Col tempo by Giorgione

Storie della quarta età. Le donne sono incalzate da pubblicità martellanti che promettono un’eterna giovinezza, a costo di sacrifici inauditi, con risultati a volte grotteschi.

“Gli abiti delle madri sono informi e la loro unica età, la vecchiezza, è anch’essa informe “giacché — scrive Elsa Morante — nessuno, a cominciare dalle sarte delle madri, va a pensare che una madre abbia un corpo di donna.” (da La frantumaglia di Elsa Ferrante, pag. 23)

Leggo molto volentieri i libri della Ferrante: la sua scrittura è chiara, appassionante e fa rivivere, inoltre, pagine di storia.

Ma la citazione a pag. 23 del testo, mi ricorda un’altra grande scrittrice e ciò che dice sulla vecchiaia mi trova in parte consenziente e mi permette di riflettere sulla mia quarta età.

Già una ventina di anni fa, una mia figlia, parlando di me disse: “Tu hai un corpo di… mamma!”

Non so se fosse un complimento o la negazione della mia scarsa femminilità.

Ora il mio corpo di 85enne, per di più maltrattato dai dolori che lo rendono cagionevole e simile ad un vecchio tronco segnato dalle intemperie, necessita proprio di abiti informi per nascondere i difetti: ci pensa Concetta a trasformare una stoffa estiva o invernale in un sacco senza cintura!?

Non rinuncio però ai colori: vivaci, estrosi, arabescati e in questo modo distolgo chi mi guarda dal mio corpo. Io parlo attraverso un arcobaleno che segna la fine di un temporale e riporta il sereno: così spesso le persone che incontro narrano i loro temporali e insieme andiamo verso un cielo senza nubi.

Almeno per uno spazio sufficiente per credere alla vita.

Spesso il temporale abita il corpo di un vecchio e ancora più di una vecchia; è più facile sbarazzarsene da parte dei giovani, mettendoci in un’icona non necessariamente santificati, ma trasformati in statue: mute e inespressive, quasi private di sentimenti e di idee.

Succede, ad esempio, nel corso di una riunione familiare: i discorsi, i pareri, le diverse opinioni si intrecciano, si scontrano, si illuminano a vicenda o cercano speranza… i vecchi vengono serviti per primi, sistemati in un angolo tranquillo, ma quasi mai vengono interpellati su questioni fondamentali; essi ascoltano rallentati in tutto, ma saprebbero non tanto avere risposte preconfezionate, ma porre domande esistenziali, balbettare qualche risposta macinata dall’esperienza, avviarsi insieme verso un Oltre che darebbe un senso a tante inquietudini spesso nascoste dietro il calice di cristallo col quale si brinda ad un festeggiato.

Questo succede proprio tra intimi, cioè tra quelli che dei vecchi nell’icona ora vedono solo la miseria di corpi che necessitano di cure imbarazzanti per chi li riceve e per chi le compie: difficile ricordarne l’anima e l’intelletto solo un po’ offuscati. Io esco dall’icona, necessariamente, ogni giorno, salvo complicazioni, per svolgere semplici lavori manuali, per assicurare, ad esempio i due pasti principali all’ora stabilita, aiutata dalla fedele e ormai indispensabile Concetta.

Mi capita pure, nel corso della giornata, di attirare l’attenzione del convivente e di imbastire un dialogo per almeno un quarto d’ora.

I lavori domestici però mi affaticano e trovo ristoro sedendomi al computer: scrivo documenti aperti, volutamente lasciati lampeggianti sul video, come per distrazione senile; poi li allegherò a mail destinate a chi prova interesse per il MIO IO, nascosto sotto paludamenti informi!

Deliberatamente ne invio qualcuno anche ad un figlio: lui ha un blog col resto della tribù e io resto in attesa dell’eco; se arriva.

In altre sfere, specie se si conserva un’immagine prestigiosa, tolti dall’icona, anche i vecchi possono essere ancora protagonisti.

Che cosa ci salva e ci fa sentire ancora vivi? Cercare di non essere ingombranti, non presumere di poter piacere a tutti, convincersi che le parentele si creano anche fuori dai vincoli di sangue. Pazientare.

Attendere di morire, prima a noi stessi: per risorgere agli occhi degli intimi che, solo dopo, ci potranno ricordare con un corpo e un’anima non camuffata da vesti funeree.

Andranno allora, figli e amici a scavare, a cercare tra scritti o testimonianze lasciate lontane o note solo ad altri.

Si riapproprieranno di noi, ci ritroveranno in loro, nei figli e meno male se scopriranno di potersi vantare per averci conosciuti!

Forse il compito più difficile tocca proprio alle “vecchie”, perché la condizione femminile rimane purtroppo subalterna in diversi ambiti: non più santificata nella maternità o nell’obbedienza cieca, dedita al sacrifico fine a se stesso.

Se ne vedono poche di vecchie in giro: le donne sono incalzate da pubblicità martellanti che promettono un’eterna giovinezza, a costo di sacrifici inauditi, con risultati a volte grotteschi.

Nessuna pubblicità alla televisione è affidata ad una donna anziana e, quand’anche una vecchia appare, si fa di tutto per nascondere rughe imbarazzanti o parti del corpo cadenti.

Agli uomini invece, è concesso tutto!

La colpa è nostra: c’è sullo schermo una nonna della quale i nipotini dicono “Uffa, la nonna ancora con quei dolori che le impediscono di giocare con noi!”

Vorrei che tutti i nipoti accogliessero le nonne, così come sono: vestite di panni informi ma con le braccia aperte e un cuore capace di amare ad ogni età.

 

In apertura: a Vecchia è un dipinto a olio su tela (68×59 cm) di Giorgione, databile al 1506 circa e conservato nelle Gallerie dell'Accademia a Venezia.

Gli autori di Vorrei
Silvana Omati
Silvana Omati
Ho 85 anni. Faccio parte da decenni della libera università a distanza dell’autobiografia di Anghiari. Generalmente scrivo di anziani.