Come le statistiche smontano le bufale sulle conseguenze della Brexit e sull’Italia che spende troppo in sanità. Ed anche qualche indicazione di lettura a tema economia & finanza, con molte avvertenze.
La puntata pre-vacanziera sulle fregnacce propalate in campo economico questa volta la dedichiamo alla Brexit e all’Italia presunta sprecona che non fa i “compiti a casa” (i precedenti li potete leggere qui, qui e qui). Si chiude con una riflessione sull’interessante libro “Non con i miei soldi – sussidiario per un’educazione critica alla finanza”, scritto da Andrea Baranes, Ugo Biggeri, Andrea Tracanzan e Claudia Vago ed edito da Altreconomia in collaborazione con Banca Etica.
LA BREXIT
Avrete notato come si è parlato di Brexit prima e soprattutto all’indomani del sorprendente esito del referendum britannico. Una roba che avrebbe causato la distruzione dell’economia UK, raccontata con toni terroristici tali da far sembrare l’invasione di cavallette e la morte dei primogeniti una scampagnata.
Al netto dell’aspetto democratico (una cosuccia da due soldi dare dei bifolchi, poveracci e razzisti a chi ha votato in maggioranza per il leave: ma non era la sinistra quella vicina alle istanze dei più svantaggiati e in grado di comprenderne le rivendicazioni?), rimaniamo su elementi di fatto.
1 – La Brexit ha fatto crollare il cambio con l’euro a valori mai visti prima e ora chissà quanto costeranno ai britannici le importazioni dalla UE. Simmetricamente, ciò sicuramente cagionerà un danno importante all’export dell’Unione.
Il rapporto di cambio tra euro e sterlina è il seguente (se la linea sale, vuol dire che l’euro si rafforza rispetto alla sterlina):
Se dal 24 Giugno le aziende UE hanno, secondo alcuni commentatori, difficoltà nuove ed enormi a esportare in Gran Bretagna, c’è da chiedersi come siano sopravvissute nel triennio 2009-2011 e ancora nel 2013, quando la forza dell’euro era a livelli superiori rispetto agli attuali post Brexit.
2 – La Brexit farà crollare l’economia britannica, mandandola in recessione. Sicuri sicuri che andrà così? Quei comunistacci del Fondo Monetario Internazionale qualche giorno fa hanno pubblicato il loro ultimo report sull’andamento dell’economia mondiale. Gli esiti sono questi.
Fermo restando che l’FMI è famoso per non essere proprio il massimo (eufemismo) quanto a previsioni, i dati dicono che, nonostante il rallentamento, il tasso di crescita della Gran Bretagna rimarrà nel 2016 più alto di quello francese, tedesco e, inutile dirlo, italiano. Non male per chi doveva stramazzare al suolo a causa di un voto democratico. Anche il 2017 non pare essere così nero, se è stimato che il Regno Unito crescerà comunque più del solito trio europeo. Hai capito i britannici? Si ostinano a far meglio anche se fuori dall’UE. Tanto che le prime indagini della Bank of England non rilevano rallentamenti nell’attività economica, ma guarda tu.
L’ITALIA FARFALLONA
Per pregiudizio auto denigratorio, siamo sempre quelli che non si impegnano abbastanza sul rigore di bilancio e la riduzione degli sprechi. Verifichiamo se sia proprio così. Analizziamo quella “voragine” di spesa pubblica che è la spesa sanitaria. I dati OCSE raccontano questo:
L’Italia non solo non partiva da livelli di spesa sanitaria in rapporto al PIL in media, ma addirittura è stata in grado di ridurre la spesa pro capite come nessuno tra i grandi paesi appartenenti all’euro, unica a diminuirla in valore assoluto. Da leggere nelle linee di trend la particolare e indefessa solerzia dei governi di centro-sinistra nel ridurre la spesa, esecutivi capaci di raggiungere vette di “risultati” verso i quali un Berlusca qualsiasi non si sarebbe mai spinto.
Ora sapete chi ringraziare quando vi chiudono l’ospedale di paese e un familiare vi rimane secco sull’ambulanza che deve percorrere 50 km per raggiungere il nosocomio attrezzato più vicino.
Un’altra medaglia d’oro di efficienza l’Italia se l’appunta al petto in tema di disciplina bancaria. Le norme sul bail-in (quella cosa per cui anche gli obbligazionisti e i correntisti a certe condizioni partecipano alle perdite bancarie) dovevano infatti entrare in vigore il 01 Gennaio 2016. È stato il governo Renzi, con un apposito decreto legge, ad anticipare di 39 giorni l’applicazione della disciplina comunitaria. I crucchi e i criticoni nostrani non ci vengano a dire che noi i “compiti a casa” non li facciamo: il decreto n. 183 porta la data del 22 Novembre 2015. Andate a controllare: era domenica. E poi si dice che gli italiani non lavorano… (peccato che qualche migliaio di persone abbia scoperto all’indomani di aver perso tutti i propri risparmi, ma che vuoi che sia).
IL LIBRO “NON CON I MIEI SOLDI”
Si tratta, tutto compreso, di 144 pagine. Molto godibili, ben scritte e rese comprensibili anche a chi di economia non ne mastica. Tanti gli esempi “a prova di tonto” disseminati nel testo: non si può dire che gli autori si siano risparmiati nell’intento di rendere accessibili argomenti solitamente raccontati con prolissità e tecnicismi. I 13 capitoli scorrono via con velocità e sviluppano bene le linee di fondo che dominano la finanza oggi e che portano a certe conseguenze (i soldi come fine e non come mezzo).
Bene, ma fino ad un certo punto. Gli autori proprio non ce la fanno a pronunciare la parolina di quattro lettere “euro” nelle 144 pagine di testo, inquadrandola quale arma/strumento/portaerei di quella finanza rapace che tanti danni produce. Un peccato. Eppure c’era l’intero capitolo 8 (dedicato alla crisi, all’Europa mercantile e diseguale, all’esperienza greca) per farlo. Niente: spazio al TTIP, ai Capital Market Unions ma non una frase su come certi disegni politici distruttivi lavorino avvalendosi di specifici strumenti “tecnici”. Uno dei principali strumenti tecnici si chiama euro, come è pacifico da anni per la letteratura scientifica. I nostri ottimi quattro autori o se ne scordano (grave ma capita) o lo ignorano (grave) o lo omettono di proposito (gravissimo). I loro lettori, pur più preparati dopo la lettura, rischiano di rimanere allo stadio mentale della “finanzaspeculativabrutta” e di continuare a difendere l’euro che tanto ha aiutato la barchetta Italia (e i loro stipendi) nel procelloso mare magnum dei mercati. Come no?