La denuncia di Asia Argento, gli hashtag #meetoo e #quellavoltache che ora è anche un piccolo volume edito da manifestolibri. Un lungo cammino dove non bisogna fare nessun passo indietro
Quella volta che ero un ragazzino di quasi 16 anni e mettevo soldi da parte per comprare dischi dall’unico negozio del mio paese. Era il 1983 e Bennato aveva pubblicato È arrivato un bastimento. Edoardo allora era un mio mito, per 13.500 lire portai a casa quella inedita accoppiata, un LP e un Mix in una sola copertina, in cui il musicista napoletano dopo aver ripreso la favola di Pinocchio in Burattino senza fili e quella di Peter Pan in Sono solo canzonette, riprendeva Il pifferaio magico. Con una produzione da superstar, erano anni in cui Bennato vendeva milioni veri di copie, le 12 tracce del disco variavano in maniera fantastica da un genere all’altro: hard rock, dub, reggae, lirica, blues. Tutto insieme e con suoni straordinari ancora oggi. C’era anche una ballata, una normalissima, classica canzone voce e chitarra come le tante dei suoi primi album. Una ragazza il titolo, ma al contrario di quello che si potrebbe facilmente pensare, non era una canzone d’amore: «Andare sola per la città e non c'è niente di male / ma una ragazza chissà perché questo non lo può fare / È un incantesimo strano, che la colpisce da sempre / mentre il Duemila, non è più tanto lontano». Con un linguaggio molto molto semplice, Bennato parlava dell’autodeterminazione delle donne, della loro libertà di andare per la propria strada, in senso letterale e metaforico, senza dover correre il rischio di incontri pericolosi ma soprattutto delle maldicenze.
Di anni ne sono passati trentacinque, il costume, il linguaggio, la moda hanno avuto tutto il tempo di evolversi, fare lunghi giri, tornare sui propri passi, ma quella canzone ancora oggi ha un suo perché.
Lo sapete tutti cosa è successo negli ultimi mesi: nell’ottobre del 2017 Asia Argento svela di essere stata violentata venti anni prima dal potentissimo produttore americano Harvey Weinstein, nel giro di pochi giorni in tutto il mondo altre donne — non solo attrici — fanno quel terribile coming out svelando un lungo elenco di violenze e soprusi, trovano finalmente la rabbia, il coraggio di raccontare quanto subìto. Nasce un vero e proprio movimento, senza una bandiera ma con un hashtag: #metoo, anche io. In Italia questo succede anche più velocemente, già il 12 ottobre nasce #quellavoltache, che come una valanga rotola giù dal crinale del silenzio e dà la forza a migliaia di donne per raccontare episodi vissuti in prima persona. Sembra avverarsi il finale della canzone di Bennato: «Sola per strada col suo sorriso / e chi può farle del male / se ci saranno mille ragazze che la vorranno imitare».
Oggi è presto per dire dove porterà questa onda, se andrà a spegnersi sulle rive dell’indifferenza o se, come speriamo, riuscirà ad abbattere le dighe di omertà e di connivenza che favoriscono il malefico perpetrarsi delle violenze e delle prevaricazioni di cui le donne sono così spesso vittime. Di certo possiamo già dire quanto evidente sia il ritardo culturale in cui versa non solo il nostro Paese, ma in particolare il nostro Paese. L’orrendo carosello di opinionisti televisivi e da social scatenato altrettanto velocemente di #metoo e #quellavoltache in cui questi mostri di cinismo hanno fatto a gara nel trovare giustificazioni («se l’è cercata», «si sa che chi vuol fare quel mestiere», «con la vita che fa»), mostrando una volta di più quanto sia profondamente culturale il problema: un maschilismo da barzelletta sulla preistoria che — va detto — colpisce indifferentemente maschi e femmine. Sono state e sono infatti anche molte donne a dare addosso all’Argento e alle altre, con quella volgarità e cattiveria che una volta era riservata al pettegolezzo da stanza chiusa, ma che oggi è sguaiatamente social, in questa era cupa per il freno inibitorio in cui ognuno si sente in dovere di giudicare con linguaggio da camallo tutto e tutti, apertamente e in maniera virulenta, più che virale. Una solidarietà all’incontrario che ha palesato quanto siamo beceri dentro.
Carolina Capria, Raffaella Musicò e Manuela Piemonte
Ne usciremo mai? Guariremo da questa malattia? Come possiamo curarci? Di sicuro ci vorrà molto tempo, perché costruire qualcosa di positivo è sempre un processo lungo e faticoso. Di sicuro sono molto utili iniziative come il libretto pubblicato da manifestolibri, titolato proprio #quellavoltache. Storie di molestie, raccoglie una piccola selezione delle testimonianze pubblicate online in questi mesi (i proventi sono devoluti alla Casa internazionale delle donne). Suddivise in cinque capitoli — al lavoro, al provino, un estraneo, una persona di fiducia, ovunque — sono un viaggio nell’orrore nascosto nella quotidianità. Storie che a ognuno di noi sembra di aver già sentito, in cui i mostri agiscono troppo spesso beneficiando dell’immunità data loro dal potere, dall’età, dal ruolo famigliare.
È un piccolo strumento, potrebbe dare l’esempio — quanto sono importanti gli esempi in quest’epoca di chiacchiere e sermoni! — a tante altre altre vittime per venire allo scoperto con forza e coraggio e determinazione. Non bisogna più lasciar passare nulla. Questo dicevano alcuni giorni fa alla presentazione del libro presso la libreria monzese Virginia & co. Raffaella Musicò, Manuela Piemonte (una delle curatrici) e la scrittrice Carolina Capria. Nelle storie di molestia come in quelle di prevaricazione, non bisogna più lasciar passare nulla, non bisogna fare nessun passo indietro perché per un libro meritorio come questo, ogni minuto ci sono mille messaggi che vanno in senso opposto, con il corpo delle donne trattato come una merce, la loro preparazione mortificata, i loro diritti ignorati.
È un lavoro lungo, difficile. Ma come si dice, anche il giro del mondo comincia con un singolo passo: forse quel passo è un hashtag, forse è un piccolo libro, forse è la denuncia di Asia Argento, forse è una vecchia canzone di Bennato.
La foto di apertura è tratta da jffc.in