Giovane, ma già con esperienza da vendere. Abbiamo intervistato lo scrittore di Meda, conduttore radiofonico ed esperto di musica, ma soprattutto romanziere e autore di poesie
C
lasse '85, anche se le esperienze non gli mancano: conduttore radiofonico, critico musicale, professore di italiano. Soprattutto, però, scrittore. Antonio Oleari, ventisettenne di Meda laureato in Lettere Moderne, è un giovane autore che è riuscito a trasformare i propri sogni nella principale attività della sua vita, dalle collaborazioni stabili con le riviste musicali Jam e Il Mucchio alla pubblicazione di libri di argomento musicale, romanzi e poesie. Per Aereostella editore ha pubblicato Un viaggio lungo 40 anni - Senza orario senza bandiera (2008), Demetrio Stratos, gioia e rivoluzione di una voce (2009) e il romanzo Destinazione Isola di Wight (2010); per Edizioni Liberidiscrivere la raccolta di poesie Guerre Bianche (2012).I tuoi interessi sono la scrittura e la musica: quale prevale di più?
Fino a qualche tempo fa la bilancia era in pari. Ora, se devo essere sincero, vince la scrittura. Ho scritto e scrivo ancora di musica, ho fatto radio per tanti anni, ma se mi dici cosa terrò in mano il giorno in cui sarò davanti a San Pietro ecco, sarà un libro. Probabilmente di Italo Calvino.
E' stata la tua passione musicale a spingerti a scrivere? E' venuta prima l'attività "militante" o la spinta narrativa/poetica?
Diciamo che ho iniziato a pubblicare proprio grazie alla musica. Nel 2008 la casa editrice Aereostella di Milano accettò la proposta di uno sconosciuto studente ventitreenne che, a partire dalla sua tesi di laurea triennale, voleva raccontare cosa aveva unito, nell’anno di grazia 1968, quattro nomi grossi come Fabrizio De André, Riccardo Mannerini, Gianpiero Reverberi e i New Trolls. Da lì, nolente, sono diventato scrittore, e tutto è venuto poi. Eppure non ho mai scritto solo di musica.
Qual è l'approccio con cui cerchi di raccontare la musica? Cosa c'è da raccontare, della musica?
Il più narrativo possibile. Non mi sono mai sentito un critico musicale o cose del genere, quelli veri sono altri. Ho sempre pensato che la musica fosse un conduttore di storie, di passioni, di vite trasformate, di società messe sotto sopra. Mi chiedi cosa c’è da raccontare, della musica. Tutto e niente. Se, come diceva Frank Zappa, “scrivere di musica è come ballare di architettura” allora cerchiamo di ballare con stile, magari inventando qualche nuovo passo. La musica va ascoltata, prima di tutto. Il mio ultimo libro uscito a ottobre racconta la storia dietro il primo disco della Premiata Forneria Marconi, un lavoro fondamentale per il rock italiano per mille e una ragioni. Nella prima stesura era di quasi trecento pagine, poi l’abbiamo ridotto a 128. Perché? Perché ci vuole il senso della misura, la capacità di appassionare senza stancare. Chi legge, una volta chiuso il libro, dovrebbe correre a comprare il disco. Non tentare il suicido.
Nella tua narrativa quanto è forte la traccia della tua passione musicale? E in che modo agisce, se c'è?
C’è eccome. In Destinazione isola di Wight, per esempio, la musica è la strada su cui un giovane ragazzo che ha 18 anni nel 1970 si trova a camminare con lo scopo, non voluto, di rivoltare la sua vita come un calzino. Ma in generale la musica è spesso l’unico alfabeto con cui comunicare. L’altro giorno stavo descrivendo una scena: immaginavo di camminare sopra un marciapiede, verso sera, un giugno di due anni fa. E il mio animo, in quel preciso momento, era come il suono di organetto in una canzone di un gruppo inglese che stavo ascoltando. Era proprio così e in nessun’altro modo. Punto. E l’ho scritto. I suoni, inafferrabili per natura, sono come i pensieri. L’uno aiuta l’altro.
Hai pubblicato anche poesia. Da cosa ti vengono i versi e che cosa ci vuoi esprimere?
I versi vengono da me. Ed è me che vogliono esprimere. La poesia è puro egoismo, puro soggetto. Sono il piedistallo con cui ci rendiamo visibili ai nostri stessi occhi. Sono ciò che scelgo per curarmi. La poesia siamo sempre noi, sia che stiamo impazzendo d’amore sia che guardiamo una catena di monti o un signora che scola la pasta.
Come è stato accolto il tuo primo libro di poesie?
Benissimo. Alla fine della presentazione che ho fatto qui da me, nell’auditorium della biblioteca di Meda, qualcuno ha urlato: “Bravo! Non ho capito niente ma… bravo!” Vedi? Non importa che la poesia si capisca, deve lasciare qualcosa, smuovere i sentimenti, siano anche di odio verso uno che sbrodola parole sopra una pagina bianca. E il dubbio è prezioso in ogni caso. Una stanza vuota non costa fatica a riordinarla, ma resta vuota.
Antonio Oleari durante la presentazione di un suo libro
Il tuo impegno in radio influisce o ha influito sulla scrittura?
Sulla scrittura in senso stretto no, quasi per nulla. La radio è stata un contenitore pieno di storie, di amicizie, di musica fatta arrivare lì proprio dove voleva arrivare. Ma è qualcosa che non è ancora entrato a pieno nella mia scrittura. Ha comunque influito: la radio mi ha permesso di avere le conoscenze giuste per arrivare davanti alla scrivania giusta, propormi, farmi pubblicare. Un compito fin troppo pratico, ma fondamentale.
Hai sperimentato diversi generi letterari (biografia, saggio, narrativa, poesia): in quale sei davvero te stesso? Quale opera ti può rappresentare meglio come scrittore?
Credo la poesia. Ma è pur vero che in uno scrittore non può esserci solo lirismo. Conta soprattutto chi ti legge e quello che vuole leggere. Costruire storie e riuscire a raccontarle nel migliore dei modi è quello che mi sta più a cuore, indipendentemente dal genere: una biografia o un romanzo non sono distanti, se li guardi con gli stessi occhi. Dentro, e non fuori da questo pensiero, c’è anche lo stile: scegliere un verbo al posto di un altro non dovrebbe essere un vezzo, ma il passaggio indispensabile senza il quale una vita non potrebbe essere raccontata allo stesso modo.
Dal tuo punto di vista, la scrittura è un lavoro con cui pensare di potersi mantenere?
Certo, la scrittura è un lavoro con cui pensare di potersi mantenere. Per poi riaprire gli occhi, smettere di sognare, e andare a lavorare.
Hai superato ormai il confine tra esordiente e scrittore "riconosciuto". Che differenze hai incontrato nell'approccio degli editori nei confronti delle tue opere?
Nessuna in particolare. L’editoria è il labirinto di Dedalo. Più ti ostini, più non ne esci. L’unico modo è, se possibile, volarci sopra. L’importante è che le ali non siano di cera.
Leggi altri scrittori brianzoli? Come li trovi?
Ho visto che per la rubrica “Scrivere in Brianza” avete intervistato anche Stefania Brambilla. Pensa, è stata la mia professoressa di italiano al liceo. E ora è una cara amica. Ha scritto un bellissimo libro che si intitola Tu sei gialla. Stefania, quand’è che ci mettiamo a fare qualcosa insieme? Una di queste sere ti chiamo, promesso…
Per approfondire la conoscenza di Antonio Oleari, si può visitare il suo blog: scriveresenzaorario.blogspot.it