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Il buono e il bello. Dalla Puglia alla Francia colori e bontà gemelle, in apparenza

«Sudore della fronte, orgoglio del lavoro, poema di sacrificio, gloria dei campi, fragranza della terra, festa della vita, il più soave dono di Dio, il più santo premio alla fatica umana», così descrive il pane un’anonima e convincente poesia che ho letto su un sacchetto di carta che conteneva questo pregiato alimento.

Poiché ogni tradizione culinaria pone le proprie basi sul pane, in questo appuntamento parlerò di un bene culinario e, oserei dire, culturale della mia città natale: il pane di Altamura. Famoso in tutta Italia per la croccantezza della caratteristica crosta marrone, la sofficità della mollica alveolata giallo paglierino, l’alta digeribilità e l’ottima preservabilità, da ben 14 anni ha ottenuto dall’Unione Europea la Denominazione di origine protetta (Dop).

 

FOTO 1 pane di altamura dop

Pane di Altamura Dop: pane basso in primo piano, alto in secondo piano

 

Le origini di questo inimitabile pane sono da ricercare nel mondo greco-romano, infatti il poeta latino Orazio, nel Libro I, V delle sue “Satire”, nella primavera del 37 a.C., nel rivisitare il paesaggio della sua infanzia, nota l’esistenza del «pane migliore del mondo, tanto che il viaggiatore diligente se ne porta una provvista per il prosieguo del viaggio».

In passato contadini e pastori facevano grandi scorte di pane casereccio quando, a causa del lavoro nei campi o nei pascoli, avrebbero trascorso intere settimane lontani da casa, spesso in masserie sperdute sulle colline della Murgia. In un antico statuto della città di Altamura, datato 1527, numerosi paragrafi sono dedicati ai “doveri” dei fornai, nonché alle tasse che questi erano tenuti a versare alle autorità.

La ricetta originale è giunta a noi per via orale, tramandata, di generazione in generazione, da madre in figlia. Fino alla metà del secolo scorso, le donne impastavano il pane a casa, ma andavano ad infornarlo presso i forni a legna pubblici. Per evitare che si confondesse con le altre, ciascuna pagnotta veniva marchiata con le iniziali del proprietario, “il capofamiglia”, che erano riportate su un timbro di ferro. Era il fornaio stesso che provvedeva poi a distribuire le forme di pane, trasportate su una lunga asse lignea, alle rispettive massaie, alle quali annunciava la consegna chiamandole a gran voce dalla strada. Il suo compenso consisteva in un pezzo di pasta cruda (il cosiddetto “cecì”).

 

Intervista Informale

 

La pagnotta, dal caratteristico profumo, di peso non inferiore a 0,5 kg, presenta due forme tradizionali, la prima delle quali, denominata localmente “u sckuanete, pane accavallato”, è alta, accavallata, con baciatura ai fianchi; l’altra più bassa, localmente denominata “a cappidde de prevete, a cappello di prete”, non presenta baciatura.

Ma come si prepara il pane di Altamura? Si susseguono cinque fasi: impastatura, formatura, lievitazione, modellatura, cottura nel forno alimentato a legna o a gas. Oggi i fornai seguono tutti i passaggi del processo di lavorazione, attenendosi al tradiziomadre, anche detto “pasta acida”, un composto costituito dal metodo di panificazione, che richiede l’uso del lievito madre da acqua e farina, utilizzato solo dopo il raggiungimento del giusto grado di acidità.

Tale miscela facilita lo sviluppo di una specifica microflora, oltre che di lattobatteri, che rendono il prodotto finito altamente digeribile.

A questo ingrediente si aggiungono l’acqua, il sale marino e la semola rimacinata di grano duro.

I grani impiegati, delle varietà “appulo”, “arcangelo”, “duilio”, “simeto”, devono essere coltivati in territori compresi nell’area murgiana. Dopo aver mescolato gli ingredienti, lavorando bene l’impasto per una ventina di minuti, si procede a dividerlo in pezzi più piccoli, lasciandolo lievitare per un’ora e mezza. Si continua con la modellatura manuale della massa, lasciata poi riposare per 30 minuti, trascorsi i quali l’operazione viene ripetuta.

Dopo ulteriori 15 minuti di riposo, non prima di essere state capovolte e schiacciate su uno dei lati con una leggera pressione della mano, le pagnotte vengono infornate in un forno a legna, alla temperatura di 250 °C. Nel corso della prima fase di cottura, di circa 15 minuti, la porta del forno viene lasciata aperta.

La cottura prosegue per altri 45 minuti. Il forno viene aperto 5 minuti prima che il pane sia completamente cotto, per permettere la formazione di una crosta croccante, che deve essere spessa almeno 3 mm.

 

FOTO 2 pane alto

Versione alta del pane di Altamura Dop (“u sckuanete, pane accavallato”)

 

La foto che propongo all’apertura di questo articolo rappresenta uno di quei momenti che intendo fermare e consegnare alla storia. Si tratta di uno di quegli antipasti improvvisati della domenica a pranzo, quello che i ristoranti definirebbero all’italiana, ma che io ho preferito chiamare all’altamurana.

Nel piatto regna sovrana una fettina di pane di Altamura, cuoriforme, delicatamente irrorata dall’oro degli ulivi, dal sale e da una pioggia di profumatissimo origano. Immancabili compagni del pane, formaggi, salumi e olive, tutto made in Puglia, giunti a Milano dopo circa 1000 km di viaggio. L’armonia dei colori e della bontà si trasformano in soddisfazione e, in una fredda domenica milanese, mi gusto questa meraviglia estemporanea.

L’opera d’arte da accostare al mio scatto alimentare è spuntata all’improvviso qualche mese fa. Mentre cercavo sul web delle nature morte, mi appare una grande forma di pane, ornata nella parte alta da un ramo d’arancio in boccio. Caspita, è il pane di Altamura, penso. Approfondendo la ricerca, scopro che si tratta di un olio su tela del pittore francese Jean Siméon Chardin (1699 - 1779) chiamato La brioche, datato 1763 e conservato a Parigi, al Musée du Louvre.

 

Jean Simeon Chardin 1699 1779 La brioche 1763 olio su tela 47 x 56 cm Parigi Musee du Louvre

Jean Siméon Chardin, (1699 - 1779), La brioche, 1763, olio su tela, 47 x 56 cm, Parigi, Musée du Louvre

 

La forma del pane rappresentato è quasi gemella alla versione alta del pane altamurano (“u sckuanete, pane accavallato”), almeno in apparenza. La brioche è infatti una sorta di grande babà, un dolce con una cupola centrale che, talvolta, si solleva su un lato a causa della lievitazione. Silenziosamente posta al centro di questa armoniosa composizione, la brioche è affiancata sulla destra da una bottiglietta in vetro con rifiniture in oro contenente, con ogni probabilità, uno sciroppo con il quale inumidire il maestoso dolce.

Questa graziosa merenda francese, imbandita su una tavola di duecentocinquanta anni fa, è sicuramente un elogio alla generosità e alla spensieratezza dei pomeriggi primaverili: pesche e ciliegie, seppur in esiguo numero, affiancano i delicati biscotti e una raffinata zuccheriera in porcellana, anche se la regina dell’opera resta la grande brioche, parente alla lontana del nostro superbo pane di Altamura.

Gli autori di Vorrei
Gianni Miglionico
Gianni Miglionico

Instancabile investigatore del buono e del bello, vive di arte ed insegna italiano e storia.
Si occupa di cultura e grafica "non affidata al caso".
Ha ideato "Interviste Informali", con cui cerca di risolvere i dubbi esistenziali grazie alle risposte di intervistati "informali".

Nato ad Altamura, vive e lavora a Milano.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.