Il Maestro si risveglia spaventato: quanto ha dormito? E’ tardi, deve correre a scuola, oggi parlerà della morte di Socrate.
Finisce l’estate come un vecchio che cade dal seggiolone per smemoratezza. Il re delle mosche prepara il suo Atlante che lo condurrà in Africa. La luce si ritira negli angoli della casa dove sonnecchia il Maestro. Egli vaga nel sonno, sogna la sua età infantile: grilli nei campi d’estate e capriole sul tappeto davanti alla stufa di gennaio. Rivede i suoi genitori. Sua madre con l’ abito a mongolfiera e suo padre che rincorre il cappello strappatogli da un colpo di vento. Si chiamano, sua madre batte le mani, ride: “Sei senza testa, sei tutto cuore!” Il Maestro si sveglia: “Mater domus aurea… Pater caput orbis!… dove siete?” Il Maestro si asciuga le lacrime.
E’ l’ora. Lo aspetta la Scuola Municipale con la sua raccolta di panciuti vedovi e rinsecchite zitelle. Mentre beve il caffè ascolta la radio che annuncia burrasche sulla costa. A nord, molto più a nord, plumbee nuvole si sono infiltrate nelle case buttando per aria il rame delle cucine. La radio annuncia, tossisce, straparla, tossisce di nuovo. Il Maestro non capisce. “Come?” “Tieni un ombrello a portata di mano” dice la radio. Giusto avviso perché una ventata spalanca la finestra. Il Maestro allunga il collo verso le verdure dell’orto. Deo gratias! I sedani sono alti come giovinette. Il Maestro sbadiglia. Forse è presto, può dormire ancora un poco, congiunge le mani e di nuovo si addormenta. Chi farfuglia? Ancora la radio? “Ja, Ja!” la radio gli notifica che la sua vita finirà mercoledì o giovedì della prossima settimana.
Il Maestro si risveglia spaventato: quanto ha dormito? E’ tardi, deve correre a scuola, oggi parlerà della morte di Socrate. Arriva a scuola trafelato. Tutti i suoi alunni sono accomodati nei banchi con i loro animaletti da compagnia. Ogni bestiola non è che un caro defunto. Chi non ha più la sua fedele amata ha con sé una volpe. Chi ha perso un figlio ha un castoro. Chi ha avuto un bravo professore di latino è in compagnia di una tartaruga. E così via: porcospini, scoiattoli, gufi non sono che resurrezioni di vecchi zii, cugine rimaste ragazze per sempre, giudici ventriloqui che ascoltano la propria coscienza, soldati di ventura. Le anime dei defunti sono trasmigrate negli animali attirate dalla benevolenza di quegli sguardi innocenti : “Caro, caro…” sussurra una cagnolina al suo ospite: “Accomodati, accucciati accanto al mio cuore. Senti come batte.” Le donne si fanno vento con ventagli di piume, gli uomini si arricciano i baffi. Se un alunno ha un bottone allentato, subito una compagna glielo ricuce in cambio di una carezza. “Mercì, mercì!” ringrazia l’uomo scosso come da un vento che attraversa il bosco cantando.
Comincia la lezione. Il Maestro sale in piedi sulla sedia della cattedra: da lassù gli sembra di essere sul tetto della sua casa. Dice il Maestro: “Gloria a Socrate nell’alto dei cieli.” “Amen…” rispondono gli alunni abbassando la testa riverenti. Il Maestro invita gli alunni ad aprire i loro sussidiari al capitolo quinto. Gli alunni sfogliano i volumi zeppi di fiori secchi e farfalle imbalsamate. Ma al capitolo quinto non c’è la morte di Socrate. C’è invece l’illustrazione della prima macchina a vapore ideata da Geoge Stephenson.. Il Maestro è stupito. Anche nel suo libro c’è la locomotiva dello scienziato inglese con gli schemi e la formula per calcolare l’energia sviluppata dal vapore per ogni miglio percorso. Il Maestro volta e rivolta il suo libro. Chi lo ha manomesso? Le ombre della notte?
Squilla il campanello della scuola. E’ il postino con una lettera indirizzata al Maestro. E’una missiva dell’Imperatore. Che profumo d’incenso! Con mano trepidante il Maestro dissuggella la ceralacca. C’è scritto: “Cuore spezzato. Mercoledì o giovedì.” Il Maestro impallidisce, chiude il suo libro e fa segno che la lezione è finita. “Via i quaderni, le matite, le gomme per cancellare. Accompagnatemi alla stazione.” Tutti, tutti alla stazione. Appena in tempo. Il Maestro salta sul treno e si sporge dal finestrino. “Addio, addio!” grida “non ci vedremo più, ma voi ricordatevi di Socrate che ha bevuto la cicuta davanti alla finestra aperta. Quanto cielo, quanto cielo ha riempito i suoi occhi.” “Sì, sì’!” gridano gli alunni “noi beviamo solo alkermes. Niente cicuta. Solo alkermes!” Il treno sparisce in una nuvola di fazzoletti che salutano. Sulle carrozze la servitù offre tazze di tè. “Un tè verde, Monsieur?” “Niet” si schermisce il Maestro.
Frenata! Il convoglio s’impenna davanti alla Maison dell’Imperatore! Sul tetto di nere ardesie il Sole e la Luna salutano. Si inchinano le Pleiadi. Sulla scalinata di marmo tra zampilli di acque sulfuree austeri funzionari rilasciano passaporti. Ma il passaporto del Maestro non si trova. Vi sono documenti alla rinfusa. Attestati di bella scrittura, diplomi di volo con penne d’aquila, confessioni in punto di morte, certificati di resurrezione.
I funzionari rovistano tra le carte. Non c’è, il documento del Maestro non si trova. “Ma io ho ricevuto l’avviso della mia morte per mercoledì o giovedì.” reclama il Maestro sventolando sotto il naso delle autorità la lettera dell’Imperatore. ”No, no!” replicano i ministri “E’ un falso.” “Ma qui c’è scritto cuore spezzato.” “Doppio falso.” “Come doppio falso? C’è la firma dell’imperatore.” “Macchè, macchè! Questa non è la firma dell’imperatore. E’ lo scarabocchio di un capo ufficio di chissà quale remota provincia.” “Remota provincia?” “Ouì monsieur. Provincia dove non arriva il treno. Forse un autobus una volta al mese ma d’inverno nessun mezzo.
Alla stazione degli autobus il Maestro si guarda in giro smarrito. C’è solo una corriera sulla corsia delle partenze. Il Maestro sale sul mezzo. Non c’è alcun viaggiatore. “Quando parte?” chiede il Maestro “Mercoledì o giovedì.” risponde l’autista.
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