Perché la spesa pubblica non va demonizzata e perché senza nazione non esiste la tutela dei diritti di cui ci si riempie la bocca. Toccando aerei, sanità e Costituzione.
Questa volta parliamo di spesa pubblica e patriottismo. Un connubio che sa di democrazia, se solo si scavasse sotto la superficie della vulgata generale.
Partiamo dalla spesa pubblica che, come quasi tutti quelli che hanno studiato un filo di economia sanno, è un contributore positivo del PIL (se si spende di più, il PIL aumenta; se si spende di meno, il PIL scende). Una roba che ti insegnano come primo rudimento di macroeconomia con questa equivalenza Y = C + I + G + (X-M), dove:
Y = prodotto interno lordo (PIL);
C = consumi finali;
I = investimenti;
G = spesa dello stato;
X = esportazioni;
M = importazioni.
Ma la spesa pubblica, ci dicono da 40 anni, è brutta (per inciso, l’improduttivo forestale calabrese con il suo stipendio pubblico comprava la Panda prodotta in Italia da un operaio italiano ed entrambi erano efficacemente tassati alla fonte, così come era tassato il reddito dell’impresa automobilistica torinese che le Panda produceva). Caro lettore, sappi che se sei a favore della riduzione della spesa pubblica, sei a favore dell’austerità. E, se sei austero, forse sei uno che può campare di rendita (ma per quanto?). Qualora non lo fossi, vuol dire che sei solo fesso.
Qui sotto uno che può campare di rendita, per inciso governatore della Banca d’Italia: Ignazio Visco da Napoli. Può permettersi di sconfessare un secolo di scienza economica con una frasetta del genere:
Parce sepulto, è solo questione di tempo.
Arriva poi un patriota da novanta, uno che credeva che, con la sola imposizione del capitale privato, si potesse fare molto per la principale compagnia aerea nazionale:
Come è andata a finire e quanto salvifica sia stata la gestione privata ai fini occupazionali, lo sappiamo tutti. “Ma l’Unione Europea vieta gli aiuti di Stato”, si dirà. Con questo ragionamento da liberisti che non sanno di esserlo (per la serie: ho introiettato le categorie analitiche del nemico), teniamoci i disoccupati, allora. O meglio: vendiamo a spezzatino delle competenze lavorative e tecnologiche che abbiamo impiegato decenni a costruire con fior di investimenti pubblici (aeroporti, sistemi di gestione e navigazione, manutenzione, costruzione). Tutti contenti?
Ma non finisce qui. Ci sono molte risorse da estrarre dal pubblico. In particolare nei settori scuola (paghi per studiare in scuole decenti), pensioni (ti do uno schifo di pensione affinché tu sia stimolato a pagarti la rendita pensionistica privata durante la vita lavorativa), sanità. Su quest’ultimo punto, notate bene a che livello si sia arrivati dal tweet qui sotto: se sei malato, perché insisti a curarti e ti rivolgi al servizio sanitario pubblico?
Arriva poi uno dei nostri eroi (leggi qui), che ti dice papale papale che «la salute è un bene troppo prezioso per lasciarlo in mano solo ai medici». Cosa? Eh sì, ci vuole il contributo degli economisti per trovare nuove fonti di finanziamento: se vuoi vivere, paga amico caro.
Tutto questo, per totale subalternità culturale e mancanza di amor di patria. Sì, la patria, la nazione. Quel concetto secondo molti così “fascista”, antico, foriero di conflitti che ci invitano ad abbandonare… per fare cosa? Per inventarci una patria/nazione più grande, come fanno questi qui sotto. Astenersi dai commenti perché la logica è morta da tempo:
Vai poi a spiegare a quelli che “nazionebbrutta” che le Costituzioni sono una costruzione giuridica eminentemente nazionale e che, al di fuori di uno spazio nazionale costituzionalmente garantito, esiste l’impero (che Costituzioni, ohibò, non ne ha).
Del resto la supernazione europea ci protegge, generando questi risultati sulla nazione italiana:
P.S. Su Popolare Vicenza e Veneto Banca inutile esprimersi. In un articolo di Vorrei del 24 Aprile c’era già un “tenetevi forte, perché da Popolare Vicenza e Veneto Banca arriveranno prossimamente soddisfazioni sotto forma di bail-in”. Sappiate che ora tocca a Carige.