Dossier: Vecchie povertà, nuovi mestieri. I frati di Santa Maria delle Grazie a Monza e l'impegno per il sostegno delle persone in difficoltà , i poveri, i senza tetto, i senza lavoro. “Più che portare alla luce il problema, discutere, argomentare, porre vincoli burocratici, qui bisogna rimboccarsi le maniche”
La
povertà che aumenta anche a Monza e in Brianza si esprime in cifre, in percentuali, in rapporti, ma soprattutto è un insieme variegato di tante storie umane. Ci sono famiglie che appartenevano al ceto medio, spesso monoreddito, che in breve tempo si sono ritrovate a non poter più pagare rate di mutui, affitti, bollette. Se a questo si aggiunge la perdita di lavoro, la loro situazione diventa davvero drammatica. Ci sono stranieri residenti in Italia da anni, che avevano ricongiunto qui i loro cari o che inviavano in patria denaro ogni mese e che ora sono costretti a chiedere aiuto per mangiare e vestirsi. Sono i numeri e le storie di una nuova povertà , di cui preoccupa la crescita costante, ma anche la situazione di disagio e di solitudine in cui stanno sprofondando tante, troppe persone.Incontro Frate Sergio, confratello presso il Santuario di Santa Maria delle Grazie di Monza, responsabile da circa un anno, con il signor Giuseppe, un laico, del centro di aiuto della chiesa.
Ho pronte una serie di domande, ma riesco a fatica a fermare il fiume di parole del frate, che giornalmente è a contatto con realtà di uomini e donne che vivono situazioni di disagio sociale, di cui troppo poco si sa e si parla. Me lo dice e ripete più volte, con un tono di rassegnata amarezza: “Noi siamo solo una goccia e non possiamo salvare tutto il mondo; facciamo quello che riusciamo, con le poche risorse a nostra disposizione, ma ciò non basta!”.
Da quanto tempo questa chiesa si occupa dei poveri?
Da sempre le Chiese francescane hanno come loro missione quella di aiutare le persone in difficoltà, i poveri, i senza tetto, i senza lavoro. Fa parte della Regola del nostro Ordine l’avvicinarsi al bisognoso, non solo dal punto di vista spirituale. Ogni convento si adopera negli aiuti, in proporzione alle sue capacità e spesso la gente ci conosce ed entra in contatto con noi, proprio per questa nostra dedizione verso gli emarginati. Quella degli interventi di aiuto e primo soccorso è una realtà che è andata negli anni consolidandosi, organizzandosi, ma anche modificandosi. Già a partire dal periodo della Seconda Guerra Mondiale, ad esempio, in una Milano sotto i bombardamenti, i frati francescani distribuivano pasti caldi. Quella però era una situazione contingente al conflitto: si aiutavano soprattutto anziani, donne e bambini rimasti senza capofamiglia, perché impegnato sul fronte o deceduto. Oggi la realtà è ben diversa: non siamo in guerra, ma se si considera che nella sola zona compresa fra Monza e Milano sono più di 5000 i pasti garantiti ogni giorno, di cui 1000 solo nel capoluogo di regione, sempre di emergenza si parla.
Non siamo in guerra, ma se si considera che nella sola zona compresa fra Monza e Milano sono più di 5000 i pasti garantiti ogni giorno
Quante sono le persone impegnate in questo servizio?
Sono una trentina , soprattutto laici. Si adoperano mettendo a disposizione il loro tempo per allestire la mensa, cucinare e servire i pasti, pulire, preparare i pacchi alimentari, selezionare indumenti da distribuire.
Quante persone vengono aiutate ed in che modo accedono al vostro servizio?
Il nostro convento riesce a garantire solo una media di 35/40 pasti caldi al giorno; nei giorni festivi questo servizio è sospeso. Il vicino centro Caritas di Largo Esterle distribuisce buoni settimanali alle persone in difficoltà, dopo aver verificato la loro residenza e l’effettivo stato di bisogno. Questi buoni danno diritto ad accedere al nostro locale mensa. Si tratta in effetti di un filtro che potrebbe sembrare in contrasto con lo spirito di carità, ma è indispensabile però, perché purtroppo non siamo in grado di soddisfare le tante e sempre crescenti domande di aiuto. In ogni caso, anche chi si presenta senza buono viene ospitato se ci sono posti liberi e comunque nessuno viene mandato via a mani vuote. C’è chi poi, per varie ragioni, preferisce non sostare nella nostra mensa. In quel caso distribuiamo pasti al sacco, con quanto siamo riusciti a reperire.
Esistono altre realtà come la vostra in questa zona di Monza?
Contemporaneamente a noi, il convento delle Suore Misericordine e il Centro Diurno di via Raiberti, seguono all’incirca una trentina di persone. Purtroppo sempre poche rispetto alle emergenze e agli stati di difficoltà presenti sul nostro territorio.
Esiste un coordinamento con altri enti o strutture simili alla vostra?
Periodicamente ci ritroviamo con i responsabili della San Vincenzo e della Croce Rossa. Come frate penso però che quando questi tipi di interventi, talvolta urgenti, sono vincolati ad aspetti burocratici o a bei progetti difficili poi da concretizzare, i reali bisogni vengono poi disattesi. Da noi arriva gente in situazioni davvero disperate, che non ha bisogno d’altro se non di un pasto caldo e di vestiti. Si presentano persone con enormi problemi di sopravvivenza, di culture e orientamenti religiosi diversi. L’unica cosa di cui sono certo è che noi dobbiamo aiutare senza la pretesa di salvare il mondo intero, senza fare crociate, pretendere di educare o altro. Dobbiamo mettere a disposizione le nostre risorse e il nostro tempo, la nostra capacità di ascolto e solo se ci viene richiesta, nel tentativo di rendere più dignitosa la vita di queste persone e nulla più. È giusto che si sappia che ci sono anche uomini e donne che in inverno, pur di dormire una notte al pronto soccorso al caldo, sono disposte a bere un litro di aceto per venire soccorsi. Queste persone devono soddisfare quei bisogni materiali primari che il resto della società dà per scontati e acquisiti. È un’umanità che vive in parallelo, un mondo spesso a sé, con realtà rimbalzate fra un’ istituzione e l’altra, che per ottenere aiuti deve fare trafile burocratiche che mancano talvolta di buonsenso. Noi come convento facciamo quello che possiamo: ognuno nel suo piccolo, senza chiedere nulla in cambio, senza fermarci davanti ad una carta o un documento mancante.
Ci sono anche uomini e donne che in inverno, pur di dormire una notte al pronto soccorso al caldo, sono disposte a bere un litro di aceto per venire soccorsi.
Da dove provengono gli alimenti che vengono distribuiti? Qualche ente, organizzazione, istituzione finanzia la vostra attività?
Il 90 % di quanto distribuiamo arriva a noi grazie alle donazioni. Esiste ad esempio un’associazione, denominata City Cibo, che si occupa del recupero del cibo e dei pasti non consumati nelle mense scolastiche e aziendali della zona. Altri alimenti provengono da oratori e associazioni che organizzano feste popolari. Ci sono inoltre un paio di panifici di Monza e Concorezzo che, a fine giornata, ci consegnano il pane avanzato. Il convento si preoccupa comunque di garantire almeno 35/40 pasti, come ho già detto, provvedendo ad acquistare direttamente e con le proprie risorse economiche quanto dovesse servire in più.
Quali tipi di aiuti offrite?
L’attività principale e quella che occupa più tempo a livello organizzativo, logistico e di gestione riguarda la distribuzione dei pasti.
Purtroppo ci tengo a ribadire che noi non siamo che una goccia in un mare di vera e nuova emergenza. Da noi arrivano persone con esigenze e bisogni diversi e il disagio che si portano appresso crea giornalmente situazioni difficili da governare. Litigi, piccole gelosie, discussioni sono all’ordine del giorno e ogni tanto degenerano. Fortunatamente solo in casi rari, ci obbligano a richiedere l’intervento delle forze dell’ordine. Chi pensa che fare del volontariato in questo campo serva a sentirsi in pace con la propria coscienza sbaglia, come chi è convinto di ricevere una gratificazioni da queste persone. Troppo gravi sono le situazioni di disagio che portano questi nuovi poveri a rivolgersi a noi, per potersi attendere un grazie.
Oltre ai pasti in mensa, quali altri tipi di aiuto siete in grado di offrire?
Un’altra realtà è quella della distribuzione di pacchi alimentari e di vestiario. Ogni quindici giorni, di venerdì, avvengono consegne di pacchi di pasta, scatolame, latte, riso, donati in parte da privati, in parte da ditte alimentari e supermercati. In questo modo possiamo aiutare circa 150 famiglie residenti in Monza e solitamente segnalate da assistenti sociali o dalla Caritas. Dico solitamente, perché sono sempre di più le famiglie che si ritrovano in difficoltà e non hanno il coraggio di chiedere aiuto alle istituzioni. Se siamo in grado cerchiamo, per quanto possibile, di avvicinarci ai bisogni di chiunque si rivolga a noi.
La distribuzione di capi di abbigliamento riguarda invece 60 persone. Ad eccezione dell’intimo che viene acquistato direttamente dal convento e in qualche caso donato da ditte, i vestiti e le scarpe sono tutte di seconda mano. Vengono portate da noi dai privati o lasciate in appositi contenitori della Caritas presenti in tutto il territorio. Abbiamo alcuni volontari che si occupano della cernita dei capi, perché qualcuno ci consegna anche abiti che sono assolutamente impossibili da indossare, pensando che il povero sia abituato a vestire capi logori e stracciati. Gli indumenti rovinati vengono venduti come stracci e il ricavato serve a integrare il fondo destinato agli acquisti di alimenti e biancheria intima.
Lei prima ha parlato di segnalazione della Caritas: può fornire qualche dettaglio in più relativo a questo filtro necessario per poter beneficiare del vostro aiuto?
Per avere diritto agli aiuti bisogna essere residenti nella zona, non avere lavoro o avere un reddito così basso da non consentire una vita dignitosa. Questo dice la burocrazia, ma per noi è molto difficile rispettare sempre questo filtro. A volte, dal punto di vista umano, non possiamo negare il nostro aiuto a chi si presenta da noi anche senza tesserino o segnalazione. Solitamente sono i servizi sociali e la Caritas a fornirci elenchi. Noi ci limitiamo a domandare se le persone che si presentano siano residenti almeno in zona, ma a volte capita anche qualcuno che è solo qui di passaggio e si trova in grave difficoltà. Non possiamo salvare il mondo, ma non chiediamo mai documenti di identità.
Chi si rivolge a voi?
La maggioranza delle persone che chiede il nostro aiuto sono uomini, spesso con moglie e figli piccoli. Ci sono Italiani e molti stranieri. Gli Italiani hanno un’età media superiore a quella degli stranieri, che spesso qui in Italia hanno una famiglia con numerosi figli a carico. Si tratta soprattutto di nordafricani, residenti in Italia da molti anni e generalmente provenienti dal settore edilizio. Gli Italiani sono soprattutto uomini separati o disoccupati. Le donne, all’incirca dieci, sono sudamericane o dell’est europeo, generalmente badanti.
Coppie in cui entrambi hanno perso il lavoro, o uomini separati o divorziati, la cui attività lavorativa non consente loro di sopravvivere
Conoscete la vita di queste persone? Si confidano con voi?
Quando sono in mensa o quando vengono per ritirare gli indumenti o i pacchi alimentari a volte si confidano e ci spiegano le loro difficili situazioni. Qualcuno di loro, non potendo pagare l’affitto, ha ricevuto lo sfratto e vive, con il resto della famiglia e in alcuni casi con bambini piccoli, in camper di fortuna, in auto, in furgoni. Fra gli Italiani molte sono le coppie in cui entrambi hanno perso il lavoro, o uomini separati o divorziati, la cui attività lavorativa non consente loro di sopravvivere, dovendo pagare affitto, assegno di mantenimento all’ex-coniuge, spese fisse.
È cambiato qualcosa in questi ultimi anni?
Da un paio di anni, scambiando informazioni anche con i miei confratelli di altri conventi della zona, ci siamo resi conto di come la situazione sia in costante peggioramento. Fino a qualche anno fa il convento si occupava soprattutto di persone senza fissa dimora, i classici clochard. Spesso, per scelta di vita, queste persone preferivano la strada e non si mettevano neppure a cercare un posto di lavoro che garantisse loro un reddito. Abbiamo poi ancora chi da anni si presenta alla nostra mensa e ha comunque una casa, o pur essendo tornato a vivere con i genitori, gode di un minimo reddito. A queste realtà ormai storiche, si aggiungono giornalmente nuovi casi.
Con che spirito vivete voi frati queste emergenze, avete qualche proposta, suggerimento?
Personalmente penso che la povertà dilagante che vedo ogni giorno sia da affrontare con interventi seri, mirati, e che il tutto vada fatto con urgenza. Il tipo di aiuto che diamo noi e le altre strutture a noi simili servono a tamponare solo momentaneamente questa situazione. Qualche anno fa, ai clochard si sono aggiunti gli stranieri, e attualmente il numero di Italiani in difficoltà sta purtroppo aumentando. Non bastano riunioni né meeting per risolvere il problema che, ci tengo a sottolineare, non riguarda solo l’approvvigionamento di cibo e vestiti . Bisognerebbe, ad esempio, mettere a disposizione spazi pubblici non utilizzati, per provvedere ad un ricovero di queste persone, per offrire loro un alloggio. Più che portare alla luce il problema, discutere, argomentare, porre vincoli burocratici, qui bisogna rimboccarsi le maniche. Penso che ristrutturare spazi abitativi non deve essere visto solo come un costo. Far vivere persone ormai disperate in un luogo sicuro, che non sia la panchina di un parco, o un’auto, o un asilo notturno dove la convivenza forzata spesso porta a situazioni esasperate, è un dovere di tutta la comunità. Qui si tratta della dignità di uomini e donne e il solo fatto di garantirla e difenderla porterebbe un generale beneficio a tutta la società. Il fenomeno ormai esiste e non si può far finta di nulla ed ignorarlo.
Per informazioni:
www.fratiminori.it/attivita/attivita-caritative