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Dignità e Coraggio sono marito e moglie, vivono in Calabria, Basilicata, Molise, Puglia o giù di lì. Per cercare una sanità umana devono salire su un treno e percorrere mille chilometri 

 

Disegni di Josè Muñoz

 

Dignità e Coraggio sono marito e moglie, vivono in Calabria, Basilicata, Molise, Puglia o giù di lì.

Un giorno Coraggio iniziò a tossire e a battersi il petto; Dignità, preoccupata per questo, prese Coraggio e lo portò nel più vicino ospedale, il Santo Nulla. L'infermiera di turno allo sportello Accettazione Pazienti sproloquiava qualcosa in dialetto mentre era spesso costretta a lasciare il suo posto per portare, nella mano senza guanti, siringhe, lacci emostatici, flebo, garze da una stanza all'altra nel Reparto Degenti, vuoto di personale e pieno di famiglie in parcheggio.

Dignità non comprese quel dialetto e rimase in piedi attendendo il suo ritorno. Passò un'ora prima che potesse ritirare la ricetta medica per la Tac di Coraggio. Dopo un'ora ancora, senza che Dignità cambiasse metro quadro sul pavimento in quella sala d'attesa soleggiata e piena di voci stanche, ritornò l'infermiera con la notizia che prima di 5 mesi, la Tac non si sarebbe potuta fare. Intanto Coraggio era seduto più in là chiacchierando a fatica con il Signor Senzatasca, in attesa da circa 32 mesi, ormai consumato nel viso e nel corpo. “Io sono Senzatasca e non posso, ma voi che potete andate a Milano! Qui non c'è posto per voi, Dignità e Coraggio! Non perdete tempo!”. Dignità, guardò in silenzio lo sprovveduto Coraggio e aiutandolo ad alzarsi dalla sedia sbucciata lo portò via dall'Ospedale Santo Nulla.

L'Espresso notte porta a Milano lavoratori e universitari che spezzano la noia vagando tra corridoi e scompartimenti passandosi di mano in mano thermos di caffè. I colpi di tosse di Coraggio sono sempre più tuonanti e secchi e Dignità ha acquistato il biglietto del vagone letto, lui non può stancarsi.

Dignità, carica di bagagli e cartelle piene di documenti aveva già studiato il percorso e i mezzi pubblici prima di conquistare il centro di Piazza Venezian davanti all'Istituto Nazionale Tumori; Coraggio, leggendo l'insegna capisce finalmente perché è lì e guarda la moglie con grande affetto.

Gli ambienti sono enormi, puliti, confortevoli e tutti introdotti da molte indicazioni, la popolazione è altissima ma le file vengono subito smaltite; dietro agli sportelli segretarie che velocemente archiviano le impegnative e spediscono ai piani. Non è necessario studiare la planimetria dell'Istituto e indovinarne gli ascensori, c'è sempre qualcuno che ti dice dove andare, senza errore, senza confusione. La schiena di Dignità, seppur stanca, si rilassa; i suoi passi diventano morbidi e siede nelle sale d'attesa affollate ma silenziose. Coraggio passa da uno screening all'altro senza mai esser lasciato solo e in attesa; non è consentito come negli ospedali del Sud l'assistenza parentale. Qui il personale fa tutto ciò che serve, restituendo coraggio e dignità in momenti di grande confusione. Quella quiete che comincia a sperimentare Dignità le avrebbe consentito di affrontare tutti i verdetti spiacevoli che sarebbero arrivati di lì a poco. Il funzionamento dell'intero meccanismo ospedaliero non produce solo un mero appagamento civico, questo meccanismo restituisce una giustizia umana a questi esseri la cui vita sta per essere tagliata a pezzetti per sempre.

 

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Lo shock che presto avrebbero vissuto Dignità e Coraggio nel colloquio con il medico per la terapia del dolore che il reparto aveva prontamente allertato e reso disponibile per incontrarla, era già più ammorbidito dall'ascolto, pazienza e responsabilità di questo sistema. I medici che si alternavano nei reparti, molti e indaffarati, facevano in modo di refertare gli esami in giornata affinché i pazienti potessero riprendere i loro treni e aerei verso Sud con la documentazione al completo. Anche in questo, per quanto complicato, a Dignità veniva restituito tutto il necessario prima di rientrare. Coraggio era sempre più ammaccato e stordito dai lunghi viaggi ma rincontrare a breve quell'assistenza puntuale e sicura lo metteva anche di buon umore, o forse non gli dava il tempo di pensare troppo a sé come invece succedeva nelle file incasinate ed interminabili di certi meridioni impantanati da favoritismi e salto dell'asta nelle liste di attesa. E loro, come molti altri, come il signor Senzatasca, non avevano amici in ospedale ai quali chiedere grazie e favori, cioè avere una Tac o un referto giusto in tempo per scampare la morte. Ed è per questo che i flussi verso Nord si riempiono di questa popolazione che vuole solo aver salva la vita.

Ogni volta che Dignità e Coraggio ritornano all'Istituto Nazionale, a Milano, per i cicli di chemioterapia o per i controlli da calendario prendono un alloggio presso la Parrocchia del Redentore in zona Loreto, grazie al consiglio della signorina Forza, una piccola donna giunta anch'essa dal Sud e che era ormai solita del posto. Dignità teme che i soldi non le bastino come il coraggio di vivere in solitudine quest'esperienza e queste notti. Invece al Redentore, aldilà di ogni timore, trova molta semplicità e compagnia. La piccola stanza comune e la cucina da utilizzare insieme agli altri compagni di viaggio dei tanti degenti regala a lei momenti di comunità e distrazione per soli 5 euro a notte. Spesso, con gli altri sodali fanno insieme il tragitto da e per l'ospedale e, nelle belle giornate, allungano la passeggiata fino a Corso Buenos Aires e la ossigenante tranquillità di questi rari momenti all'aperto restituisce a Dignità anche quell'antica voglia e desiderio di make up, borse, foulard... dimenticata.

Le cene nell'alloggio, insieme ai meridionali di ogni spiaggia, monte e latitudine, lì convenuti come per partecipare ad una grande e silenziosa convention della Speranza, sono per Dignità momenti di grande aiuto. Il signor Affetto, la signora Calma, il signor Ascolto e tutti gli altri si raccontano le mollezze e gli intoppi dei rispettivi ospedali o istituti medici delle loro zone d'origine, i clamorosi errori, gli sparuti e disperati medici impegnati completamente avvolti dal magma sbagliato di un sistema sbagliato.

Nei loro occhi degni, solo la voglia di vivere, di superare, di risposte migliori.

 

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Dignità, Coraggio, la signorina Forza e tutti gli altri meridionali continuano i su e giù ogni giorno negli anni. A volte guariscono dalle loro malattie e a volte muoiono, ma non importa a noi, qui adesso. I riferimenti a fatti e persone sono puramente voluti e reali, i migranti di questa storia, questa volta non sono un individuo, ma una collettività, una nutrita pluralità che riempie le strade, gli alloggi, gli ospedali di Milano e di molti nord nell'anonimato del loro nome ma nella urlata e personalissima umanità.

Le politiche sanitarie regionali, a ragione o meno, si astraggono da questi flussi di malattie, di intrecci, di legami, di incontri, di bisogni che non si fermano ai limiti regionali o di distretti sanitari. Il diritto alla salute è come l'Amore, come il Coraggio, la Speranza, la Dignità, la Forza, non puoi trovarle solo nella tua città, intraprenderesti qualsiasi viaggio pur di toccare quell'orizzonte, ecco perché non importa che un singolo guarisca dal cancro, o ne muoia. È una consapevolezza che dovrebbe riguardare ogni essere umano su questa terra e rendercelo fratello, compagno, simile.

E se davanti a te, nella fila in ospedale, caro milanese, dovessi imbatterti in uno sbattuto meridionale proveniente da un nulla sperduto, rifletti, non è un signor straniero, potrebbe essere, nel suo nulla, un signor Coraggio.