Ancor prima di trapiantare il corpo a Monza già conoscevo tutte le vie del centro, avendole studiate a lungo nella mappa di un vecchio libro illustrato degli anni ’50, gelosamente custodito nella valigetta in fibra di cartone, senza spago, bagaglio emigratorio. Arrivai in via Volta 26 il 20 giugno 1968: ciò che erano linee e curve su un foglio bidimensionale si trasformarono in reticolo di gabbia urbana.
Gli spazi aperti della campagna calabrese, luogo dell’espianto, fecero posto agli isolati invalicabili di via Tommaso Grossi: una geometria occlusiva di case a ringhiera, piccole officine meccaniche, la grande tessitura jaguard dell’opificio Pastori & Casanova, dove lavorava mio padre a poche decine di metri da casa; negozi di prestinai, intarsiati a carrozzerie, contenevano energia e manodopera della macchina urbana. Il ritmo quotidiano era scandito da sirene e fumi di ciminiere in mattoni.
Mi sentivo catapultato nel passato remoto del film Metropolis di Fritz Lang. Tutto il contesto mi appariva arretrato: le sciure che mi chiamavano nani, il gioco del pallone sull’asfalto di via Caronni, traversa di vicolo Borghetto, la distanza siderale dei primi campi con le cascine di Cazzaniga, dove oggi esiste il mega Ospedale San Gerardo e la ex Lottizzazione PIME.
Ché, si poteva passare il tempo a passeggiare nei Boschetti?
Cambiare la mappa comunale e, via con la bici verso le aree vaste della Martesana, del Trezzese, della Valle Lambro.
Immagini:
Valigia originale in fibra di cartone, Conca D'Oro1968;
Monza - Boschetti, estate 1968.