La nuova rubrica di Vorrei che nutre corpo e anima. Inauguriamola con la tradizione contadina pugliese e il suo piatto fatto di pane raffermo, brodo, olio, verdure e... Van Gogh
Ho sempre creduto che ogni azione che compiamo, da quella quotidiana a cui spesso non diamo più importanza a quella occasionale, debba essere sempre accompagnata da una certa attenzione nei confronti del bello. Mi spiego meglio. Nella immensa quantità di immagini che quotidianamente abbiamo il piacere, o il dispiacere, di incontrare per strada, sui giornali, online, eccetera mi sembra che solo una minima parte sia pensata, curata e degna di essere ammirata. E spesso questo scempio di immagini riguarda proprio il cibo.
Nell’epoca delle trasmissioni televisive culinarie, dei blog, dei siti web, delle pagine social e dei canali dedicati, quanti di voi hanno mai assistito alla esposizione di foto che hanno come soggetto il cibo? Foto sfuocate, abbagliate dal flash, con inquadrature affidate al caso, prive di decoro… insomma non particolarmente gradevoli e di conseguenza non buone per l’anima.
Ho accettato l’invito del direttore di “Vorrei” ad occuparmi di questa rubrica che ho deciso di chiamare “Il buono e il bello”, proprio perché credo che si possa unire il buono che c’è in ogni alimento con il bello dell’arte, in una consonanza che intende far incontrare la mia “fotografia alimentare” alle diverse forme d’arte.
Il buono che ho scelto per questo mese è un pietanza cardine della cucina altamurana, la mia terra d’origine. Lo so, avete appena pensato «ad Altamura c’è il pane buono!», è la prima frase che ogni mio compaesano si sente ripetere quando tira fuori il nome della propria città.
Si chiama “Cialledd”, è un piatto che trova origine nella tradizione contadina, alla terra, ed è proprio dal luogo in cui affondano le mie radici che voglio dare inizio a questo viaggio che ci porterà lontano.
Sono certo che ogni regione italiana abbia un piatto analogo, semplice, straordinariamente nutriente e bello da osservare per l’armonia dei colori che lo caratterizza. È un brodo di sedano, pomodorini, prezzemolo, aglio, cipolla, patate, uovo ed olive nere, alle volte persino cime di rape. Solo? Certo che no, questo miscuglio variopinto avvolge il pane raffermo che le sagge massaie del passato amavano conservare preservandolo dalle muffe. È la testimonianza di un tempo in cui era assente il cibo destinato al cassonetto.
Il “colpo di grazia” che completa l’opera spetta al meraviglioso olio d’oliva, il quale sigilla il piatto dal profumo indescrivibile.
Cosa contraddistingue la variante altamurana dalle altre? Il pane di Altamura, la verdura locale, l’oro dell’olio pugliese, il calore del cuore di chi preparava e continua a preparare la “cialledd”; un piatto caldo che riscaldava le sere e le mattine d’inverno (i contadini la gradivano anche a colazione per affrontare la dura giornata di lavoro), che ha anche la sua variante estiva che vi presenterò in uno dei prossimi appuntamenti.
La ricerca del bello, in cucina e nell’arte, mi ha condotto a proporre un’opera poco nota, ma di straordinario interesse. Ho scelto di affiancare a questa magnifica pietanza pugliese un dipinto di Vincent van Gogh, la “Natura morta con patate”, del 1888, un olio su tela (cm 39,5 x 47,5) esposto al Kröller-Müller Museum di Otterlo (Paesi Bassi).
In bella mostra, su uno sfondo avana chiaro e su un tavolo celeste, c’è un piatto non centrato che accoglie delle patate crude.
Il piatto è del colore che l’artista amava dipingere: il giallo della sua casa ad Arles (La casa gialla, 1888, Van Gogh Museum, Amsterdam), degli sfondi dei suoi ritratti, dei paesaggi, dei famosi girasoli. Un giallo onnipresente, tanto che alcuni scienziati hanno ipotizzato che la vista di van Gogh fosse offuscata da questo colore a causa del liquore d'assenzio e dalla digitale, un farmaco che assumeva per curare l'epilessia. L'assenzio dal colore verde, che diviene giallo se allungato con acqua, contiene un composto chimico, chiamato tujone, che in quantità eccessive è tossico per il sistema nervoso e provoca xantopsia, la visione gialla degli oggetti bianchi e violetta di quelli scuri.
Le patate, protagoniste del dipinto, erano e sono alla base di ogni tradizione culinaria, insieme al pane, un tubero che ci ricorda il legame terreno che ogni essere vivente ha e che spesso si dimentica di avere.
I tuberi del dipinto sono rossastri (una delle infinite varianti di patata), crudi, esposti in un piatto, sicuramente collocato in cucina, lì dove una contadina (o lo stesso artista) le avrebbe cotte. Lumeggiature bianche, ombre azzurre, figlie di pennellate orizzontali, circondano le forme ondulate delle patate.
Non c’è buio in questa tela, è estate, la luce irrompe nella scena probabilmente da una finestra, i frutti della terra sono stati raccolti da poco ad Arles, in Provenza (perché quell’anno l’artista visse in quella regione francese), c’è ancora il profumo del terreno che avvolge questo straordinario miracolo che madre terra ha partorito per sfamare i propri figli.
Chissà che fine avranno fatto queste patate rappresentate dall’artista olandese… a me piace immaginarle cotte, accanto al pane e al colore di tanti ortaggi, in un piatto umile e nutriente, simile alla mia “Cialledd”.
Il tributo alla “cialledd” del gruppo di musica popolare Uaragniaun