Intervista alla scrittrice e promotrice di #quellavoltache. Un bilancio del movimento, la scrittura femmina, la militanza social: «Non sono disposta a rinunciare all’illusione che le parole e la gentilezza possano cambiare il mondo»
Sugli scaffali delle librerie trovate Carolina Capria per i suoi libri per ragazzi, poiché questa è la sua professione: scrittrice. Ma buona parte delle sue energie Capria le dedica alla militanza per i diritti delle donne. Con una invidiabile — e per certi versi spaventosa — pazienza, risponde alle centinaia di commenti che i suoi post alimentano ogni giorno su Facebook: di donne che in lei riconoscono le proprie posizioni e di uomini che a volte no, proprio non ce la fanno a superare le proprie tare, i pregiudizi e quella tendenza a trovare giustificazioni anche lì dove non hanno alcun diritto di cittadinanza, come quando si parla di femminicidi.
È stata proprio questa sua forza d'animo, questa sua ostinata opera di dialogo a convincermi a intervistarla per i nostri lettori, a qualche mese di distanza dalla sua presentazione presso la libreria Virginia e Co. di Monza del volumetto della Manifesto libri che raccoglie le testimonianze di #quellavoltache.
Come sei diventata scrittrice e quando lo hai deciso?
Nel lontanissimo 2005 ho frequentato per due anni la Scuola Holden a Torino, quindi l’idea di lavorare nel mondo dei libri e più in generale in quello della scrittura, l’ho sempre avuta, non pensavo di scrivere libri. Ho iniziato facendo la sceneggiatrice e l’autrice televisiva e poi, quasi per caso, ho mandato il progetto di un romanzo per ragazzi a un concorso.
E da lì è cominciato tutto. Da lì non ho più smesso.
Perché scrivi per i ragazzi?
Me lo chiedo anche io, nel senso che più volte mi sono domandata come mai alla mia porta non vengano mai a bussare personaggi adulti. Una risposta non ce l’ho, ma penso che l’infanzia e l’adolescenza siano le fasi più ricche della vita, quelle dove si impara, dove ci si forma, quelle delle tragedie e delle grandi speranze, e mi piace provare a raccontarle.
Negli ultimi mesi sono stati pubblicati molti libri dedicati a ragazze ribelli, eccezionali, di successo, con i numeri, cattive audaci creative, invisibili, senza nome, alla conquista del mondo… È una questione di sensibilità verso il tema o verso una nuova fetta di mercato?
Credo sia un circolo virtuoso, per una buona volta. Si è acuita e diffusa la sensibilità sul tema, il mercato se ne è accorto, ha individuato un target e ora se lo sta coccolando (a volte soffocandolo). Questo, io spero e credo, permetterà ad alcuni argomenti di diventare sempre più sentiti.
La missione di L’ha scritto una femmina è combattere il pregiudizio secondo cui i libri scritti da femmine sono destinati alle femmine. I dati Istat dicono che tutti i libri sono destinati soprattutto alle femmine, visto che la maggioranza dei lettori è di sesso femminile. Scorrendo i post mi sembra di poter dire che anche le repliche e i commenti sono soprattutto di femmine. A che punto è il dialogo con i maschi?
In un libro molto chiacchierato uscito quest’anno che si intitola “Perché non sono femminista”, Jessa Crispin scrive che gli uomini hanno tutti i mezzi e le opportunità per farsi delle domande e per capire a che punto sta il mondo, e che non è compito delle donne stringer loro la mano e accompagnarli o costringerli a intraprendere un percorso. Io in parte sono d’accordo. Vorrei gli uomini accanto in questa battaglia, e vorrei fossero alleati, ma il primo passo devono farlo loro, e ciascuno ha le capacità per farlo. Tutto questo per dirti che io in questo momento sono molto più interessata a vedere come le donne stanno scoprendosi compagne, come creano sodalizi, come imparano a sostenersi e a difendersi. Gli uomini sono e saranno sempre benvenuti, ma hanno da fare un bel lavoro su loro stessi (sul modo a cui sono abituati a pensare) e devono iniziare a farlo da soli, devono averne la voglia e l’esigenza.
Gli uomini sono e saranno sempre benvenuti, ma hanno da fare un bel lavoro su loro stessi (sul modo a cui sono abituati a pensare) e devono iniziare a farlo da soli, devono averne la voglia e l’esigenza.
Hai una pazienza infinita nel rispondere ai commenti nel tuo profilo personale così come a quelli della pagina. Anche quando l’interlocutore non sembra in alcun modo disposto a mettere in discussione il suo punto di vista, le sue convinzioni. Non hai mai la sensazione che sia fatica sprecata?
Certo che lo penso. Ma non sono disposta a rinunciare all’illusione che le parole e la gentilezza possano cambiare il mondo.
Esiste una differenza fra scrittura maschile e scrittura femminile?
Ti stupirò, ma la risposta è sì. Io credo che differenze possano essercene, non sempre, non per forza, ma è possibile. Queste differenze, però, non riguardano i temi (quelle sciocchezze per cui le donne sono più brave degli uomini a parlare di sentimenti, per esempio) ma lo sguardo. Può capitare che una donna abbia uno sguardo diverso da quello di un uomo, e che di conseguenza racconti le cose che preferisce guardandole attraverso la propria personalissima lente.
A più di un anno dalla nascita di #quellavoltache proviamo a fare un bilancio?
Per quanto mi riguarda più positivo di così non potrebbe essere. Il giorno in cui è stato lanciato nessuna avrebbe mai creduto che centinaia di persone avrebbero deciso di rilanciarlo e, soprattutto, di rendere pubbliche le proprie storie. I cambiamenti sono lenti, non avvengono da un giorno all’altro, ma tante donne (e uomini) hanno raccontato avvenimenti dolorosi sepolti dalla vergogna e dal dolore, si sono sentiti protetti. Per me questo è un successo, non saprei come altro definirlo.
Quanto conta, nel bene e nel male, la personificazione di campagne come #quellavoltache e #metoo? L’associazione con persone/personaggi complessi come Asia Argento rinforza o indebolisce?
#metoo e #quellavoltache sono campagne nate per sostenere delle persone, ma non sono quelle persone, non avrebbe senso. #metoo e #quellavoltache sono io, sono le mie amiche, sono tutte le donne che hanno parlato, che hanno scritto due righe. #metoo non è Asia Argento, ma la moltitudine che si è stretta attorno a lei (e che lo rifarebbe domani), il paracadute che si è aperto quando stava cadendo.
Un aspetto che mi spaventa è che tante delle vittime avevano già denunciato alle forze dell’ordine quelli che poi sono diventati i loro carnefici. È terribile perché potrebbe far pensare che non ci sia nulla da fare, che nulla possa salvare se non la resa. Così come terribile è constatare che — ancora — c’è chi “giustifica” questi omicidi.
Tutto drammaticamente vero, non posso aggiungere molto. Spesso sono proprio le persone attorno alla donna maltrattata e abusata a consigliarle di scegliere la pazienza e di sopportare. Ma la società siamo tutti, e ognuno di noi è chiamato (obbligato) a esporsi, a prendere posizione, a non limitarsi agli slogan, ma a provare a cambiare qualcosa, a dare l’esempio, a tenere gli occhi aperti.
Ognuno di noi può fare tantissimo, stando attento al linguaggio, alle battute, concedendo alla voce delle donne la stessa autorevolezza che in automatico attribuiamo a quella degli uomini.
Quali iniziative, azioni, leggi mancano per invertire nettamente la rotta?
Non vorrei sembrare pessimista, ma la rotta non si potrà mai invertire in modo repentino. Ci serve tempo, tanto tempo. Devono cambiare gli schemi mentali che abitano la nostra mente da generazioni, non possiamo pensare che le cose avverranno in pochi anni.
Però, però c’è un però. Ognuno di noi può fare tantissimo, stando attento al linguaggio, alle battute, concedendo alla voce delle donne la stessa autorevolezza che in automatico attribuiamo a quella degli uomini. Ascoltando e leggendo quello che le donne hanno da dire, per esempio.