Quaderno rosso, ovvero vivere al tempo della crisi. Gino è nato negli anni sessanta, il boom. Gino oggi dispone di 650 euro al mese, cerca di farcela con quello che ha.
Quaderno rosso nasce nel 2011, in piena crisi. A quei tempi frequentavo persone molto distanti fra loro economicamente. C’era chi campava con pochissimo, alcuni quasi niente, e chi aveva migliaia di euro al mese. Nel mezzo, chi possedeva un contratto di lavoro. Per un periodo, non c’era giorno che un imprenditore o disoccupato si togliessero la vita. Mi dissi che forse quel periodo andava fermato con dei ritratti a partire da un questionario di 21 domande: si andava dal denaro di cui si disponeva al mese, a quanti libri si leggevano. Senza trascurare lavoro, salute, casa, fede, cultura e relazioni, sogni e speranze. Dietro ogni ritratto c’era un incontro di circa due tre ore con la persona che accettava di rispondere al questionario, poi un lavoro di riscrittura ispirato alle Vite di uomini non illustri di Giuseppe Pontiggia: ciascun ritratto doveva stare in una pagina poco più.
Ne misi insieme un bel po’, ma la tecnica dà e la tecnica toglie, la fine di un computer e il salvataggio da parte di un amico ne fecero superstiti 11. A questi si aggiunsero altri 4 raccolti e scritti da Lorenzo, un amico.
Gino è nato negli anni sessanta, il boom. Gino oggi dispone di 650 euro al mese, cerca di farcela con quello che ha. Fa l'operaio edile, ha imparato tutto sul campo, grazie a un mastro eccellente, praticamente per mimesi. Riesce a lavorare sette mesi l'anno, ha una sua cerchia di clienti. Prima aveva un'impresa, una squadra di maestranze sciolta quando c'è stato il crollo, il lavoro a un certo punto non c'è stato più. Fino a allora non mancava, poi si è cominciato a risparmiare, e oggi lavorano solo i grandi, Caltagirone per esempio. E loro, i grandi, se devono assumere, assumono i giovani e Gino ha cinquant'anni. Ma non si lamenta mai, è un rivoluzionario (anche nella relazione con gli altri), fin dai tempi della scuola, era il '77, anni di piombo, frequentava un Istituto tecnico, allora lottava contro la scuola dei padroni e al ricordo ancora s'accende, precoce manifestazione d'insofferenza verso l'Istituzione. Insofferenza mai smessa, semmai acuita nel tempo. Gino non si sognerebbe mai di andare al collocamento, anche se vive in una stanza tutta per sé in una casa da dividere con un amico, trecento euro più le spese, anche se Gino si paga le medicine, non poche per via di una patologia per cui sta chiedendo l'invalidità. Le tasse no, non le paga, e anche se potesse non le pagherebbe, per lui vale: lo Stato non dà niente e io non do allo Stato. Per lui, ateo, vale il poter vivere senza elemosinare nulla, e la sua coerenza è la sua dignità.
A Gino le sue idee lo hanno portato in carcere, non ne parla volentieri, lui crede nella lotta di classe e non crede sia morta perché, dice, la vita ne è intrisa; assopita sì, almeno in Occidente, non è più massificata come un tempo, oggi si lotta sabotando nascostamente. Altro sguardo vale per l'India, il Brasile o il cosiddetto Terzo Mondo, dove l'industrializzazione inizia ora, la rivoluzione industriale è adesso e adesso è lotta di classe. La pensa così, Gino, nonostante abbia vissuto sulla sua pelle la criminalizzazione della lotta, lotta a un sistema che perpetra lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, un sistema impossibile da cambiare perciò da abbattere. La pensa così lui, che da venticinque anni non guarda la televisione, giusto un telegiornale ogni tanto, per capire che aria tira, cosa pensano i padroni, non a caso dice di leggere il giornale dei padroni, criticamente se ne possono prevedere le mosse. Legge saggi Gino, e psicologia, scritti che cerchino di dare un senso all'esistente, anche se non disdegna i romanzi. E non disdegnerebbe neanche uscire con gli amici, la pizzata settimanale; ma la sua scelta di una rigorosa economia, l'autonomia, pratica e di pensiero, certo oggi non lo ripagano.
Da due anni a questa parte Gino ha dovuto ricominciare da capo già cinque volte: cade e senza un lamento, possibilmente un sorriso consapevole, si rialza e va avanti. Sembra aver fatto suo il detto tutto dare nulla chiedere e di fatto dell'Italia pensa tutto il male possibile, un paese invivibile dice, prima vengono gli interessi, poi le persone; in altre parti del mondo, dice, ho visto con i miei occhi che si vive grazie a un livello di cooperazione molto alto, qui in Italia sei solo, vale il mors tua vita mea. Amarezza? Difficile dirlo, col suo fare filantropico, niente a che vedere col buonismo o il pacifismo, comunque se gli chiedi cosa vorrebbe per sé lui ti risponde che tutti si viva bene. L'ipocrisia lo ferisce, sarebbe meglio smarcherarsi tutti, rinunciare, per esempio, alla sottocultura cattolica. Ateo, si dice convinto, anzi persuaso, ché la vita sia una e vada vissuta pienamente, e mentre lo dice pensa agli amici, alla compagna, ai compagni, e nonostante la povertà non lo diresti infelice, anzi, una luce particolare lo accompagna sempre.