una maggiore consapevolezza impone una difesa di tutto ciò che nello spazio urbano ha valore storico-artistico, perchè si possa stabilire col nostro passato un dialogo significativo, in primo luogo visivo e sensoriale, che solleciti curiosità, ricerca, conoscenza. Come, prima che fosse troppo tardi, é avvenuto con la fontana del mangiabagaj grazie alla sensibilità ambientalista di Zeno Celotto e alla sua esperienza nella ricerca storica.