Storie della quarta età. Gli esami della nonna e quella dei nipoti di oggi
Munita di diploma magistrale e insignita di medaglia d’oro finto. All’inizio degli anni Cinquanta, mi avvio faticosamente verso una professionalità così povera di saperi. Conservo strascichi di regime, brandelli di storia della pedagogia-filosofica, senza parole scritte dagli autori: una religiosità imbastita con formule imparate a memoria.
Qualche brano di buona poesia, talvolta “purgata” da insegnanti “prudenti”. Ho sentito l’urgenza di spigolare, spesso senza metodo, graffiandomi mani e piedi, in campi arati di fresco e mi sono impossessata avidamente di ciò che restava, tra zolla e zolla, di culture meticciate, trasportate dal vento, e attecchite in terreni senza confini….
Offrirò per anni i frutti delle mie fatiche e per vocazione a scolaresche amate. Ho sperato che gli allievi superassero la loro maestrina, munita di un semplice diploma. Insignita di una medaglia d’oro finto. (Omati Silvana Anghinelli: da RUAH)
Maturità 20218
Da ieri, tre miei nipoti stanno cimentandosi nella prima prova scritta. Diverse le scelte di studio. Arianna frequenta il classico, Tommaso l’ITIS, Benedetta un liceo fotografico: tutti e tre sono già stati all’estero, Benedetta ha trascorso un intero anno scolastico in Ungheria. Leggono testi scolastici anche il lingue straniere, traducono autori dopo aver letto parte dei loro scritti, usano disinvoltamente tutti i nuovi aggeggi per semplificare o complicare la vita; pronti ad una levataccia pur di partecipare ad un concerto di personaggi famosi dalla vita spericolata.
Rinunciano all’ora di religione, ma coltivano una loro spiritualità, credono nell’amicizia, snobbano i genitori, talvolta si confidano coi nonni, ma è meglio non dare risposte: accettano domande, mai prediche!
Politicamente sono molto più informati di noi, alla loro età. Tendono verso sinistra, hanno votato, assicurandomi che non sono responsabili di ciò che ora succede a Montecitorio! Sono anche fragili, temono il futuro; sessualmente non sono imbranati.
Aspetto l’esito definitivo della loro maturità che non dovrebbe riservare sorprese, perché amano lo studio.
Maturità 1950.
Fisicamente avevo l’aspetto di una preadolescente malnutrita, temevo la prova finale, non mi sentivo preparata: troppe le lacune, un comportamento non esemplare: facevo tante domande agli insegnanti, non ricevevo risposte esaustive, specialmente dalle suore.
La prof di filosofia dicevapresentando in poche righe Schopenhauer: “Questo autore piacerà senza dubbio all’Omati”. La stessa insegnante, sul libro dei ricordi, mi lasciò una massima: “Come sono belli i cori degli uccellini a primavera! Anche tu devi cantare, ma non uscire dal coro, non garrule ostentazioni singole, ma occorre farsi armonia col tutto…”. E un’altra prof, invece: ”Non perdere la tua originalità!”
Dubbi amletici che ancora non mi lasciano dopo tanti decenni. Affrontai bene la prova di italiano, svolgendo un tema su Beethoven. Avevo sentito solo una parte dell’Eroica, ma la sua vita mi affascinava.
Nell’ora di musica, per più di tre mesi ci eravamo cimentate nel ripetere “Su Lombardi all’arme, all’arme .” quasi un presagio di separatismo. In scienze mi fu chiesto quale differenza c’è tra lo scheletro di un uomo e quello di una donna. Non avevo dubbi: quello dell’uomo aveva una costola di meno. Di Storia Sacra eravamo ben informate. Fui promossa e la Preside mi propose di insegnare in collegio. Ho avuto classi numerose di bambine da preparare anche all’esame d’ammissione per le medie. La suora che per tutta la mattina stava in classe, non per sostegno, ma forse per controllo, al pomeriggio insegnava cucito e buone maniere alle mie alunne, mentre io seguivo le interne, dagli undici ai tredici anni, nei compiti e nelle lezioni; se ho imparato bene il latino, lo devo proprio al fatto che mi preparavo diligentemente per onestà professionale.
È come se fosse passato più di un secolo tra la mia maturità e quella dei nipoti! Loro saranno festeggiati, appena vedremo (on line?) gli esiti. Potessi sussurrare a ciascuno un po’ di poesia (che fortunatamente, ai miei tempi si studiava a memoria), sceglierei: “… stagion lieta è cotesta altro dirti non vo’. Ma la tua festa ch’anco tardi a venir non ti sia grave!)
(Giustamente il computer mi segnala errori: lui non c’era ai tempi di Leopardi ..)
In alto, disegno di Franco Matticchio