Nel libro di Elisabetta Motta, arte, poesia e critica letteraria propongono un percorso di riflessione sul tema del nostro rapporto col mondo animale.
Gli occhi verdi e lo sguardo corrucciato, offeso, di un leopardo al riparo inopinato di un ombrello ci interrogano da una copertina in bianco e nero: pulita, elegante, intensa, come l’agile libretto al quale fa da presentazione e invito, insieme al titolo che rimanda alla forma classica, latina, del saggio filosofico, col suo semplice e rigoroso complemento d’argomento, e al sottotitolo, che, citando i bestiari medievali, rimanda alla lunga storia dell’assunzione del mondo animale in quello dei simboli e dell’immaginario.
E’ un libro ricchissimo di riferimenti letterari, filosofici e naturalistici, dedicato ad un poeta che ha privilegiato come oggetto della sua riflessione, sempre centrata sul rapporto tra il bene e il male, non solo la violenza della Storia, ma anche il “teatro naturale”, come recita il titolo di una sua raccolta: un teatro in cui la sua attenzione va in modo ricorrente al mondo degli animali, alla loro natura, alla loro irriducibile alterità, e al nostro rapporto con essi.
Il poeta è Giampiero Neri: brianzolo per nascita, milanese di adozione, oggi novantunenne, ha iniziato nella maturità una ricca produzione poetica che gli ha guadagnato apprezzamento e interesse via via crescenti, tanto che un Fondo Giampiero Neri presso l’Università Cattolica raccoglie oggi tutti i suoi testi e gli interventi critici che lo riguardano. La sua è una poesia che si interroga sul mondo che osserva, che riflette sulla sua problematicità: per lui “la poesia è una macchina per pensare”. Dal punto di vista formale, poi, la si può definire come “poesia in prosa”: “ Ho tenuto lo stesso linguaggio che uso con gli amici, con le persone , con chi mi interroga, con quelli a cui voglio dire qualcosa: non ho ritenuto necessario cambiarlo, non c’era nessun motivo”. Così ne parlava lo stesso Neri in occasione dell’incontro organizzato dal Circolo culturale Seregn de la memoria lo scorso 16 febbraio per presentare questo bel saggio insieme alla sua autrice, Elisabetta Motta, e all’autore delle illustrazioni, Luciano Ragozzino.
Di Elisabetta Motta, seregnese, insegnante e vicepresidente della Casa della Poesia di Monza, studiosa d’arte e di poesia con molte pubblicazioni al suo attivo, ho già parlato a proposito del suo precedente libro La poesia e il mistero (https://www.vorrei.org/culture/10398-elisabetta-motta-la-poesia-e-il-mistero.html). Le sue antologie tematiche, le sue interviste coi poeti, i suoi testi critici accompagnano i lettori nel mondo della poesia con una chiarezza esemplare, unendo allo spessore dei riferimenti e alla profondità delle analisi una semplicità di esposizione che le deriva da una frequentazione assidua e “affettuosa” sia dei poeti che della poesia: ed è grazie a questo “ studium” che i suoi libri, e questo in particolare, pubblicato nell’autunno scorso dalle edizioni “CartaCanta”, risultano di piacevolissima lettura.
Ancor più godibili sono resi, inoltre, dalle illustrazioni dell’incisore ed editore d’arte Luciano Ragozzino, col quale la Motta collabora anche per le pubblicazioni della di lui casa editrice “Il ragazzo innocuo”: ragazzo ironico, in verità, dato che questo nome è l’anagramma del suo! L’ironia, insieme all’amore per il mondo animale, ha accomunato il poeta e l’illustratore Ragozzino, racconta Elisabetta Motta, e le nove tavole a china che interpretano alcuni dei testi presentati in questo saggio ne sono una prova.
L’ironia, insieme all’amore per il mondo animale, ha accomunato il poeta e l’illustratore
Così, insieme, arte, poesia e critica letteraria ci accompagnano in una riflessione sul nostro rapporto con gli animali, che oggi appare sempre più problematico, divisi come siamo tra il loro sfruttamento sempre più intensivo e la distruzione dei loro habitat naturali da una parte, e dall’altra l’eccesso di cure “umanizzanti” che dedichiamo agli animali domestici, negandole magari ai nostri simili. L’amore per gli animali testimoniato da Neri e dallo stesso Ragozzino è interesse, ammirazione, osservazione attenta e rispettosa dei loro comportamenti, della loro ineliminabile alterità, del mistero che essi rappresentano per noi. E’ vero anche che è grazie al mondo animale che possiamo meglio comprendere la natura umana, come recita la frase del naturalista Buffon posta in esergo a questo saggio: o almeno è quello che tradizionalmente la letteratura, dalle classiche favole di Esopo ai bestiari medievali, alla poesia d’ogni tempo, ha sempre fatto, attribuendo significati morali ad alcune loro caratteristiche, usandoli come simboli e riversando poi nel linguaggio comune le mille metafore di cui ci serviamo per indicare i nostri comportamenti. Per i poeti, e per Giampiero Neri in particolare, “la natura è uno specchio”.
Così la natura degli animali acquista per noi anche significati opposti, come ricorda Elisabetta Motta a proposito degli uccelli: il loro canto appare in un testo di Giampiero Neri come esempio delle “forme di seduzione” con cui “la vita provvede ad allettarci”; in Baudelaire l’albatro “principe delle nuvole”, rappresenta la capacità di sollevarsi più in alto rispetto all’esistenza comune grazie alla grandezza della creazione artistica. Al contrario, nella tradizione, da Omero che parla del loro ”orrido mondo” a Dante, Virgilio, Pascoli, che li associano alle anime dei morti, ai preromantici coi loro lugubri uccelli notturni, l’immagine degli uccelli appare carica di significati oscuri e negativi. Duplici appaiono poi a Giampiero Neri le caratteristiche di alcune loro specie: dai rapaci, che alternano aggressività e remissività col passare dalla vita diurna a quella notturna, all’oca, così goffa sulla terra e così agile ed elegante quando “in acqua, per via delle sue zampe palmate, fila con eleganza/e in aria vola.” E aggiunge: “Anche l’oca domestica, dei cortili, delle aie, quando è il suo momento prende il volo. / Lei sa dove va. E noi?”
Il confronto tra noi e “loro”, gli animali nelle loro varie specie, è continuo, ed è spesso a loro favore
Il confronto tra noi e “loro”, gli animali nelle loro varie specie, è continuo, ed è spesso a loro favore: sebbene il poeta veda nella violenza della darwiniana lotta per l’esistenza un tratto comune e rilevante, trova però nel comportamento animale, anche quando adotta le trappole o i sotterfugi del mimetismo, quella fedeltà alla propria natura che l’uomo invece tradisce, capace com’è di perseguire anche il proprio male e di praticare una violenza indiscriminata, che è sconosciuta agli animali. E tuttavia è proprio l’osservazione della natura animale che lo induce a riflettere sul mistero del male: “Il lupo deve compiere quello che ai nostri occhi è male. Dunque il «male» è necessario, e questo è l’aspetto del mistero fra i più oscuri, che sia necessario”.
Nonostante questo continuo rispecchiarci negli animali, è la loro alterità l’argomento di maggior interesse di questo percorso poetico, soprattutto nei capitoli dedicati alle specie biologicamente più lontane da noi, come gli insetti: l’ interesse per il loro mondo, che Giampiero Neri condivide con Luciano Ragozzino, nelle cui tavole sono spessissimo presenti, è iniziato per il poeta dalla lettura dei dodici volumi dei Ricordi entomologici del naturalista Jean-Henri Fabre, che Darwin ebbe a definire “l’Omero degli insetti”. Come nel volo improvviso della cavalletta o dello scarabeo, essi appaiono inafferrabili e, pur costituendo la stragrande maggioranza delle specie esistenti, si sottraggono ancora in gran parte alla nostra conoscenza e comprensione: sorprendente è l’incredibile distruttività che insetti tanto leggeri come le locuste possono assumere in sciami, o l’altrettanto incredibile organizzazione collettiva delle termiti. Tuttavia, anche nei loro confronti è possibile una sorta di identificazione: basti pensare al Gregor Samsa di Kafka!
E’ anche a proposito di alcune specie di insetti che lo sforzo di stampo animalista che tenta di assimilare e avvicinare il più possibile alla nostra specie quelli che Giampiero Neri considera nostri “compagni di viaggio”, che si è cercato di indagare sull’esistenza di un linguaggio animale, considerando questa come manifestazione di una intelligenza affine alla nostra. Per quanto trovi indibitabile l’esistenza di una intuitività e di una affettività animale, che si manifestano nell’attaccamento e nella protezione o in quella sorta di “preveggenza del loro destino” evidente nelle grida del maiale destinato alla macellazione o nel guizzo della biscia per evitare il pescatore, il poeta liquida talvolta l’argomento con battute del tipo: “Non mi risulta che nessun animale abbia mai scritto l’Iliade o l’Odissea”. Sulla improbabile eventualità di una intelligenza animale, o sulla incommensurabile distanza dalla nostra, gioca l’immagine di Luciano Ragozzino ispirata dalla prosa poetica Pesce d’acqua dolce, sovrapponendo la testa e l’occhio del lavarello, che “ha la testa piccola di chi deve pensare poco” alla testa di Einstein.
Il linguaggio resta il principale discrimine tra noi e loro, e noi lo usiamo, biblicamente, per segnalare il nostro dominio sul loro mondo
Il linguaggio resta il principale discrimine tra noi e loro, e noi lo usiamo, biblicamente, per segnalare il nostro dominio sul loro mondo. Ma non possiamo fare a meno di restare turbati dal loro sguardo, tema, questo, caro ai poeti come Rilke e Baudelaire, ma anche a filosofi come Derrida e Cimatti: è questo uno dei capitoli più affascinanti del libro, che invoglia ad approfittare della ricca bibliografia utilizzata da Elisabetta Motta per continuare a riflettere su questo tema.
Il primo, nel libro “L’animale che dunque sono”, racconta della vergogna provata davanti allo sguardo della sua gatta che lo coglie mentre esce nudo dalla doccia, sguardo di fronte al quale sente incrinarsi la propria posizione antropocentrica, mentre il secondo, nel libro Filosofia dell’animalità propone la necessità, come dice Elisabetta Motta, “di definire la propria umanità a partire proprio dall’animalità che l’uomo incarna e con cui sembra aver perso ogni contatto”: non si tratta “di estendere i diritti umani agli animali”, ma di "ridefinire una nuova idea di animalità che ..riconosca tutti gli altri esseri viventi non solo come oggetti del nostro pensiero”
non si tratta “di estendere i diritti umani agli animali”, ma di ridefinire una nuova idea di animalità
Non sappiamo se ci sia “nella mente degli animali una parte mistica che non conosciamo, ma che qualche volta ci è dato di vedere per un momento nei loro occhi”. Sappiamo che potrebbe essere il contatto col loro sguardo a imporci un limite nella volontà di dominio che esercitiamo su di essi o nella mancanza di rispetto verso la loro natura. Della umiliazione di questa dietro le sbarre di uno zoo ha parlato Rilke nella poesia La pantera; a Giampiero Neri gli animali in gabbia appaiono come “un giocattolo rotto, che è stato smontato e che non è possibile ricostruire”, e però egli sa anche quanta energia compressa vi sia dietro la loro apparente passività. Lo testimonia raccontando del leopardo che, allo zoo di Como, gli si era avvicinato lentamente e che aveva reagito al suo improvvido gesto di passare tra le sbarre la punta dell’ombrello che portava con sé impadronendosene inesorabilmente. Meritatamente lo sguardo di questo animale è diventato il soggetto dell’illustrazione di copertina: non solo per la sua magnifica qualità estetica, ma perché riassume in sé, col suo carattere problematico, le tante questioni aperte affrontate in questo testo e ci spinge a interrogarci ancora sul nostro rapporto con gli animali: perché, come dice la sua autrice, “ se è vero che l’essenza dell’animale sempre sfugge, è anche vero che, quando l’uomo riesce ad intuirla nella dimensione dell’immaginazione e della poesia, allora si produce una straordinaria prossimità, il primo passo verso una nuova relazione..”