Dai Coen a Jacques Audiard, la rassegna cinematografica dell'estate monzese approfitta del ferragosto per dare il meglio di sè.
Per chi è costretto a rimanere in città, quella di ferragosto è una di quelle settimane che si dimenticano volentieri. A fornire una qualche consolazione in questo scorcio d’estate brianzola è però l’ormai familiare rassegna Cinema sotto le Stelle, che si riscatta dal basso profilo dell’ultimo appuntamento con una serie di titoli di tutto rispetto.
Per cominciare, non si storca il naso dinanzi all’ultima fatica del buon Roland Emmerich. 2012 – programmato per venerdì - magari non sarà Godard, ma ormai nemmeno Godard è più Godard, e poi il regista tedesco ci mette del suo per fare di un catastrofico globalista qualcosa di più di uno spettacolone per famiglie. La crisi ambientale planetaria – scoperta dagli indiani e fronteggiata grazie alla collaborazione geografica dei cinesi – mette allo scoperto tanto il cinismo materiale dei rapporti di potere quanto la retorica un po’ beota dei buoni sentimenti, e il risultato punge più di quanto ci si possa aspettare. Certo, gli effetti speciali e il gibberish apocalittico non mancano, ma Emmerich gioca di sarcasmo e non si risparmia i colpi d’ala: dal bigotto presidente italiano che preferisce restare in Vaticano a pregare alla portaerei Kennedy che schiaccia il presidente degli Stati Uniti (un nero, of course). Insomma, c’è di che divertirsi e – volendo – anche di che riflettere. Dopo tutto, c’è sempre da imparare da come una civiltà immagina la propria fine.
Saltiamo dritti a martedì 17 agosto e a Michele Placido, in procinto di scandalizzare Venezia con il suo prossimo film su Vallanzasca. La nostra rassegna prevede invece la sua penultima fatica, Il grande sogno, che aveva fatto parlare di sé alla Mostra dell’anno passato. Ora, che Placido non sia un regista in punta di penna è senz’altro vero. Il suo film è fastidiosamente autobiografico, romano, incline al melò. Detto questo, ha comunque il merito di servirsi del periodo della contestazione come di una semplice ambientazione storica: come un western ambientato durante la Guerra Civile americana, Placido muove i suoi personaggi tra università occupate e dissidi ideologici senza curarsi di andare troppo a fondo, perché – detto papale papale – non è la Storia che gli interessa. Il che è qualcosa di perfettamente legittimo, ma - oggi, in Italia e parlando di quegli anni - ancora problematico.
Mercoledì 18 sarà la volta di A Serious Man. I Coen hanno segnato questo decennio di storia del cinema, e il film con cui chiudono gli anni zero rappresenta probabilmente uno dei vertici della cinematografia americana contemporanea in generale. Beffardo, terribile e definitivo: un film difficile da prendere o da riassumere, ma percorso da una pregnanza tanto irresistibile da risultare perturbante. A fine pellicola vi chiederete cosa avete davvero visto.
Di Invictus – in replica giovedì 19 - su queste pagine si è già parlato qui, in occasione del suo primo passaggio estivo. Saltiamo quindi a venerdì 20 e chiudiamo la guida settimanale sull’ottima pellicola di Jacques Audiard, Il profeta. Rivelazione della passata stagione cinematografica francese, il film mostra la vitalità di un genere – il carcerario – che negli USA sembra ormai confinato nell’ambito dei prodotti seriali, e anche la vitalità del cinema d’oltralpe, in grado di combinare appetibilità commerciale e grande maturità linguistica in un’opera sorprendente.
La storia del giovane Malik – francese di origini arabe condannato a sei anni in un carcere diviso tra còrsi e musulmani – incrocia Bildungsroman e crime story, sullo sfondo di discorsi complessi. Identità e appartenenza culturale, etnia e radici, nazione e clan: discorsi che attraversano la Francia di questi anni e che in Italia scontano un clamoroso ritardo culturale. Audiard non consola, ma si destreggia con uno stile tutt’altro che ministeriale: per chi se lo fosse perso in sala, il recupero è d’obbligo.