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A Seregno, un appassionato invito all’impegno dalla Rete Associazioni per la legalità: con il lungo “appello” delle vittime di mafia e con un bellissimo film sulla vicenda del piccolo Giuseppe Di Matteo.

 

È certamente vero che niente spinge all’azione e all’unità di intenti come l’individuazione di un pericolo comune, di un nemico reale da combattere: almeno per chi quel nemico sa e sente di dover temere. E’ quello che è accaduto a una parte della cittadinanza di Seregno quando, alla fine dello scorso settembre, l’arresto del sindaco e l’avvio di una commissione d’inchiesta per infiltrazioni mafiose nell’amministrazione comunale ha costituito una sorta di trauma per l’orgoglio della cittadina brianzola: nonostante fossero noti da tempo ai più avvertiti i segnali di una penetrazione della ‘ndrangheta nel tessuto economico e nella gestione politica del territorio, isolate e sparute erano apparse fino a quel momento le reazioni. Quell’arresto, con le conseguenti dimissioni della giunta e l’arrivo di un commissario prefettizio alla guida del Comune, sembrò aver scosso molte coscienze: le associazioni democratiche si sono mosse “per dare vita ad una rete di coordinamento per coltivare e praticare la cultura della legalità”, nella convinzione che le mafie sono un fenomeno criminale che cresce nell’indifferenza verso il valore della legalità, che prospera grazie ad una pratica politica che accetta il voto di scambio ed è permeabile alla corruzione, e sopravvive nel degrado morale e culturale di una società civile che non vigila e non reagisce. Più di una ventina di associazioni, dai cattolici delle ACLI , della Caritas, delle parrochie, alle associazioni legate a tutto l’arco della sinistra, ANPI, Comitato antifascista, Casa della Sinistra, i sindacati CISL e CGIL, gli amici del Cinema Roma e il collettivo di donne Agitamente, i giovani del Caffè Geopolitico e dell’ Agesci, i circoli culturali locali e qualche comitato di quartiere, la scuola di italiano per stranieri, la rete intercomunale Brianza sicura, e associazioni provenienti da altri comuni, come Senza confini, di Seveso, e in primis, naturalmente, Libera: una collaborazione animata da tanta passione comune, che ha dato vita a molte iniziative e incontri con autorevoli protagonisti della lotta per la legalità, da Gherardo Colombo, a Giorgio Ambrosoli e Camillo Davigo, dal Pubblico Ministero della Procura di Milano Alessandra Dolci , della Divisione distrettuale antimafia, fino alla presidente della uscente Commissione nazionale antimafia Rosy Bindi.

 

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Un impegno notevole, come si vede, per informare la cittadinanza sulla rilevanza del problema, sulle azioni di contrasto e sui beni sequestrati nel territorio, sulla portata della penetrazione delle mafie in una regione come la Lombardia che se ne riteneva immune e che è diventata la quarta nella vergognosa classifica nazionale della criminalità organizzata che vede le tradizionali regioni del Sud ai primi tre posti.

Ma l’informazione è solo uno degli strumenti che alimentano la crescita della coscienza civile: a scuotere le coscienze occorre anche il coinvolgimento emotivo, soprattutto se l’obiettivo è, come è doveroso che sia, la formazione dei più giovani. 

A questo scopo mi è sembrata davvero efficace l’iniziativa svoltasi la mattina del 17 marzo, che anticipava di qualche giorno la“Giornata della memoria e dell’impegno” che da più di vent’anni ormai Libera dedica alle vittime della mafia, collocandola simbolicamente all’inizio della primavera: perchè dal sangue versato da tanti innocenti e da coloro che la mafia hanno combattutto fino alla morte possa fiorire una nuova società libera e giusta.

 

l’informazione è solo uno degli strumenti che alimentano la crescita della coscienza civile: a scuotere le coscienze occorre anche il coinvolgimento emotivo

Non è retorica, a giudicare dall’effetto che produce l’interminabile elenco dei loro nomi: un elenco che si estende per più di un secolo, da quel Joe Petrosino ucciso a Palermo nel 1909 per aver combattuto la mafia italo-americana fino ai nomi noti e meno noti dei giorni più vicini a noi. Magistrati, poliziotti e giornalisti, testimoni di giustizia e semplici passanti, uomini, donne e bambini, nomi che si ripetono perchè provenienti dagli stessi territori, nomi stranieri sempre più presenti man mano che la globalizzazione avanza e coinvolge nella violenza criminale immigrati sfruttati e vittime della rete mafiosa internazionale: la fila delle persone che si offrivano per la lettura di questo impressionante “appello” era piuttosto lunga, nell’Auditorium che ospitava la manifestazione. Ogni nome era anche scritto su una di quelle targhette che si mettono nei vasi ad indicare il nome delle piante: la pioggia ha impedito di collocarle nelle aiuole di Piazza Risorgimento, come era stato fatto qualche anno fa a Giussano in una analoga iniziativa, ma anche lo striscione rosso disteso in mezzo alla sala sul quale sono stati collocati in quest’occasione aveva un certo impatto visivo. Può spiegare anche una sorta di assuefazione, di impotente rassegnazione, tanta persistenza di un fenomeno sociale che sopravvive a guerre, regimi, a tutte le distruzioni che l’ultimo secolo di storia ha prodotto in ogni altro campo: in realtà è proprio l’assuefazione, l’indifferenza, il tentativo di volgere altrove lo sguardo per interesse, perbenismo o quieto vivere, a spiegare questa sopravvivenza.

un fenomeno sociale che sopravvive a guerre, regimi, a tutte le distruzioni che l’ultimo secolo di storia ha prodotto in ogni altro campo

“La mafia è un fenomeno umano- diceva Giovanni Falcone- e come tale avrà una fine.” Ma questa fine non verrà da sola, richiede la consapevolezzaa e la lotta di tutti, in ogni occasione. I numeri dei presenti in questa circostanza non eguagliavano certo quelli dell’elenco delle vittime: molti, purtroppo, i posti vuoti, mancavano molte presenze significative, anche fra i gruppi nominalmente aderenti alla Rete, a dimostrazione di quanto lunga sia ancora la strada da fare in questa città! Ma c’erano per fortuna anche i ragazzi: rappresentavano le classi del liceo Parini di Seregno, del liceo artistico di Giussano e dell’Istituto Comprensivo di Carnate; questi ultimi, alunni di prima media, vicini all’età di Giuseppe di Matteo, sequestrato per più di due anni e infine strangolato e sciolto nell’acido, vittima dell’atroce vendetta dei Corleonesi nei confronti di suo padre, il pentito che indicò i nomi dei responsabili dell’attentato di Capaci. Una vicenda terribile, che solo l’arte poteva raccontare con la delicatezza e l’efficacia che servono quando ci si rivolge al pubblico più giovane.

Una vicenda terribile, che solo l’arte poteva raccontare con la delicatezza e l’efficacia che servono quando ci si rivolge al pubblico più giovane.

 Ci é riuscito benissimo, a mio parere, il film proposto: Sicilian Ghost Story, film del 2017 scritto e diretto da Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, una produzione italo-franco-svizzera che ha riscosso grande successo lo scorso anno a Cannes e ha ottenuto il nastro d’argento per la scenografia e la fotografia. Gli autori hanno scelto un registro fiabesco, pieno di simbolismi, raccontando in inquadrature vertiginose una favola nera, di oscuri labirinti e di mostruose minacce che irretiscono e divorano il tenero slancio verso la vita dei due giovani protagonisti. Due, perchè nella loro scelta di allontanarsi dalla realtà di quella atroce vicenda di mafia, che pure è puntualmente evocata nei suoi dettagli, i registi hanno affiancato al personaggio reale del giovanissimo Giuseppe Di Matteo quello fantastico di una sua compagna di scuola, Luna, innamorata di lui e incapace di rassegnarsi alla sua misteriosa scomparsa. Per amore, e per quel rifiuto dell’incomprensibile che è proprio dei giovani, Luna si lancia nella ricerca testarda e temeraria del suo Giuseppe, sfidando ogni rischio e soprattutto l’indifferenza e l’omertà di tutti intorno a lei: gli adulti specialmente, ma anche il compagno di classe che già mostra di aver assorbito la mentalità mafiosa, secondo cui “il figlio dell’infame non tornerà più”. 20180317 film legalitàMa Luna continua a comunicare nei suoi sogni col suo piccolo cavaliere sempre più evanescente. E’ in una Sicilia dark che si svolge questa storia di mafia e di fantasmi:  la campagna arida, dove soffia spesso il vento, il cielo aperto sempre pronto ad oscurarsi all’improvviso, i boschi abitati da topi dove ai piedi degli alberi sbucano all’improvviso cani rabbiosi, le fondamenta e i seminterrati delle case che nascondono grotte labirintiche o bunker di cemento, le costruzioni abusive che possono sparire misteriosamente, e le acque, soprattutto le acque che mettono in comunicazione il mondo in superficie e quello sotterraneo, l’acqua che accoglie i resti disciolti del giovane Giuseppe e quella in cui Luna cerca di affogare la sua disperazione. Il film si chiude con una immagine di speranza, il mare luminoso di fronte e le testimonianze di un’antica civiltà alle spalle di un gruppo di ragazzi uniti da solidarietà e aperti alla vita. Un vero peccato che tanti mancassero a questo fortissimo appello contro l’indifferenza!

Gli autori di Vorrei
Carmela Tandurella
Carmela Tandurella

Se scrivere è “scegliere quanto di più caro c'è nel nostro animo”, ecco perchè scrivo prevalentemente di letteratura. Storia, filosofia, psicologia, antropologia, tutte le discipline che dovrebbero farci comprendere qualcosa in più della nostra umanità, mi sono altrettanto care, ma gli studi classici, la laurea in filosofia, anni di insegnamento e una vita di letture appassionate mi hanno convinto che è nelle pagine degli scrittori che essa si riflette meglio. Il bisogno di condividere quello che ho letto e appreso, che prima riversavo nell'insegnamento, mi ha spinto ad impegnarmi prima con ArciLettore, poi, dal 2013, con Vorrei, del cui direttivo faccio parte. Da qualche anno sono impegnata anche nella collaborazione alle pubblicazioni e alle iniziative del Comitato Antifascista di Seregno e del Circolo Culturale Seregn de la memoria, di cui sono attualmente vicepresidente.Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.