20161018 valigia dei libri 080

Che male ho fatto?” “Che male hai fatto lo sai tu.” “Io non so niente e se sapevo l’ho dimenticato.” Ma il pesce inghiottiva il poveraccio e gorgogliando spariva nei gorghi.

È scritto, è tutto scritto nell’Iliade come e perché i teucri diedero fuoco alle navi achee e tanta fu la cenere che il vento la soffiò fin sull’Argolide, patria di Agamennone, duce degli achei, marito di Clitennestra. Pareva che sull’Argolide fosse calata la nebbia da non vederci un dito più in là del naso. Agamennone aveva bisogno di nuovi soldati, bisogno urgente perché Ulisse era ferito, Menelao azzoppato, Aiace preso per il collo. Ettore faceva correre i greci come tarantole. Agamennone aveva scritto a casa, al comando dei carabinieri: “Arruolare tutti, anche chi cambia strada per non disturbare una biscia addormentata nella polvere” Post scriptum: “ Cos’è quel mettersi dalla parte delle serpi mentre la Patria pericola? Ho detto arruolare tutti e guai a chi si nasconde!” Archiloco, marito di Celeste, si era nascosto in camera da letto dentro l’armadio a quattro ante. Stava dalla parte dei vestiti di lei, nel morbido dei pepli, attento a non fare nessun rumore. Non tossiva, non sbadigliava, il suo cuore dava un colpo ogni tanto, poi si ritraeva nel silenzio. Il tempo pareva uno specchio che si specchia. Che poteva fare Archiloco se non contare i numeri su e giù per le tavola pitagorica? Usciva di soppiatto nelle giornate di nebbia, per andare a pescare in capo al mondo, alle cave di ghiaia, dove non c’erano pesci se non qualche arcaico boccalone che improvvisamente saltava fuori dall’acqua azzannando un disgraziato di passaggio che trascinava nella cava nonostante i lamenti: “Perché, perché deve toccare proprio a me di finire in bocca a un pesce. Che male ho fatto?” “Che male hai fatto lo sai tu.” “Io non so niente e se sapevo l’ho dimenticato.” Ma il pesce inghiottiva il poveraccio e gorgogliando spariva nei gorghi.

Tutti giravano al largo delle cave e chi si spingeva fin là subito tornava in dietro raccontando ai familiari di avere visto la bocca dell’inferno e allargava la propria ganascia mostrando l’ugola tremolare. I carabinieri? Mai si sarebbero spinti fino alle cave, preferivano battere le strade alberate e le piazze con la fontana interrogando i gatti: ”Dov’è questo, dov’è quello, dove sono i traditori della patria?” Ma i gatti allargavano le braccia: “Noi non sappiamo niente. Chiedete ai cani.” I cani abbassavano la coda e si defilavano. Nell’Argolide nessuno denunciava gli scomparsi. “Fatti loro.” bisbigliava il popolo sciacquandosi la bocca. Celeste aspettava trepidante il ritorno di Archiloco “Chissà dov’è? Capace di finire in bocca ai carabinieri.” Davanti alla porta di casa Celeste si torceva le mani: “Arriva, non arriva?” Veniva il crepuscolo, veniva sera, veniva notte e Celeste andava avanti e indietro dall’uscio alla stufetta accesa in cucina. Sulla soglia si levava in punta di piedi e, facendo con la mano ala agli occhi, sbirciava il buio finché vedeva un’ombra che pareva lui. Finalmente era lui che sventolava una sardina : “L’ho presa, l’ho presa!” Celeste gli saltava al collo pungendosi nell’ispido della sua barba. “Ma come” diceva “ a pescare ti è cresciuta una barba di spilli?” “Signora sì!” rispondeva lui “A pescare mi son cresciuti i peli come chiodi” e accarezzava la donna facendola sospirare. Poi Celeste arrostiva la sardina e ringraziati gli dei si mettevano a tavola gomito a gomito. Lui mangiava il pesce dalla parte della coda, lei dalla parte della testa. Masticavano in silenzio e la notte sembrava infinita. Lui posava la mano sulla mano di lei e lei sorrideva con gli occhi. Infine lui sbadigliava, non ci vedeva più dal sonno ma prima di addormentarsi bisbigliava qualcosa che non si capiva. Celeste annuiva e si sbottonava il primo bottone della camicia. Seguiva la notte incommensurabile che durava un giorno, due giorni, anche tre giorni di seguito finché Celeste sgusciava dall’abbraccio e correva a spalancare la finestra respirando il balsamo del mattino. L’aria era piena di raggi sole. D’un tratto Celeste credeva di vedere doppio. Due carabinieri erano sotto casa. Uno dava calci alla porta sventolando la cartolina precetto. L’altro scriveva il verbale sopra un taccuino con le orecchie. “Archilocooo....” gridavano “Salta fuori. Sappiamo che sei in casa. La casa sa di sardina.” Silenzio. Celeste spariva dalla finestra. I carabinieri richiamavano: “Archilocooo!!” Celeste tornava alla finestra: “Non c’è.” “Dov’è?” “E’andato a pescare” “Quando torna?” “Non so.” Celeste richiudeva la finestra con tale patatrac da far tremare la casa. I carabinieri non si davano per vinti, si accucciavano sullo scalino della porta e tiravano fuori i dadi “Staremo qua finché torna.” Archiloco non fiatava, si rimpiccioliva nell’armadio dei vestiti dove Celeste gli portava qualche biscotto. Lei dormiva nel lettone deserto, abbracciata al cuscino come se fosse Archiloco e tanto strizzava il guanciale che le penne scappavano fuori solleticandole il naso. Starnutava, starnutava come un gatto bagnato. “Salute!” dicevano i vicini di casa svegliandosi di soprassalto: ”Chi c’è, che succede?” Seduti sul letto, con la camicia di traverso e gli occhi spalancati i vicini di casa si guardavano intorno spauriti: “Chi c’è, che succede?” “Niente, niente. Fantasmi!” Altro che fantasmi. In città era arrivato un corifeo con la lingua di fuori tanto aveva corso. “Chi c’è? Che succede?” gridava il popolo dell’Argolide “Bruciano le navi?” “Macché” replicava il corifeo: “Brucia la città di Troia. Gli achei danno fuoco a tutto.” Il popolo dell’Argolide drizzava le orecchie. Sì, sì! Nell’aria si sentiva l’urlo di Ulisse che saltava fuori dal cavallo di legno agitando un tizzone acceso. Si sentiva il pianto di Enea che credeva di abbracciare la moglie Creusa invece stringeva l’aria: ”Creusa, amore mio, perduta per sempre…” Tutto era fuoco, fumo, crepitio di legni, rimbombo di pietre, supplicare di vinti, bestemmiare di vincitori, uccelli che cadevano dal cielo già arrostiti, pollame che si strappava le penne già bruciacchiate, gatti furbi già imbarcati per l’Italia. Così hanno scritto Omero e Virgilio. Giuro, hanno scritto così mentre stringevano nell’altro pugno una manciata di spilli per condividere il dolore universale: “Creusa, Creusa, amore mio…”

 

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Gli autori di Vorrei
Adamo Calabrese
Adamo Calabrese

Adamo Calabrese è scrittore, autore di teatro e illustratore. Ha pubblicato con Einaudi il romanzo "Il libro del re", con Albatros i libri di racconti "L'anniversario della neve", "La cenere dei fulmini", "Il passaggio dell'inverno", con Joker "Paese remoto". Ha illustrato i propri libri ed edizioni di Dante, Gibran e Pascutto. Scrive e disegna per il quotidiano "Il cittadinio" di Lodi, per le riviste "Vorrei" di Monza e "Odissea" di Milano. I suoi ultimi lavori teatrali hanno messo in scena opere di Brecht, Joyce, San Francesco e Iacopone. Nel 2012 RAITREha trasmesso un suo testo. Nel 2014 è stato finalista del premio internazionale di grafica satirica "Novello". Insegna letteratura presso le Università della terza età di Sesto san Giovanni e Milano (Università Cardinale Colombo)

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