Vorrei è nata perché nella città di Monza c’era bisogno di «qualche spazio di riflessione e di confronto in più»
Mi riferisco, ovviamente, alla direzione di Vorrei, che Antonio Cornacchia lascia dopo aver corso brillantemente la prima, lunga frazione. Il miglior ringraziamento per la sua corsa consisterebbe nel raccogliere il testimone.
Certe corse finiscono, anche gloriosamente, ma finiscono. Se l’obiettivo è raggiunto, o se se ne pongono altri.
Come ci ricorda Antonio nel suo congedo, Vorrei è nata perché nella città di Monza c’era bisogno di «qualche spazio di riflessione e di confronto in più». E di «una narrazione della città stessa… capace di affrontare con decisione il suo presente e il suo futuro». Ebbene, e lo cito ancora, «quelle necessità valgono oggi forse più di allora, anche se di testate ne sono nate tante altre».
Certo, questa constatazione potrebbe indurre al pessimismo, al «non c’è speranza». E in effetti il compito di rendere Monza un po’ più sveglia, più auto-consapevole, meno chiusa in se stessa e quasi soddisfatta di esserlo, appare arduo. Non solo perché la cronaca prevale ampiamente sulla critica, confinata in ristretti gruppi resistenziali inascoltati. Ma perché l’autocoscienza dell’opinione pubblica cittadina è prevalentemente caratterizzata da una mancanza di autostima, ai limiti dell’autolesionismo. Se chiedete a molti monzesi: “Chi - non cosa - è Monza”, non vanno al di là del considerarla un’appendice: dell’autodromo o di Milano. Per alcuni addirittura un “nulla”, senza questi agganci esterni. La storia longobarda, la Corona Ferrea, il ruolo medievale della città di tramite tra l’Impero e l’Italia - oggi potrebbe essere tra l’Europa e l’Italia -, il ruolo d’avanguardia nel contributo dell’Italia alle rivoluzioni industriali, sono considerati tutt’al più come argomenti occasionali per sagre e caroselli.
Ma la difficoltà del compito, invece che disarmare, può costituire la spinta per un impegno pertinace, nella speranza di tempi diversi e migliori di cui forse emergono segnali. Per una “narrazione” della città tale da radicare il suo presente e futuro nella storia. Per la rivalutazione di una identità aperta, “glocal”, che colga le notizie locali significative di vicende globali, e quelle globali da tradurre in fatti locali. Com’è noto, il futuro del pianeta si giocherà in gran parte nelle città, forse proprio in quelle più a misura d’uomo.
Per un giovane l’afferrare il testimone può costituire un’esperienza ricca di futuro, anche se priva di un ritorno economico immediato. Vorrei farlo io, ma non ho più la falcata necessaria. Vorrei.