Una festa natalizia aziendale, “allietata” dalla filosofia di un Babbo Natale dall’accento inconfondibile.

 

Voi lo avete mai visto Babbo Natale? Io, come chiunque non beva o assuma sostanze allucinogene, no. Ma invece ne ho visto una rappresentazione alla meridionale, con questi occhi. Nell’immaginario collettivo Babbo Natale è un omone, con la folta barba bianca, gli occhialini sul naso e la panza. Nella sua versione sudista, adocchiata in una festa aziendale natalizia del profondo Nord meneghino, è basso, senza occhiali, tiene poca panza, per niente barba e inforca un cappello di renna al posto del classico copricapo a imbuto rosso e bianco.

Fin qui, potrebbe pure andare. Che sarà mai una imitazione dal fisique du role naif della laica impersonificazione nordica del Natale? Basta che porti tanta gioia a grandi e soprattutto piccini. In particolare se la festa aziendale è aperta anche a mogli e figli e a questi ultimi il babbo natale (meglio usare il minuscolo, data la taglia del soggetto) nato sotto il Garigliano deve consegnare i regali. Infatti, la penso pure io così.

Ma chissà se saranno d’accordo genitori e bambini nordici su quello che al babbo natale è uscito di bocca. Pura filosofia di vita da Sud profondo che ne ha viste di cotte e di crude, dunque pura Italia nella sua accezione più concreta e disincantata. Metafore e concetti che la poesia fiabesca del Natale la disintegrano con la sola apertura della bocca, allo stesso tempo rivendicandone a piene mani l’importanza.

Ad una certa ora, con i bambini ormai satolli ed i genitori aventi in corpo un tasso alcolico incompatibile con la cura parentale, lo speaker alla consolle annuncia l’arrivo di babbo natale con i regali per i piccini. Si forma un capannello di soggetti alti sotto il metro circondato da adulti che inforcano videocamere, fotocamere, telefoni di ultima generazione. Il toccante momento va immortalato.

Ed ecco che entra in sala un tappetto, con il vestito di ordinanza e il tupé di renna sulla pelata. Spiega subito, a scanso di equivoci e per rassicurare i presenti: «Mi dovete scusare ma la renna l’ho dovuta ammazzare. Non vi dico il sangue che è colato. Così ho deciso di mettermela in testa… con questo freddo!». Gelo in sala.

«Mi hanno pure detto che devo fare l’accento del… Polo Nord… altrimenti che Babbo Natale è?». I genitori sono ormai stoccafissi, i bambini pensano ancora alla renna squartata e grondante.

«Allora, quest’anno Babbo Natale arriva prima, perché con questa crisi meglio mettersi subito al sicuro che dopo non si sa». Epicuro gli fa un baffo e il carpe diem di Orazio pure. Sorrisino amaro dei genitori, i bimbi fermi alla renna morta.

«Ecco qui il regalo per Cristina Costamagna….  vieni qui Cristina… allora ce la vuoi dire una frase bella sul Natale?». Bocca cucita della piccola (“povera rennuccia”) nonostante il microfono sotto il naso. «E va bene, ecco il regalo, che siamo tutti più buoni a Natale».

«Venga qui Niccolò Chiaretti. Niccolò, tu una rima baciata sul Natale ce la fai?». Figurarsi se il semi-poppante sa cosa è la rima baciata: faccia attonita e spaurita. «Allora? Questa rima arriva?». Niente, il bimbo non capisce nulla, forse l’omicida della renna lo inibisce.

Il nostro babbo natale consegna il regalo e liquida il piccolo. Ma non si arrende e, con testa dura sudista, rilancia risoluto: «E ora tocca a Chiara Dalessandro. Chiara, o tu ci reciti un sonetto o il regalo non te lo do». Per tutta risposta, la nordica Chiara, che non sa né leggere né scrivere ma il senso per affari e truffe ce l’ha nel sangue, afferra il regalo e scappa via, memore della fine tragica della renna: «Hai capito a Chiara? A chi è figlia? A quei signori lì? Ah mo’ ho capito tutto… e ora venga qui Andrea… alla faccia del bambino, questo è più alto di me. Andrea, quanti anni hai?».

«Dodici».

«Lo sai che c’è la crisi?».

«».

«E allora, per allietare la festa, almeno tu una frase simpatica, una rima, un qualcosa ce la vuoi dire? Dai, anche solo una parolaccia, fai tu».

«La Cunegatti [la ditta che organizza la festa] è un’azienda bellissima».

«Ecco, Andrea abbiamo capito dove lavorerà da grande. Vai via, va’».

Un ruspante babbo natale disincantato che però elemosinava bricioli di poesia: ci sarebbe voluto Troisi per renderlo immortale. A immortalarsi nelle menti dei presenti, indelebilmente, ci ha però pensato direttamente lui. A consegna doni terminata, babbo natale fa il giro dei genitori (i quali avevano appena esalato un sospiro di sollievo per la tortura che credevano finita) e dà loro in regalo carte napoletane e portachiavi a forma di cornetto anti malocchio: «Che mi sa che, se continua così, di tempo libero per giocare ne avremo parecchio l’anno prossimo. E ci vorrà pure culo. Buon Natale».

Gli autori di Vorrei
Ivan Commisso
Ivan Commisso

Vado per i quaranta, mi occupo di soluzioni pubblicitarie online in una grande concessionaria. La mia formazione universitaria è economica. Sono giornalista pubblicista e su Vorrei scrivo per lo più di economia perchè da lì verranno (ulteriori) problemi e su quel tema si dicono un sacco di fesserie. Nota Bene: mi piacciono le metafore, i dolci e la Calabria.

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