Una replica del direttore all'intervento di Roberto Rampi sul bonus cultura: «Preferisco cittadini consapevoli ai consumatori»
Caro Roberto
ti ringrazio per aver scelto Vorrei per pubblicare le tue pacate riflessioni su quella che tu stesso chiami “iniziativa per i consumi culturali”, ovvero i 500 euro che il Governo presieduto dal tuo segretario di partito ha deciso di elargire a coloro che nell’anno prossimo raggiungeranno la maggiore età.
Voglio però aggiungere le mie personali riflessioni rispetto all’operazione, a partire dalle parole che vengono utilizzate per lanciarla. Trovo un abominio parlare di consumo culturale, in qualsiasi situazione e contesto lo si faccia, figuriamoci quando si parla della formazione dei giovani italiani. Non perché sia sbagliato parlare di costi, investimenti, remunerazione quando si parla di lavoro culturale, anzi. Ma perché consumo culturale è barbarie molto prossima a La cultura è il petrolio dell’Italia. Usata e abusata in questi anni da chi ragiona sempre e solo in termini di speculazione, profitto, sghei. Da chi non considera cioè la cultura, la formazione e l’arte strumenti per rendere le persone consapevoli, capaci di scegliere e determinare il proprio destino. Per costoro, per i paladini della “valorizzazione dei beni culturali”, valore significa prezzo, utili, incassi. Mercato, consumo appunto.
Consumo culturale è barbarie molto prossima a La cultura è il petrolio dell’Italia.
A questa schiera pensavo tu non appartenessi: fui felice quando facesti tua la mia metafora alternativa al petrolio, quella del coltivatore: preparare il campo, seminare, avere cura, attendere i frutti, goderne. Ben altra cosa dallo sfruttamento dei giacimenti.
Chi compra un libro, un disco, un film (o li prende in prestito in biblioteca) non li consuma, perché al contrario di un panino o di un paio di scarpe, non è merce e basta: sono nutrimenti che sopravvivono alla fruizione. Sono moltiplicatori di energie, non sostanze destinate ad essere digerite, consumate ed espulse.
Non è questione di lana caprina: abituare i ragazzi al valore, invece che al prezzo, sarebbe – a mio modesto parere – operazione assai più preziosa che abituarli a spendere.
E qui arriva la seconda perplessità. In un contesto in cui tutto è sullo stesso piano, la canzonetta ruffiana e la musica di ricerca, il polpettone agiografico televisivo e i film coraggiosi di autori meravigliosamente contro corrente, i libri di Fabio Volo e quelli di Mari, l’intrattenimento e la cultura… è giusto che il Governo, quindi lo Stato, si sottragga alle responsabilità e — esattamente come il gestore di un centro commerciale — lasci al mercato stabilire quale brand debba alla fine beneficiare di più di questo regalo di stato?
Ancora una volta ci ritroviamo a fare i conti con l’ideologia più forte di sempre: produci, consuma, crepa.
Il dio mercato. Ancora una volta siamo lì. Ancora una volta ci ritroviamo a fare i conti con l’ideologia più forte di sempre: produci, consuma, crepa. Personalmente avrei apprezzato molto di più una iniziativa per la consapevolezza culturale: qualcosa che aiuti i ragazzi a saper distinguere fra la spazzatura fatta per essere consumata e la cultura. A diventare cittadini prima che consumatori.
Per non tirarla troppo per le lunghe, chiudo con una terza perplessità (ma ce ne sarebbero molte altre). Ogni viaggio, anche il giro del mondo, comincia con un passo. Questo si dice per ricordarci che meglio poco che nulla. Quando tu parli dell’inversione di tendenza rispetto ai vergognosi tagli a cui la cultura e la scuola sono stati sottoposti negli ultimi lustri, non possiamo che essere contenti. Si spera che sia, appunto, quel primo passo di un lungo cammino che porti L’Italia — tanto per capirci — nelle prime posizioni delle classifiche Ocse per gli investimenti (per me tutta l’istruzione e tutta la cultura è un investimento, non un costo) e non in quelle tristissime in cui siamo precipitati. Bene, facciamo allora che quando la cura sarà qualcosa di più di una carezza data ad un moribondo ne riparliamo. Altrimenti continuiamo a raccontarcela con la storiella del paese con il 50-60-70% del patrimonio culturale mondiale (quante idiozie si devono sentire e leggere) mentre nella realtà destina per quel settore meno della metà di quanto spende la Francia.
Caro Antonio,
nello scritto che hai gentilmente ospitato rispondo ad alcune delle tue perplessità, soprattutto su chi deve decidere e come cosa è cultura e cosa no. Non lo Stato a mio parere. Sarebbe pericolosissimo e lo è stato dove è successo. Ma nemmeno il mercato, e infatti io non ho sostenuto quanto tu "mi rimproveri". Ma la libertà delle coscienze e della scoperta. In quanto ai consumi e al consumarsi. Se c'è qualcosa che con l'uso non si consuma è la cultura. Io ho combattuto e combatto l'idea del petrolio, il modello del giacimento. Ma con questa misura non c'entra nulla. Qui il tema non è affidarsi al mercato ma anzi provare ad orientarlo. Non vedo il contrasto tra un lavoro per avere cittadini consapevoli che, anzi sono anche, ma non solo, consumatori consapevoli. La scommessa è tutta sulla forza che i contenuti culturali e gli operatori culturali possono mettere in gioco. Né lo Stato dirigista né il Mercato.
No, lo Stato non deve decidere cosa è cultura e cosa non lo è. Non ho certo in mente nessun minculpop. Però dovrebbe mettere i suoi cittadini nelle condizioni di poter scegliere, dotandoli degli strumenti culturali per farlo. Veniamo da trent'anni di spazzatura televisiva che ci ha bruciato le papille gustative, spaccato i timpani e fottuto le retine: non siamo più capaci di distinguere la merda dalla cioccolta. Vogliamo lavorare sui tempi lunghi o vogliamo continuare a fare gli stagionali?
Illustrazione di Franco Matticchio