20190107 quaranta

Storie della quarta età. Un giorno una mia insegnante, una suora orsolina, mi propose di andare a trovare un’anziana signora, sfollata da Milano in un paesino a circa tre chilometri da Saronno; il mio compito: farle un po’ di compagnia, una volta alla settimana, di pomeriggio.

Frequentavo le Medie, negli anni ’40, e la guerra imperversava. Un giorno una mia insegnante, una suora orsolina, mi propose di andare a trovare un’anziana signora, sfollata da Milano in un paesino a circa tre chilometri da Saronno; il mio compito: farle un po’ di compagnia, una volta alla settimana, di pomeriggio.

Mi piaceva camminare ed ero curiosa: sapevo  che la signora apparteneva ad una  nobile famiglia decaduta che contava tra i suoi avi addirittura Napoleone Bonaparte, e questo bastava ad accendere il mio interesse .

Era un pomeriggio di primavera, quando mi accinsi per la prima volta a compiere la mia buona azione.

Giunsi presso una modesta casa sulla via principale del paese, suonai il campanello e mi venne incontro una donna senza età, malmessa, che scoprii essere la custode.

Forse preavvisata, mi introdusse in un ampio locale, piuttosto rustico, ma arredato con tanti mobili massicci; nella penombra scorsi, persa in imponente letto matrimoniale, una vecchietta esile, coi capelli grigi  raccolti dietro la nuca, ben pettinati.

 La nobildonna aveva un viso minuto, due occhi vivaci, e portava al collo una fascia di velluto: le mani scarne, con tante vene blu in superficie: segno del suo ceto, pensai !

Non sapevo come avviare il dialogo, ma mi venne in aiuto lei, chiedendomi della scuola: che classe frequentavo, quali erano le mie materie preferite, a quali attività  mi dedicavo nel tempo libero..

Non ricordo se mi fu offerto qualcosa da bere, ma la conversazione fu varia e brillante: la signora Matilde, così si chiamava la nobidonna,  recitava a memoria poesie, brani di romanzi , mi parlava in francese..

Mi incantava! E forse la divertivo.

Da quel giorno, puntualmente, mi recai da lei  ogni settimana: ne ricevevo insegnamenti che arricchivano le mie nozioni scolastiche, ridotte  dalle frequenti interruzioni della sirena d’allarme seguita dall’ordine l’ordine di avviarci ordinatamente al riparo in cantina.

Talvolta trovavo a farle visita la sua unica figlia, già anziana, professoressa  di lettere antiche, che mi sottoponeva a feroci interrogazioni sulle irregolarità della lingua latina e dei verbi francesi.

Non gradivo!  Non ero una studente modello e, sempre affamata com’ero, avevo vuoti di memoria imbarazzanti.

Dopo alcuni mesi, la suora mi avvertì che la signora non abitava più a Rovello, ma era ricoverata in ospedale a Saronno. Scomparvero  sia la figlia che la donna di servizio. Continuavo ad andare a trovarla anche in ospedale, dove disponeva di una cameretta singola; non mi pareva particolarmente sofferente e continuava a dispensarmi insegnamenti senza mettersi in cattedra.

Non solo: doveva aver capito che avevo sempre fame e mi teneva da parte qualcosa, generalmente delle carote,  che facevano spesso parte dei suoi scarsi pasti.  Non amo le carote, ma allora le divoravo!

Ad un certo punto mi venne comunicato che la signora non era più ricoverata. Non mi furono date spiegazioni; nella cameretta vicino alla sua avevo conosciuto   anche una signora giovane con un bambino di circa sei anni: pure loro sparirono .

Mi sorse, dopo anni, un dubbio: non erano pazienti, ma rifugiate che il nosocomio, forse,  proteggeva da possibili  perquisizioni nelle loro abitazioni.

Non seppi altro di lei, ma ero un’adolescente penalizzata dalla guerra e non ancora attenta agli altri come a me stessa.

Solo oggi, ricordando il suo cognome, ho trovato sul computer di quale nobile famiglia facesse parte: la signora Matilde aveva proprio tutti i quarti di nobiltà che mai lei nominava, ma mi ha fatto partecipe di una nobiltà d’animo più preziosa di stemmi e corone!

E ogni volta che agli scolari o ai nipoti mi capita di spiegare l’ode composta da Manzoni per la morte di Napoleone, sento la voce chiara della sua discendente  che declama : Ei fu. Siccome immobile

 

Foto tratta da corriere.it

Gli autori di Vorrei
Silvana Omati
Silvana Omati
Ho 85 anni. Faccio parte da decenni della libera università a distanza dell’autobiografia di Anghiari. Generalmente scrivo di anziani.