All'Osteria del Dosso nel Parco di Monza il 16 marzo si narra della cultura millenaria del vino in Brianza. L'Associazione Amici della Storia della Brianza, il CATA e la Proloco di Villasanta presentano una conferenza sul tema del vino a Villasanta. La relazione sarà tenuta da Guido Battistini
Si era cominciato a parlare di vino in Brianza già nel primo anno dell'istituzione della Provincia di Monza e della Brianza. Era il 2009. L'amministrazione, presieduta da Dario Allevi, si era interessata alla possibilità di studiare politiche per lo sviluppo dell'agricoltura. Si erano così avviate alcune ricerche. Una era stata quella sul vino, condotta dalla Scuola di Agraria del Parco di Monza, insieme ad altre associazioni e ricercatori brianzoli. Ne era nato un libro, Il vino a Monza e in Brianza fra storia e geografia. Qui si può consultare il volume.
La vocazione vitivinicola della Brianza durò fino al 1850, anno dell'arrivo in Italia della filossera, un insetto che distrusse quasi tutte le viti
Il libro conferma la possibilità di produzione vinicola nella antropizzata ed industriale Brianza. Nelle ricerche è emersa una inaspettata potenzialità, basata su una cultura storica durata millenni e di cui sono ancora conservate alcune tracce. Prima della rivoluzione industriale, in Brianza si faceva del buon vino rosso. Così buono e famoso da interessare, come narrano le cronache dell'epoca, perfino Napoleone Bonaparte. La vocazione vitivinicola della Brianza durò fino al 1850, anno dell'arrivo in Italia della filossera, un insetto che distrusse quasi tutte le viti.
Una delle ricerche, condotta da Giorgio Federico Brambilla, Elisa Sironi e Valeria Magni, ha accertato che la viticoltura fu introdotta a partire dal 600 avanti Cristo dagli Etruschi. Essi diffusero un sistema di allevamento della vite a tralcio lungo (rumpus). La vite era fatta correre su lunghi festoni, alti sul terreno, appoggiati a pioppi, aceri, olmi. Era un sistema totalmente differente da quello ad albero basso o a palo secco praticato dai greci. Il sistema etrusco aveva il vantaggio di affiancare alla coltivazione della vite una coltura promiscua: spesso nello stesso campo, insieme alla vite, erano coltivati i cereali.
Quando agli Etruschi subentrarono i Celti, il sistema divenne caratteristico nei territori della Pianura Padana, insieme alle colture di grano, panico, miglio e ghiande. La piantata padana, costituita da filari di alberi vitati, in cui la vite ha come sostegno vivo" un'altra pianta dal fusto più robusto, ha una tradizione millenaria ed era già conosciuta dai Romani. Questi, vedendola diffusa nella Gallia Cisalpina, cioè in Valpadana, la denominarono arbustum gallicum: piantata all'uso gallico. La vite quindi veniva allevata alta, "maritata sovente al pioppo, all'acero o all'olmo, e si disponeva in lunghi festoni ai lati dei campi coltivati a cereali. Oppure era coltivata su "palo secco" ed allo scopo nell'Ottocento sembra fosse usuale l'uso di pali di castagno.
Vite maritata in Campania - di Mauro Agnoletti
In Brianza, così come in buona parte della Lombardia, prima della conquista romana, non tutte le terre erano sfruttate dall'agricoltura, ma solo quelle più prossime agli insediamenti umani. Tanto che la maggior parte del territorio era incolto, boschivo o paludoso. Nell'Alta Pianura Asciutta l'agricoltura praticata era assai povera. Date le basse rese e la morfologia del terreno le culture erano di sussistenza. L'alimentazione contadina, fino all'introduzione del mais a seguito della scoperta dell'America, si basava essenzialmente sui cereali cosiddetti minori, ossia miglio, sorgo, segale e orzo e sugli ortaggi. In genere erano coltivati nell'orto vicino alla casa a corte per il solo consumo familiare.
Fino all'800 la coltivazione di alberi da frutto si accompagnava a quella della vite, secondo l'antica tradizione etrusca degli alberi vitati
Fino all'800 la coltivazione di alberi da frutto si accompagnava a quella della vite, secondo l'antica tradizione etrusca degli alberi vitati. La vite ricadeva a festoni tra un albero e l'altro, diversamente dalla tradizione greca, che coltivava la vite bassa, a terra, per proteggerla dai forti venti. La piantata vitata rappresentava un'immagine assai consueta del paesaggio agrario e integrava una alimentazione contadina altrimenti assai povera. Da una statistica si apprende che nel 1545 la vite costituiva il 92,7 % del totale degli alberi da frutto.
I registri catastali illustrano chiaramente come alla metà del Cinquecento la diffusione della coltura della vite fosse importante per il territorio dell'antica pieve di Vimercate: era costituito da 178.600 pertiche milanesi delle quali ben il 50,1 % era adibito ad aratorio vitato e il 4,2% a vigna. L'aumento della coltivazione della vite, unitamente a quella di altre coltivazioni, testimonia la ripresa dell'economia avvenuta tra il XVIII e il XIX secolo, quando la quota aggiuntiva di produzione venne incentivata da una richiesta di mercato non più solo legata all'autoconsumo.
La vite era ancora un'attività molto redditizia per la Brianza, quando nel 1875 si diffuse la fillossera che distrusse la gran parte dei vigneti
La vite era ancora un'attività molto redditizia per la Brianza, quando nel 1879 si diffuse la fillossera che distrusse la gran parte dei vigneti. La prima segnalazione fu a Valmadrera in provincia di Lecco. In quel periodo tutto il nord Italia, ma non solo, fu colpito dall'invasione della fillossera, con una conseguente drastica diminuzione della coltivazione della vite che causò ingenti danni ai coltivatori. In Brianza solo una piccola parte dei vigneti devastati dalla fillossera furono poi ricostituiti con viti americane, più resistenti al parassita. Ma mentre in altre regioni la vite europea sopravvisse all’innesto su vite americana, in Brianza si preferì sviluppare la coltivazione del gelso per l’allevamento del baco da seta.
Le macchine agricole di fine '800, introdotte dalla famiglia Cereda della Cascina Papina di Arcore
L'introduzione della meccanizzazione agricola nella prima metà del Novecento portò una radicale trasformazione nell'agricoltura, modificando regole di produzione che si tramandavano da generazioni. Rapidamente la meccanizzazione alterò le forme del paesaggio rurale e mutò un ordine sociale che era valso per secoli: i terreni che un tempo erano coltivati da intere famiglie potevano essere lavorati da pochi contadini con l'aiuto delle nuove macchine per l'aratura, la semina e la trebbiatura.
Il paesaggio agricolo, una volta punteggiato dalle diverse colture, si uniformò sempre più a favore della monocoltura, nel tentativo di rendere la produzione locale più competitiva sul mercato
Il paesaggio agricolo, una volta punteggiato dalle diverse colture, si uniformò sempre più a favore della monocoltura, nel tentativo di rendere la produzione locale più competitiva sul mercato. Iniziava così un lento ma inesorabile processo di sparizione dei gelsi e dei filari lungo campi e stradine, considerati ormai privi di interesse economico e di intralcio all'agevole passaggio dei mezzi meccanici. Scomparse ormai del tutto la viticoltura e la gelsibachicoltura, i tipi di colture maggiormente praticate diventarono presto quelle cerealicole.
Nel volume Il vino a Monza e in Brianza fra storia e geografia vengono citati i dati ricavati dal Catasto Teresiano, della prima metà del '700 e dal Catasto Lombardo Veneto del 1866. Sono pubblicati anche in modo meticoloso i dati delle produzioni vinicole per ogni singolo comune. Dal Vimercatese alla Brianza Centrale. Si scopre ad esempio una consistente produzione di vino a Biassono. E persino nella Brianza ovest: nella Pieve di Desio e a Bovisio Masciago; a Briosco ,a Carate e Agliate. Qui la documentazione del Museo di Biassono
Guido Battistini, per due mandati assessore all'urbanistica di Villasanta, è l'autore di una ricerca specifica della storia del vino a Villasanta. Qui si può consultare la sua ricerca, inserita nel sito da lui creato sulla storia di Villasanta.
L'evento presentato all'Osteria del Dosso