Enrica, Piero e Ambrogio Fossati, proprietari di Effemarket alla Bareggia di Lissone, ci parlano del progetto di uso alimentare della pianta. Abbiamo ripercorso con loro la storia secolare dell'attività di produzione e commercio e la genesi del progetto aglio orsino di Brianza
Comincia ad assumere consistenza il progetto di promozione al consumo alimentare dell'aglio orsino, pianta spontanea caratteristica della Valle del Lambro. L'ideazione è il frutto di una collaborazione sinergica di alcune imprese e associazioni locali: La Fata Verde di Agrate, Effemarket di Lissone, l'associazione CATA di Monza e la Condotta Slow Food di Monza e Brianza. Questo e altri progetti si fondano su una più complessa strategia. L'uso alimentare di prodotti locali è una forma di vincolo ancora più efficace di quelli amministrativi per la tutela dei terreni agricoli: se genera un adeguato ritorno economico, è in grado di valorizzare e arricchire il territorio e come ricaduta ulteriore aumenta la resistenza all'urbanizzazione e alla cementificazione del territorio, fenomeno allarmate in Brianza.
La pianta e il suo uso alimentare sono una connotazione fortemente identitaria del territorio. Con questa valenza da tre anni si è messa in moto un ricerca culturale, parallela alla creazione di una filiera specifica di raccolta, produzione e distribuzione. Il 12 di marzo è prevista un'iniziativa escursionista nel Bosco della Buerga, presso il lago di Alserio, dove è pronto a germogliare l'aglio orsino in grandi quantità. Qui realizzeremo un ulteriore servizio sul tema con interviste e reportage.
Piero ed Enrica Fossati, Tina Astori (CATA) e Giorgio Brambilla (La Fata Verde) - Foto di Alice Ripamonti
In questo servizio andiamo a conoscere gli imprenditori che hanno aderito al progetto e che si occuperanno di comporre la filiera. Si tratta della famiglia Fossati di Bareggia, frazione di Lissone. Enrica, Piero e Ambrogio sono fratelli e quinta generazione di una tramandazione produttiva e commerciale. Sviluppatasi nel corso di quasi due secoli, ha mantenuto inalterate le caratteristiche di alta qualità del servizio commerciale. Quest'ultima generazione si è fatta promotrice di un ulteriore sviluppo dimensionale dell'impresa: dopo aver realizzato due supermercati in Bareggia e Lissone, nel 2005 ha creato un centro commerciale in un complesso con due livelli.
Quando si arriva a Effemarket si intuisce che non si tratta di un centro come gli altri. Non è semplicemente inconsueto: anche se gli scaffali sono identici a molti altri, la differenza si coglie immediata nei prodotti in vendita e ancor prima nel vedere la posizione dell'edificio, intessuto nel contesto urbano di Bareggia: è un antico borgo diviso in due frazioni, una inglobata al comune di Lissone e l'altra a quello di Macherio. La suddivisone amministrativa di Bareggia non ha impedito alla popolazione residente di conservare ancora oggi un senso identitario e un forte spirito autonomista. Enrica e Piero Fossati mi accolgono nella sala riunioni degli uffici direzionali. Ci si intende subito. Perché tra gli amanti del territorio si usa lo stesso linguaggio.
Ambrogio Fossati (detto Fiurin) la moglie Enrichetta e la figlie Angelica, Carla e Adele - Archivio Fossati
Come famiglia siamo impegnati dal 1835. I nostri antenati sono sempre stati nel commercio al dettaglio
Quando è nata l'azienda?
Piero Fossati: Come famiglia siamo impegnati dal 1835. I nostri antenati sono sempre stati nel commercio al dettaglio, all’inizio con botteghe, poi negli anni '70 abbiamo aperto uno dei primi supermercati della Brianza. Lo spazio iniziale consisteva in una superficie di 400 mq.
Enrica Fossati: Qui nel 1835 il nostro trisnonno aveva un'osteria-posteria. Svolgeva anche l'attività di prestino. C'era il forno e la panificazione. Era principalmente un luogo di vendita alimentare, anche se si poteva trovare un po' di tutto. Intorno c'era il tipico paesaggio brianzolo, formato da campi e cascine sparse. Il nonno utilizzava il cavallo con il carro per consegnare il pane. Bareggia allora era un piccolo borgo.
Poi i suoi figli hanno continuato la stessa attività?
Piero: Nel 1878 hanno ottenuto la licenza di vendita dei tabacchi, attività che si è aggiunta alle altre. È avvenuto in una circostanza fortunosa. In quei tempi l'Italia si era appena formata ed era stato creato tra le altre cose il monopolio di stato del tabacco. Ottenere la licenza di vendita era molto difficile. Qui da noi si fermava spesso un maresciallo, responsabile della guardia in Villa Reale a Monza, nel periodo in cui il re Umberto e la regina Margherita venivano a soggiornare a Monza. Al maresciallo piaceva fermarsi nell'osteria del bisnonno. Ma a volte era dispiaciuto. Perché essendo fumatore, in quei tempi si fumavano i sigari, qui non poteva acquistarli, se ne era sprovvisto. Così lo aiutò a ricevere la licenza. Era la licenza n°2, firmata direttamente dal re. Questa vendita è proseguita fino agli anni '70 del Novecento, finché i nostri genitori aprirono il primo supermercato. Cessammo anche l'attività di allevamento dei maiali che avevamo accanto al vecchio negozio, perché all'epoca tutta la linea di produzione la facevamo direttamente sul luogo. Quel periodo coincide con la forte urbanizzazione del territorio: l'allevamento si è venuto a trovare in un contesto insediativo dove le norme non ne consentivano più la permanenza.
Quanti abitanti ci sono ora a Bareggia?
Enrica: Siamo 4500. Molti sono venuti dalla città, da Milano o da Monza. Si sono inseriti molto bene. Forse perché a Bareggia non manca nulla: è servita da tutte le strutture, dalle scuole d'infanzia alle superiori, ai centri medici. Volendo ci si può servire senza utilizzare un mezzo per andare lontano.
Dipinto di Gaetano Chierici - Titolo e data non conosciute - Ipotizzata "L'ultima goccia" di fine Ottocento
A Bareggia sono rimaste ancora molte famiglie storiche come la nostra. Noi siamo i Fiurin
A Lissone è diffusissimo il cognome Fossati. Avete molti parenti?
Piero: Non abbiamo parenti a Lissone, eccetto un cugino di terzo grado che peraltro faceva lo stesso nostro lavoro.
Enrica: I nostri bisnonni avevano 21 figli. In quei tempi era normale. Lo era anche ritrovarsi, come avvenne a loro, padre e figlio insieme sul fronte della prima guerra mondiale. Nostro nonno ci raccontava che il bisnonno aprì attività a tutti i maschi dei 21 figli. In maggior parte si trattava di forni per la panificazione. Per non mettersi in concorrenza tra parenti, localizzavano i forni distanti tra loro. Per conseguenza si sono trasferiti in altri paesi. Ecco perché non abbiamo parenti a Lissone, se non con un legamee molto distante. A Bareggia sono rimaste ancora molte famiglie storiche come la nostra. Noi siamo i Fiurìn, dal soprannome di mio nonno Ambrogio, chiamato Fiorino perché era bello come un fiore. Era usanza in Brianza chiamarsi con soprannomi per distinguere una famiglia da un'altra. A maggior ragione si usava per le numerose famiglie Fossati: anche se siamo in tanti con lo stesso cognome, noi siamo di un ceppo diverso. Abbiamo chiamato Fiorino il prosciutto cotto che produciamo. Nella tradizione si ripetono i nomi propri: noi abbiamo Ambrogio, Carlo ed Enrica che si rinnovano da generazioni.
Lo facciamo perché ci crediamo, perché abbiamo un legame profondo col nostro territorio
Non avete direttamente gli allevamenti come una volta. Tuttavia le carni in vendita sono a Km0. Per quale motivo?
Piero: Sia la mamma Ancilla che il papà Carlo avevano la stessa tipologia commerciale: una a Muggiò e l'altro a Bareggia con produzione diretta di salumi. Mettendosi insieme hanno creato una perfetta sinergia dei saperi del mestiere. Ci piace continuare la cultura e la tradizione che i nostri genitori ci hanno insegnato, dove l'eccellenza è genuinità. Lo facciamo perché ci crediamo, perché abbiamo un legame profondo col nostro territorio. Amiamo il buon gusto e siamo alla ricerca continua del buono. Oltre alle carni lo facciamo anche con i dolci e cerchiamo il più possibile di utilizzare produzioni e filiere del territorio circostante. È un qualcosa che abbiamo dentro. Siamo fatti così.
Enrica: Di questo abbiamo un riscontro positivo nella nostra clientela. Ci sono molti a cui va stretto il ruolo di consumatori e che amano la qualità e il territorio che la produce. Nostro padre Carlo ha avuto la lungimiranza di continuare quaranta anni fa le stesse modalità produttive dei nostri nonni. Nonostante avessimo eliminato la conduzione dell'allevamento dei maiali, si decise di rifornirci da allevamenti vicini, dove noi potevamo scegliere e controllare direttamente gli animali. Il prosciutto da noi prodotto è stato concepito appunto da papà. Aveva trovato, negli archivi di famiglia, una ricetta per produrlo in modo naturale e senza conservanti.
La commessa Luisa e Carlo Fossati negli anni '60 - Archivio Fossati
È stato un precursore del biologico?
Enrica: Papà acquistava le cosce dei maiali e poi le faceva lavorare sotto nostro controllo da terzi. È stato il primo, valendosi della vecchia ricetta salina, a produrre senza glutine, senza glutammato, senza caseinati e derivati del latte. Ci teneva tantissimo.
Piero: Abbiamo fornitori con cui siamo legati da 60 anni. La nostra filosofia è che se un fornitore lavora bene, ci si discute, ci si accorda, ma non si cambia
Parte fondamentale è la scelta delle carni. Noi facciamo due tipi di prosciutto: il Fiorino, di cui abbiamo accennato prima e il Regina. Inizialmente solo il primo era di tipo cosce di maiale nazionale, mentre l'altro era fatto, come il 90% , di cosce di maiali esteri. Oggi sono entrambi nazionali e li produciamo con due saline diverse. I nostri prosciutti calano circa il 40% di peso durante la lavorazione. Anche se altri produttori preferiscono aumentare piuttosto il peso e guadagnarci di più, la nostra politica resta conservare un prodotto di alta qualità.
Come si distinguono visivamente i prodotti?
Piero: I nostri prosciutti, dopo essere stati affettati, virano il colore dopo pochi minuti . Questo è dovuto alla mancanza di conservanti. Solo sale e aromi naturali.
Enrica: Ci è capitato di dover scegliere l'introduzione a noi proposta di prosciutti prodotti a minor costo. Poteva essere allettante, per via di un maggior profitto. Tra fratelli ne abbiamo discusso e abbiamo deciso, senza ombra di dubbio, di resistere e mantenere la nostra qualità.
Questo non fa diminuire la clientela, soprattutto in un periodo di crisi come quella che stiamo attraversando?
Enrica: Non proprio. I nostri prodotti hanno un rapporto qualità/prezzo interessantissimo. Se li confrontiamo con prodotti di pari qualità, i nostri sono molto concorrenziali.
Piero: Tuttavia sono cambiate le priorità delle famiglie. Nella crisi prevale la necessità di eliminare il superfluo e privilegiare l'indispensabile.
Enrica: La mia famiglia, ma anche quella di mio fratello Piero, difficilmente esce di casa per andare a un ristorante, se non in quelli, pochi, di cui si ha certezza della provenienza del cibo. Non tanto per il costo, quanto perché preferiamo mangiare una fiorentina del nostro negozio, di cui abbiamo la tracciabilità di provenienza garantita.
La signora Ancilla Pioltelli negli anni '70 - Archivio Fossati
Non siamo e non vogliamo essere un'industria alimentare. La nostra produzione e vendita resta dimensionata al perimetro territoriale
Dicevate all'inizio di avere un profondo legame con il territorio. Le vostre scelte e i vostri prodotti hanno una relazione con questo legame?
Enrica: Si. È il nostro riferimento Non siamo e non vogliamo essere un'industria alimentare. La nostra produzione e vendita resta dimensionata al perimetro territoriale. Ci sono state chieste in passato forniture in quantità che non potevamo soddisfare, se non modificando la nostra struttura artigianale.
Piero: Avremmo dovuto aggiungere celle per la stagionatura. Ma così sarebbe venuta meno la particolare lavorazione compiuta nelle cantine adatte, dove i salumi acquisiscono tutte quelle proprietà che li rendono di alta qualità. Sono proprio sotto questo negozio.
Sono cantine particolari?
Enrica: Sono cantine risalenti ai primi del'800, a volte in mattoni pieni e con annessa una ghiacciaia. In questi spazi si stabilisce la temperatura e l'umidità perfettamente adatta alla stagionatura.
Piero: È fondamentale il periodo di lavorazione: di solito iniziamo a ottobre e finiamo ad aprile. Solo cosi riusciamo a garantire un prodotto di qualità.
Enrica: Possiamo continuare a farlo perché ci rivolgiamo a un ambito territoriale preciso. È un consumo interno. Facciamo fatica a soddisfare la domanda. Il nostro salame, dalla produzione a quando incomincia la stagionatura, impiega dai 18 ai 20 giorni per asciugare e richiede un minimo di 60 fino a 90 giorni di stagionatura.
Piero: Abbiamo accertato che questa è la dimensione produttiva ottimale: su 100 che si mettono in cantina, 99 sono perfetti. Tenga presente che il salame di produzione industriale è in vendita dopo 20 giorni.
Salumi Effemarket - Foto di Alice Ripamonti
La muffa nobile è uno degli indicatori di genuinità
Hanno tempi di maturazione forzata?
Piero: Se lei ha visto il nostro salame ha la muffa. È la muffa nobile e profuma di buono.
Enrica: La muffa nobile è uno degli indicatore di genuinità.
Piero: Se avessimo intrapreso la politica industriale, per accelerare i tempi di maturazione, avremmo dovuto utilizzare una cella calda invece che fredda. Il salame maturato così velocemente si presenta senza muffe nobili.
È pieno di conservanti?
Piero: E non solo. In Brianza diciamo: carne fresca dà i marun. Carne fresca dà soldi. Perché non è soggetta al calo di peso. Il nostro salame cala di peso dal 40 al 50 %. È difficile produrre a lunga stagionatura ed è solo chi ha esperienza che è in grado di stagionare un prodotto a lungo. Questo vale per salumi, formaggi e vino.
Enrica: Un segnale indicatore di bontà è vedere la corda di contenimento dei salumi decisamente allentata. Questo è un sintomo che il salame ha perso peso.
Tra le vostre produzioni di eccellenza c'è la luganega.
Enrica: È la luganega di Monza.
Piero: È fatta sempre con carne di maiale. Ci aggiungiamo il brodo, il formaggio grana Padano e una miscela di vini liquorosi. Si può mangiare cruda. Ma non è del tutto cruda: utilizzando nella lavorazione il brodo bollente e una macerazione, diventa una semi cotta. In confronto alla salciccia comune è più grossa e più chiara. Sembra più grassa.
Enrica: Invece è il contrario! Una è rosa e l'altra è rossa. Ci risulta che in Brianza siamo rimasti solo in tre produttori.
La facevate anche nel passato?
Enrica: Si. L'abbiamo sempre prodotta. È una tradizione: la ricetta originale ce l’ha tramandata il nostro avo Marino e portava la data 1839.
Siete riusciti a costituire un marchio di qualità locale con la Camera di Commercio di MB?
Enrica: Loro sono stati disponibili: per la nostra attività ci hanno rilasciato il marchio Made in Brianza che incolliamo nelle confezioni. Produciamo anche la mortadella di fegato, anch'essa stagionata e di alta qualità. La facciamo e la stagioniamo a volte fino a 180 giorni. Un'altra nostra produzione è il vaniglia, un cotechino con aggiunta la vaniglia. È una tipica produzione della Brianza. Le carni provengo principalmente dal macello in Brianza a Beverate di Brivio. Anche questo fornitore è rimasto in una modalità artigianale. Sono tre fratelli che continuano la tradizione. Esattamente come noi. I prodotti freschi preferiamo servirli giornalmente sul banco.
L'aglio orsino
Aglio orsino nei Giardini Reali di Monza - Foto di Stefania Sangalli
Siamo decisi a coinvolgere i nostri clienti nel percorso di riscoperta culturale
Come nasce l'idea di partecipare al progetto?
Piero: È nostro fratello minore Ambrogio che si è interessato a questo, insieme all'architetto Giorgio Brambilla, titolare della Fata Verde che con perseveranza è riuscito a fare un accordo con il Parco Regionale della Valle del Lambro. L'ente parco ha messo a disposizione della Fata Verde un bosco lungo un chilometro, dove poter raccogliere le foglie di aglio orsino con cui produciamo il pesto. I primi esperimenti di produzione del pesto orsino La Fata verde li ha fatti nel 2015 nei propri ristoranti di Agrate e a maggio questo pesto lo abbiamo fatto assaggiare in Expo, dove la Fata Verde, noi, il panificio di Davide Longoni e il birrificio Alma di Monza, abbiamo per una settimana rappresentato il Comune di Monza negli spazi di Cascina Trivulza. Noi comunque abbiamo seguito con entusiasmo l'evolversi. L'anno scorso abbiamo prodotto quattrocento vasetti in forma sperimentale.
Enrica: Siamo decisi a coinvolgere i nostri clienti nel percorso di riscoperta culturale. Sia nella raccolta, in questa caso aderiamo all'escursione prevista il 12 marzo nel Bosco della Buerga, sia nella degustazione. Si è pensato di organizzare una cena collettiva con a base tre/quattro piatti di aglio orsino. Molti di loro non sanno nemmeno di cosa si tratta. Sentono quel profumo intenso e pungente, presente in primavera nel Parco di Monza, ma non hanno cognizione di come questa pianta possa essere consumata come alimento. Una nostra nonna, quella della mamma di Muggiò, è nata nella cascina dei Mulini Asciutti nel Parco di Monza. Producevano farine destinate alla panificazione e alla vendita di pane a Muggiò. Avevano il prestino in paese e ai Mulini Asciutti conducevano il mulino. Le nostre zie, quelle più anziane sono nate lì, erano fittavoli dei terreni dalla regina Margherita, che peraltro ogni tanto li andava a trovare di persona, portandogli a volte conigli, galline e altri beni che loro non possedevano. Era un festa. Queste zie avevano le ricette per la preparazione alimentare dell'aglio orsino.
Il Casin del Lago di Alserio e il Bosco della Buerga - Foto di Pino Timpani
Nel frattempo si aggiunge alla conversazione il fratello Ambrogio.
Ambrogio: Intorno ai Mulini Asciutti l'aglio orsino cresce copiosamente in forma spontanea. La famiglia di mia nonna lo utilizzava come alimento nel periodo primaverile. Lo usavano nelle frittate e nelle minestre. Preparavano anche una salsa particolare da accompagnare alle carni lesse. Quando ero un bambino ho provato ad assaggiarla. Non a vederne la preparazione. Ero troppo piccolo per ricordare.
Invece di usare il basilico si usava l'aglio orsino?
Ambrogio: Si. Pestavano l'aglio orsino nel mortaio e presumo che aggiungessero un olio alla salsa, senza i pinoli. Non so dire esattamente quale. Il progetto nasce da qui. Abbiamo provato a sperimentare alcune preparazioni. Per esempio, sapendo che da non non c'era l'olio d'oliva ma olio di noci, lo abbiamo provato. Abbiamo visto che è molto delicato e inacidisce facilmente. Evidentemente i preparati andavano consumati in breve tempo. Inoltre l'olio di noci combinato con l'aglio è molto saporito e invasivo. Per questo abbiamo provato una ricetta con solo aglio orsino e olio d'oliva.
Il pesto noi lo produciamo dallo scorso anno e lo vendiamo sfuso al banco, nella versione classica degli ingredienti con aglio, olio extravergine d'oliva e pinoli
Pensate che ci possa essere una commercializzatone soddisfacente dell'aglio orsino?
Ambrogio: Il pesto noi lo produciamo dall'anno scorso e lo vendiamo sfuso al banco, nella versione classica degli ingredienti con aglio, olio extravergine d'oliva e pinoli. Con Giorgio Brambilla ci siamo spinti a sperimentare altre versioni: con le mandorle e con le noci. Purtroppo, come dicevo prima, utilizzando le noci si ottiene un inacidimento rapido. Abbiamo provato un'ulteriore versione con il formaggio. Che però copre molto il sapore. A mio parere il risultato migliore si ottiene utilizzando i pinoli.
Di questo non ci sono tradizioni, a pare i ricordi degli antenati?
Ambrogio: ci siamo avventurati in diverse ricerche, ma senza trovare scritti in materia. Nemmeno andando molto indietro nel tempo.
Come pensate di proporre il consumo di questo alimento?
Ambrogio: Con eventi e poi offrendo assaggi nel punto vendita. In varie forme. Principalmente con la classica bruschetta. oppure, come l'abbiamo proposta all'Expo di Milano, con frittate o con le patate lesse.
Enrica: Una preparazione gustosissima si ottiene mettendola sul salmone affumicato. È una meraviglia! Si possono fare anche altrettante gustose torte salate, amalgamando la salsa con le patate.
Però il salmone è un prodotto nordico.
Ambrogio: Infatti nei paesi nordici l'aglio orsino è molto utilizzato in cucina. Raggiunge prezzi superiori ai 100 euro al kg. Perché anche li è una pianta spontanea e va raccolta pazientemente nei boschi.
Mappa di Bareggia del Catasto Teresiano (1721-1723)
Fino a metà dell'ottocento nel territorio c'era un'elevata produzione agricola. Come ha fatto a perdersi?
Enrica: Lissone era piena di vigneti. Erano tutti agricoltori. Quando è arrivato il re a usufruire della Villa Reale, li hanno sradicatati per lasciare posto alla lavorazione del legno: costruire mobili per l'arredamento della famiglia reale era molto più redditizio.
Ambrogio: C'era anche stata una precedente infestazione di filossera. Da allora si era diffuso l'uso della vite americana, più resistente al parassita. Tuttavia il colpo decisivo è stato inferto dal processo di industrializzazione. Pensi che le uve da tavola, tutti i ceppi, sono state create da un farmacista di Melzo. A dimostrare la presenza massiccia della viticultura nel territorio.
Le carni
Andiamo a scegliere direttamente nella stalla
Torniamo alla produzione di carne. Ambrogio, prima i suoi fratelli hanno parlato della vostra vocazione di antica data, l'attività principale resterà questa anche in futuro?
Ambrogio: Si, resta una nostra vocazione. Vorrei però dire alcune cose. Perché rischiamo di restare spiazzati dall'andamento attuale. Abbiamo cominciato a ricostruire la filiera controllata quando in Italia non era nemmeno conosciuto il significato della parola filiera. Andiamo a scegliere direttamente nella stalla. Dal 1985 abbiamo aderito al consorzio di certificazione e tracciabilità Naturella. Gli animali trattati con farmaci sono esclusi dalla filiera. Siamo ancora tra i pochissimi a frollare la carne e a mantenere i tempi giusti di maturazione: otto/dieci giorni alla parte anteriore e quindici/ventuno giorni alla parte posteriore. La frollatura, che è un processo paragonabile all'invecchiamento del vino, ha come effetto un cambiamento del colore: da rosso diventa ambrato. Questo purtroppo viene spesso percepito dai consumatori erroneamente come un difetto. Tutta la grande distribuzione utilizza un processo accelerato: dopo solo 24 ore dalla macellazione la carne viene distribuita nei banchi di vendita. È bella rossa. Con tutte le caratteristiche utili al massimo profitto del businness: non cala di peso e non ha scarto. Per contro è priva di profumi e di sapore ed è stopposa, a causa del mancato tempo necessario per il rilassamento dei muscoli e dei nervi. Purtroppo i consumatori sono stati abituati a volere la carne rossa.
Si è formata una disabituatine, una riduzione della capacità di riconoscere la carne buona?
Anbrogio: Vede, si è diffusa la consumazione della carne nei ristoranti. Perché loro possono utilizzare la carne saporita, con i grassi e i sapori gusti. I clienti non se ne accorgono perché la vedono già cotta. Ma se quella stessa carne la mettessimo sul banco di vendita non la comprerebbe nessuno. Viene considerata carne vecchia e molto ma molto grassa. È difficile ottenere la carne magra, saporita e morbida al punto giusto. Non viene preso in considerazione il fatto che anche la carne deve avere un processo di maturazione, come il vino, come i salumi o i formaggi e molte altre produzioni. Purtroppo si è compiuta una mutazione del gusto, e un appiattimento dei sapori. Non c'è quasi più la capacità di saper giudicare la bontà affidandosi al proprio olfatto, al proprio stomaco.
Ambrogio Fossati - Foto di Alice Ripamonti
Quanto ci sarebbe bisogno di fare buona informazione su questi argomenti!
Questo risultato è una conseguenza dell'industrializzazione alimentare?
Ambrogio: Accelerare il processo di maturazione o addirittura eluderlo, porta molti vantaggi al profitto. Subentra un movente finanziario: si abbattono i tempi del processo e con questo si velocizza il flusso finanziario di ritorno. Quanto ci sarebbe bisogno di fare buona informazione su questi argomenti! Non dimentichiamo un'altra conseguenza nefasta scaturita da questo modo di gestire i processi: l'aumento esponenziale di malattie e allergie.
È causato dal processo?
Ambrogio: È il frutto di sofisticazioni: per aumentare il peso dei prodotti vengono introdotte fibre in grado di mantenere l'acqua. È la stessa funzione che ha una spugna. In passato utilizzavano fibre vegetali. Ora ci sono anche fibre sintetiche. Si può immaginare a lungo andare il grado di tossicità presente. La cultura degli insaccati l'abbiamo solo in Italia. In nessuna altra parte del mondo c'è. Neanche in Francia. Nei paesi nordici affumicano tutto. Se non ci sarà un intervento, spero almeno della Comunità Europea che è l'unica che può contrastare gli interessi delle multinazionali, andremo inesorabilmente verso la proliferazione delle malattie, innescate dalla cattiva produzione alimentare di certe industrie.
Degustazione in Effemarket - Foto di Alice Ripamonti
Quali multinazionali sono interessate?
Ambrogio: Quelle legate alla chimica. Alcuni produttori da tempo hanno inserito nei prodotti le fibre inventate da un chimico. All'inizio assorbivano acqua al 150% Ora sono arrivati al 250%. Persino le budella naturali per gli insaccati sono in fase di sostituzione con una mucillagine di produzione chimica.
Si possono mangiare?
Sono dichiarate edibili, ma sono pur sempre prodotti chimici. Anche in questo versante siamo rimasti in pochi a usare prodotti naturali, nel nostro caso le budella per insaccare i nostri salumi sono italiane, dopo che una serie di normative burocratiche hanno di fatto distrutto la produzione italiana.
Non vengono più prodotte in Italia?
Ambrogio: C'è stata un imposizione normativa, la ritengo assurda, che ha obbligato i produttori ad adeguarsi. L'assurdità consiste nell'imporre a tutti i produttori le stesse condizioni. Essendo in gran parte produttori artigianali, non hanno avuto la forza finanziaria per investire i capitali necessari all'operazione. Così sono stati stroncati e hanno chiuso le attività. Ora le budella per la maggior parte vengono importate quasi tutte, quelle d’agnello arrivano anche dall'Afghanistan, dove vengono prodotte ovviamente senza le nostre procedure di controllo. Per me il miglior salume in assoluto è la coppa. È un prodotto che bisogna saper fare, non si può sbagliare. Gli specialisti sono i piacentini. Pensi che per fare una coppa di qualità ci vuole una stagionatura di 180 giorni: i salumi vengono tenuti all'interno di cantine senza cemento e con la terra battuta. Queste condizioni permettono al prodotto di avere caratteristiche irripetibili in altri territori. Perché concorrono alla bontà finale in modo determinante il microclima, l'umidità e la temperatura giusta. E solo lì c'è. La cultura che abbiamo noi italiani è il nostro “petrolio”, la nostra ricchezza. Un pochino anche l'aglio orsino lo è.
Il Fiurìn - Archivio Fossati
La storia di Effemarket
Nel 1835 Martino Fossati apre un negozio di posteria-osteria-trattoria nella frazione di Bareggia
Alla conduzione partecipa il figlio Carlo. E proprio Carlo Fossati estende nel 1878 l'attività, inserendo una ricevitoria Sali e Tabacchi del Monopolio di Stato. Nello stesso periodo avviene un ulteriore implementazione con il commercio di granaglie.
Nel 1900 i Fossati estendono l'attività in centro a Lissone, dove aprono un forno per la produzione del pane. Nel 1905 costruiscono un fabbricato in Via Enrico Toti a Bareggia, rimodernando il precedente negozio a cui viene aggiunta la salumeria ed un nuovo forno per il pane. Il tutto sotto la regia di Carlo Fossati, supportato dal figlio Ambrogio, detto Fiorino.
Carlo, il figlio di Fiorino, affiancato dalla moglie, Signora Ancilla, è successivamente l'ideatore negli anni '70 della linea di supermercati Effemarket. Il prefisso "effe" riprende la lettera iniziale dei Fossati.
Nel 1990 la famiglia apre un secondo supermercato in via Martiri della Libertà, a cui segue nel 1995 l'apertura di un discount in Viale della Repubblica.
Negli anni 2000 le attività sono tramandate alla attuale quinta generazione dei Fossati: Enrica, Piero ed Ambrogio. A loro è dovuto un ulteriore salto dimensionale con l'avvio nel 2005 di un centro commerciale, il rinnovato Effemarket 1° in cui trovano posto altre attività e servizi, come un centro odontoiatrico, un bar, una lavanderia, un parrucchiere, una linea di abbigliamento per bambini e altro ancora.