Di fronte al cambiamento, le sinistre non sono riuscite o non hanno avuto il nerbo per proporre soluzioni adeguate all’avvento della nuova realtà che Zygmunt Bauman ha ben definito “liquida”.
Ho letto il grido di dolore di Antonio Cornacchia sulla situazione politica attuale, nel suo articolo su Vorrei del 16 giugno scorso dal titolo “La sinistra ha bisogno di nuovi insiemi”, e ne condivido ampiamente lo spirito nonché l’angoscia. Sentimenti analogamente sconsolati sono stati espressi da Andrea Camilleri su la Repubblica dell’8 luglio scorso (“C’è un consenso per le tesi di Salvini che mi ricorda quello del 1937”) e da Paolo Rumiz sullo stesso giornale del 17 giugno (“L’Europa che dobbiamo raccontare”). Si avverte in questi scritti la dolorosa percezione del venir meno negli esseri umani della “compassione”, per usare il termine che spesso è ricorso nei discorsi di Papa Francesco. La chiusura di porti e confini non è che un’estensione della chiusura dei cuori.
Non sono tuttavia d’accordo con la citazione che fa Cornacchia di Wlodek Goldkorn all’inizio del suo articolo, secondo cui le sinistre europee avrebbero «ceduto alla narrazione delle destre» e avrebbero «sostanzialmente detto: tutto sommato: noi faremo meglio delle destre ciò che le destre promettono ma non sono in grado di fare».
Non mi sembra che sia così. Nel XX secolo le socialdemocrazie avevano basato il loro successo sui sistemi di welfare, sostenute da una base proletaria numerosa e stabile, grazie al posto fisso. La terza rivoluzione industriale prodotta dalle tecnologie telematiche ha sconvolto questa realtà. La risposta delle destre è stata, secondo un’opinione ampiamente condivisa, il laisseiz faire, la “mano invisibile” smithiana ri-teorizzata da Friedrich Von Hayek e Milton Friedman e inaugurata politicamente da Ronald Reagan e Margareth Thatcher: le cose si aggiustano da sé. Questa teoria e pratica è purtroppo ancora operante con effetti devastanti: le disuguaglianze e le povertà che hanno generato sono alla base della paura e della rabbia su cui prosperano populisti e regimi autoritari.
Le disuguaglianze e le povertà che hanno generato sono alla base della paura e della rabbia su cui prosperano populisti e regimi autoritari.
Di fronte al cambiamento, le sinistre non sono riuscite o non hanno avuto il nerbo per proporre soluzioni adeguate all’avvento della nuova realtà che Zygmunt Bauman ha ben definito “liquida”. La “Terza Via” proposta da Antony Giddens, il workfare al posto del welfare, in Italia l’Ulivo che si ispirava a queste visioni non hanno avuto successo, che consisteva e consiste ancora nel bloccare l’aumento delle disuguaglianze e delle povertà. L’insuccesso è dovuto a titubanze, sbandamenti e compromessi nell’azione dei governi di sinistra, spesso costretti a coalizioni con forze politiche conservatrici, ma anche alle resistenze, all’interno delle sinistre, di sistemi di potere legati alle vecchie ideologie. Il fatto è che le grandi masse proletarie e il posto fisso non ci sono più, e occorre spostare l’azione politica dalla difesa di uno status quo ormai inesistente verso la gestione del cambiamento, per favorirne gli aspetti creativi contro la precarietà. Compito non facile, specie in un contesto sociale sensibile e reagente solo agli stimoli di breve respiro, anche se confezionati con promesse miracolistiche.
Per indurre la gente a ragionare con una visione ampia e lungimirante, a comprendere l’importanza di investire, prima di tutto, sulla cultura e sull’ambiente, sacrificando interessi immediati a favore di quelli delle generazioni future, occorre agire interattivamente su tre fronti: proporre una visione di lungo termine, tradurla in consenso grazie a una forte leadership e capacità di comunicazione,
ma soprattutto “fare del futuro”, come dice bene Cornacchia “un’azione collettiva”.
La contrapposizione è tra visioni: tra chi considera le disuguaglianze un male da combattere e chi pensa o ha interesse a che il liberismo senza freni e l’insensibilità per il prossimo continuino a procedere, in un tragitto che porta allo scontro di tutti contro tutti
Molti ritengono che lo spartiacque tra sinistra e destra non esista più. A mio parere è vero il contrario: la distinzione ha senso più che mai, e separa i sostenitori del liberismo senza regole e del disinteresse per il prossimo (“America First”, “Prima gli Italani”, “Padroni in casa nostra”…) da coloro che ritengono urgente mettere solide briglie al primo e tornare a uno spirito comunitario. Quello che non c’è più sono le vecchie classi: non si può più parlare “al nostro popolo”, contrapposte a quello di altri, ma ci si deve rivolgere a tutti i cittadini. A mio parere la contrapposizione non è neanche quella tra l’uno per cento più ricco e il residuo novantanove per cento, come propose il movimento Occupy Wall Street. È tra visioni: tra chi considera le disuguaglianze e la povertà crescente un male da combattere nell’interesse di tutti, e chi pensa o ha interesse a che il liberismo senza freni e l’insensibilità per il prossimo continuino a procedere, in un tragitto che porta allo scontro di tutti contro tutti, con l’esito ben prefigurato dalla teoria delle catastrofi.
Occorre cercare di arrestare e invertire il processo. Condivido l’opinione di Cornacchia che ciò sia possibile solo con una vasta mobilitazione di persone di buona volontà, facendo soprattutto «capire ai giovani perché è giusto e bene essere solidali, essere pacifici, essere rispettosi».
E trovo anche importante l’appello di Cornacchia agli artisti, quasi denunciando, come fa velatamente Camilleri, una sorta di “trahison des clercs”, perché diano il loro contributo alla mobilitazione. Ho sempre creduto fermamente nell’affermazione dostoewskiana secondo cui la bellezza salverà il mondo.