Il conflitto tra opposti archetipi del maschile e del femminile nel racconto di un Sud che è ancora magia, mito e tragedia
E' accaduto agli autori che avevano un libro in uscita agli inizi della quarantena di dover rinunciare alle tradizionali presentazioni, ai festival e allo scambio diretto coi lettori. Eppure i libri che val la pena di leggere riescono a farsi strada lo stesso, anche se sono romanzi d'esordio: La Dragunera di Linda Barbarino è uno di questi. Annunciato da tante entusiastiche recensioni sui maggiori quotidiani, è stato atteso con impazienza da numerosi lettori ai quali è potuto arrivare grazie alle librerie che hanno organizzato le consegne a domicilio. Un'attesa premiata da pagine dense e perfettamente ritmate, che regalano l'immersione in un altrove che pure appare familiare, un mondo, quello siciliano, che non finisce mai di offrire motivi di attrazione e di interesse, ma che questo romanzo sa presentare in modo classico e nuovissimo allo stesso tempo.
Nuovo soprattutto è l'impasto linguistico, in cui il dialetto parlato prevale anche nei costrutti sulla lingua scritta, e col suo lessico antico e quasi inusitato, i suoni aspri e cupi, restituisce pensieri e sentimenti altrettanto antichi, e tutta la concretezza di un mondo e di una cultura. E', quel linguaggio, come la casuzza dell'infanzia di Rosa, la protagonista, una casa coi muri tutti gobbi e il raspare dei topi sui tetti, ma che a differenza di quella tutta pulita e ordinata dove da adulta Rosa esercita il mestiere, è il luogo forzatamente abbandonato, ma insostituibile, dove abita la parte più vera di lei.
Il romanzo ha una fortissima componente sensoriale, che ubriaca il lettore come il profumo aspro del mosto, e soprattutto visiva, costruito com'è su scene “in soggettiva” o su altre, centrali, che, è stato notato, sembrano attingere al repertorio cinematografico, mentre gli interni domestici sono i poveri palcoscenici di recite che si ripetono insistite sui motivi eterni degli affetti, della roba, del desiderio e del destino.
E', questo, un romanzo molto carnale, dove trova spazio sia la sensualità brutale degli uomini che si accaniscono sul corpo della giovane Rosa, buttana suo malgrado, sia la passione intensa e delicata di lei per Paolo o l'ossessione incontrollabile di lui per la sfacciata e provocante cognata, ma anche la vogliosità lubrica della moglie che Paolo mal sopporta. Una storia di forti contrasti, evocati anche dall'immagine di copertina, giocata sul tema del doppio che ispira lo scontro tra i caratteri opposti e speculari dei protagonisti.
Quel mondo è una Sicilia preda di un incantesimo maligno, di una magarìa rovinosa, personificata nella Dragunera del titolo, la donna ammaliante e pericolosa 'ntisa, conosciuta in paese, col nome della tempesta che rovina i raccolti. E' un mondo dove il fischio assordante del treno che appare per la prima volta allo sbocco di una nera galleria getta nel panico le donne, una terra dove il tempo è bloccato in un passato arcaico e quasi tutto accade come in una fissità onirica.
E' il cuore della Sicilia che pulsa e sanguina in ogni pagina di questo libro, in un equilibrio straordinario tra gli echi della sua più grande tradizione letteraria, dal mito alla tragedia fino al verismo e al Novecento di D'Arrigo e Bufalino, e un realismo che talvolta sembra attingere all'etnografia, ma che vive soprattutto di un'aria respirata giorno per giorno tra i muri gobbi e scrostati e le vanedde, le viuzze strette dove “si sentivano anche le virgole e i sospiri, le risate di chi scendeva, se aveva i tacchi o le scarpe grosse e i segreti della gente.”
E' il cuore della Sicilia che pulsa e sanguina in ogni pagina di questo libro
Perchè è da quel cuore che viene Linda Barbarino, anzi da quella che Greci e Romani chiamavano “ombelico della Sicilia”, la città di Enna che, mai nominata, ma ripercorsa pietra per pietra, strada per strada nei luoghi noti ai suoi abitanti, è il teatro in cui si dipana la vicenda dei protagonisti. Irrinunciabile il parlarne con l'Autrice:
Come mai hai scelto di rappresentare un mondo che appartiene ad un passato recente, ma appare come fuori dal tempo?
Quel che volevo era scavare nella mia infanzia, nei miei ricordi, ma anche nei ricordi dei miei genitori e di persone che loro hanno conosciuto, nei racconti che hanno ricevuto. E' questo che finisce per costruire una dimensione fuori dal tempo. E contemporaneamente quello della Dragunera è un mondo mitico, una società matriarcale, dove gli uomini temono il potere ancestrale delle donne al punto di paragonarle alla tempesta che devasta i raccolti. Affondare in quel passato è stato per me un modo di trovare un respiro più ampio. Mi è passato per la mente a volte di raccontare il mondo del mito attraverso le figure di Cerere e Proserpina, ma sarebbe stato un modo didascalico, noioso, mentre quell'insieme di ricordi e racconti orali mi permette una maggiore libertà.
In effetti nel tuo romanzo il mito parla attraverso la cultura e la sensibilità popolare, che in Sicilia ne sono intrise: come quando Rosa, la tua protagonista, passando accanto alla statua che al centro del paese raffigura il ratto di Proserpina, ci vede una premonizione del suo destino, quello di essere trascinata all'inferno dalla brutalità degli uomini.
E' così. Mi è successo, ad esempio, di aver voluto verificare, dopo aver fatto le mie ricerche sui libri, quanto fosse conosciuta la figura mitica della Dragunera: ne ho chiesto ad un pastore che abita qui vicino, e mi son sentita rispondere “ Ma lei intende la Dragunera come fimmina o come tempesta?” E mi descriveva l'aspetto di quel fenomeno atmosferico che rovinava i raccolti, e sembrava una donna coi capelli al vento, la gonna nera gonfia e svolazzante. Al contrario, molta gente acculturata non ne aveva mai sentito parlare.
In questo tuo riandare ad un passato popolare e mitico, non c'è però anche un rifiuto della contemporaneità?
Sì, sicuramente! Ho provato a raccontare del presente, ma non è nelle mie corde, la sento come una costrizione: è il passato che mi fa sentire più libera, mi permette di attivare la fantasia. Nella contemporaneità vedo un'omologazione, uno sfaldamento, una mancanza di senso: tutto plastificato, asettico, anche nei rapporti umani, nelle persone, nei loro atteggiamenti inautentici, d'imitazione; com'è del resto l'italiano corrente, così inespressivo, uniforme, impastato di consumismo!
In quel mondo io vedo una maggiore forza e autenticità, anche se so che questo accade attraverso il filtro della mia nostalgia, di quell' amore per il mondo contadino che mi è stato trasmesso da mio padre. Pur avendo tentato, come uno dei miei personaggi, di allontanarsi dalla fatica e dalla miseria della campagna accettando la proposta dei reclutatori che allora battevano le nostre campagne per arruolare “questurini”, quando tornava a casa mio padre non vedeva l'ora di vestirsi per la campagna, di tornare a quei riti della terra che amava.
raccontare del presente non è nelle mie corde: è il passato che mi fa sentire più libera, mi permette di attivare la fantasia
Insomma, è da questo tuo sentimento che viene lo stesso ritmo del tuo romanzo, giocato tra il presente e i ricordi, animato fin dall'incipit dallo struggente desiderio di Rosa di tornare alla casa della sua infanzia! Rosa dunque sei tu?
Beh, se c'è una figura in cui posso immedesimarmi non è certo la Dragunera, ma Rosa! Se non altro per una sensibilità che a volte mi ha messo in condizione di soffrire. Questo romanzo mi ha dato la possibilità, in un momento doloroso della mia vita, di ritrovarmi, di ritrovare senso e bellezza nel mondo che mio padre aveva amato. Certo, la mia infanzia si è svolta in un tempo molto diverso, ma quella casa che puzzava di piscio di gatto, col terrazzino da cui veniva una luce particolare, è una delle case frequentate nella mia infanzia; sono io quella bambina che cantava, senza accorgersi del ragazzino che la guardava di nascosto e la spaventava all'improvviso: in un romanzo entra inevitabilmente il tuo vissuto, anche quando ti allontani molto dall'autobiografia. Ci sono i luoghi che ho amato, le vecchie che ho incontrato, coi loro scaldini, il loro arriminari il ragù, il loro incomprensibile punirmi con dolorosi pizzicotti per un vestito troppo corto.
Dici che quello era un mondo di persone più autentiche, eppure le rappresenti come vittime di un controllo sociale spietato, di ruoli predeterminati.
Ma in un certo senso è proprio questo che ne fa delle persone vere, diverse una dall'altra, perchè cercano in se stesse, nei propri sentimenti, la forza per uscire da quei ruoli, da quel destino. Anche se ne escono sconfitti. In quel mondo dove i ruoli erano precisi, scolpiti, i sentimenti erano fortissimi. C'era la spinta a scoprire, a desiderare. In una società liquida come l'attuale, di che cosa potrei parlare? Una prostituta che mantiene la sua innocenza, perchè in quel ruolo è stata spinta non solo dalla solitudine e dalla miseria, ma dalla mentalità del paese, è immaginabile in quel contesto, non certo in una società consumistica dove c'è chi si prostituisce per comprarsi il cellulare.
in un romanzo entra inevitabilmente il tuo vissuto, anche quando ti allontani molto dall'autobiografia
Predeterminati apparivano soprattutto i ruoli fra i sessi: le donne erano sempre invitate a stare mute e fare la calzetta, a non occuparsi delle cose da uomini. Eppure l'irruzione della Dragunera nelle loro vite, quasi una Nemesi muta, li sconvolge e ne determina la rovina.
La Dragunera è un'apparizione che vive nello sguardo degli uomini, quasi una proiezione del terrore ancestrale di perdere il proprio potere, e in particolare la potenza sessuale: di fronte a lei Paolo non riesce a fare nient'altro che guardarla paralizzato, ossessionato. Ma tutte le donne del romanzo, se ci pensi, sono più forti degli uomini: donna Angelina è lei che comanda. Del resto anche gli uomini erano vittime del loro ruolo, si sentivano obbligati a dimostrare la propria virilità, come ricorda anche Dacia Maraini in una sua scena. Era inimmaginabile che un uomo di fronte ad una donna sola non volesse approfittarne: così il marito di una mia lontana parente che si era trovata come unica passeggera sull'autobus si era lanciato in una scena di disperazione all'idea di quel che l'autista non avrebbe potuto non farle. Tutto insomma era carico di dramma, in quel mondo.
tutte le donne del romanzo, se ci pensi, sono più forti degli uomini!
Colpisce nel tuo romanzo la forte componente teatrale: le scene domestiche, le liti fra marito e moglie o i dialoghi tra Paolo e Rosa sono piccoli pezzi di teatro, dove la gestualità dice più delle parole. Mentre alcune scene sono come girate in soggettiva, o come viste in sogno..
Anche questo fa parte della maggiore espressività che trovo in quel mondo, che aveva codici comunicativi precisi, non soggetti alle mode d'importazione. Le strade, le case, le chiese di Enna le ho riviste con gli occhi di Rosa, ero con lei mentre attraversava la città per tornare a rivedere la sua casa; sono i luoghi che rivedo nel loro lato più bello, come li amo: tutto il romanzo è un omaggio alla mia città che ora vedo con dolore “stracangiata”, trasformata negli anni, abusata.
C'è però qualche scena che ha un che di eccessivo, quasi macabro. Come mai?
Se ti riferisci alla scena della gente che mangia il porco ormai pieno di vermi, non c'è compiacimento: riporta un episodio vero, raccontato a testimonianza dell'incredibile miseria di un tempo; ma ne ricordo una simile in Horcynus Orca, il romanzo di Stefano D'Arrigo che meglio ha saputo proporre il dialetto siciliano nella letteratura.
A cosa sta lavorando Linda Barbarino dopo questo esordio?
Mi sono imbattuta in una storia che mi ha appassionato, una storia che si svolge nel clima arroventato del dopoguerra; ma per ora preferisco non anticipare altro...
Insomma, ti cimenti con la Storia?
Sì, ma vista attraverso le particolari vicende umane che preferisco raccontare nella loro concretezza, e che meglio di ogni ricostruzione restituiscono il senso di un periodo.
Grazie, Linda. E buon lavoro!