No, non mi riferisco alle leggende di spiritelli o passioni amorose che si raccontano sulla Villa e il Parco di Monza. Voglio fare luce sulla lunga serie di luoghi comuni e narrazioni errate o ingannevoli, frutto di ignoranza o di interessi particolari, che tuttavia si traducono in modelli mentali molto diffusi sul monumento che ne sminuiscono la sostanza storica, culturale e ambientale, e che è molto difficile smontare.
Giuseppe Piermarini
Il restauro e la rinascita della “Imperial Regia” Villa e Parco di Monza, come era definita nelle mappe dell’ottocento, potrebbe apparire una cosa semplice. I disegni architettonici e paesaggistici con la loro storia sono ampiamente e dettagliatamente disponibili. Ed esiste già uno stanziamento di ben 55 milioni di euro da parte della Regione Lombardia per rivitalizzarli.
Le architetture del Palazzo e del Parco firmate da Giuseppe Piermarini e da Luigi Canonica, e la destinazione definitiva del monumento ad attività culturali e ambientali, sancita dall’Atto di cessione gratuita dal Demanio dello Stato ai Comuni di Monza e Milano del 1996, costituiscono riferimenti completi e precisi per il recupero di un’opera d’arte che non consente divagazioni interpretative.
Tuttavia gli eventi distruttivi che hanno colpito il monumento nel secolo scorso, frutto dell’ignoranza della storia, della presunzione “innovativa” e degl’interessi speculativi su spazi così allettanti, rendono difficile il compito.
Purtroppo questa “notte del monumento” lunga un secolo ha consolidato e diffuso modelli mentali, narrazioni, percezioni e definizioni tra le persone comuni, ma anche in personaggi con responsabilità decisionali, che rendono plausibili “proposte indecenti” sul suo destino. A volte rivestite di accademiche circonlocuzioni.
Proverò ad elencarne le principali, cominciando dalle espressioni più banali.
Villa Reale di Monza - Foto Gibart
“IL NOSTRO GIOIELLO”.
Non lasciatevi ingannare: chi sintetizza il valore dell’Imperial Regia Villa e Parco di Monza con questa stucchevole espressione, la usa spesso come copertura preventiva di proposte tendenti a ridurre il gioiello a bigiotteria. Spesso chi la usa è un fan dell’Autodromo, al cui mito sacrificherebbe ogni cosa. Nel migliore dei casi crede in una compatibilità tra il circuito e il Parco, in cui comunque quest’ultimo deve adeguarsi alle esigenze dell’Autodromo; nel peggiore - che è la regola - ritiene che il Parco non esista se non come spazio a disposizione.
Tra coloro che usano spesso questa espressione vi è il Sindaco di Monza nonché Presidente del Consorzio Villa Reale e Parco di Monza.
“IL PARCO E’ UN GRANDE POLMONE VERDE”.
E’ un’altra banalità ricorrente per definire l’I.R. Parco. Può sembrare un’ovvietà oltre che una frase fatta, un apprezzamento, ma non è così. Qualsiasi grande estensione boschiva è un polmone verde. Ma in casi di grande valore paesaggistico e naturalistico è un’espressione riduttiva, quasi dispregiativa: direste del Parco di Versailles che é un polmone verde? Chi dice “polmone verde” con riferimento al nostro Parco, in genere non sa nulla del disegno creato da Luigi Canonica e dai suoi successori. Ma attenzione: un polmone può essere sottoposto a una lobotomia conservando le proprie funzioni, sia pure menomate. Anche l’I.R. Parco lo é stato. Ma a forza di lobolomie, un parco progettato organicamente diventa fisicamente e simbolicamente una cosa anonima. Perde il suo senso originario, la sua identità.
“IL PARCO DI MONZA E’ IL PARCO CINTATO PIU’ GRANDE D’EUROPA".
Questa stucchevole definizione è analoga a quelle che proclamano la Reggia come “il nostro gioiello” e il Parco come “polmone verde”.
Se chiedessimo a chi definisce l’I.R. Parco come “il parco cintato più grande d’Europa” di dirciche cosa c’è dentro, credo che resterebbe a bocca aperta. E se gli citassimo i nomi del Cardinale Durini, di Eugenio Beauharnais, di Luigi Canonica, di Ranieri d’Asburgo li considererebbe come dei Carneadi (ammesso che sappia chi era Alessandro Manzoni).
La Villa Reale in una stampa del 1805
“LA VILLA REALE E’ UNA REGGIA SABAUDA”.
E passiamo dalle definizioni stereotipate alle narrazioni e ai modelli mentali più radicati, anche se errati o ingannevoli.
E’ diffusa l’idea che l’I.R. Villa e Parco siano una residenza sabauda, e basta.
Questa visione porta a concentrare l’attenzione sul breve periodo successivo all’Unita d’Italia, e in particolare al solo ultimo ventennio dell’ottocento, quando fu frequentata da Umberto I e dalla Regina Margherita. Questa narrazione riceve continuo alimento dai programmi di visite al Palazzo, per lo più limitate agli appartamenti sabaudi, con l’effetto di trasmettere una visione storicamente deformata del monumento.
In realtà, l’I.R. Villa e Parco di Monza non rientrano tra le Residenze sabaude. Queste residenze (Il Palazzo Reale di Torino, Stupinigi, la Venaria, Racconigi, Aglié) costituiscono nel loro insieme un complesso incluso tra i beni del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. La Reggia imperiale di Monza ne é giustamente esclusa, perché la sua storia, legata a quella di Monza ed europea, é stata toccata marginalmente da quella della dinastia sabauda.
L’I.R. Villa e Parco, realizzati tra il 1775 (la Villa) e il 1805 (il Parco), sono un monumento asburgico, napoleonico e solo per breve tempo sabaudo. Esso è stato commissionato da grandi protagonisti della storia europea (Maria Teresa d’Austria e Napoleone Bonaparte), e realizzato da urbanisti, architetti e paesaggisti eccellenti in un non casuale collegamento con la storia di Monza, segnata dai legami tra l’Italia e l’Europa. Monza è stata infatti una delle sedi del Regno Longobardo con la Regina Teodolinda, è depositaria della Corona Ferrea di cui si sono cinti decine di imperatori, da Carlo Magno a Napoleone, è stata insignita nel Medio Evo come “Sede del grande Regno d’Italia” nel quadro del Sacro Romano Impero.
Eugenio di Beauharnais ritratto da Andrea Appiani
“LA STORIA DELLA I.R. VILLA E PARCO DI MONZA E’ LA STORIA DELLE SINGOLE INTROMISSIONI DEL NOVECENTO”.
E’ diffusa l’ignoranza della storia del monumento a partire dalle sue origini e dalla sua collocazione storica.
Questo vuoto culturale viene abitualmente riempito dalle narrazioni sul breve periodo sabaudo di fine ottocento, e soprattutto dalle vicende devastanti del novecento, su cui mi sono soffermato in un precedente articolo.
Dovrebbe essere evidente che le singole storie delle immissioni distruttive compiute nel novecento, cioè dell’Autodromo, del Golf, dell’Ippodromo, dell’hockey, del tennis, della RAI, non costituiscono né singolarmente né nel loro insieme la storia di Villa e Parco, ma al contrario quella degli sfregi che ne hanno causato la compromissione, per fortuna incompiuta.
Nessuno dei progetti tendenti a fare del monumento una cosa completamente diversa è stato tradotto in realtà. Tutte le immissioni, dall’Autodromo in poi, sono stati “pezzi unici”. Il fatto è che una vaga consapevolezza subconscia del valore intrinseco e assoluto del monumento (oltre ai provvidenziali vincoli di legge a protezione dei beni cultuali e ambientali), ha fatto sì che gli impianti sportivi introdotti sono nati sempre sottodimensionati, a partire dalla pista originaria dell’Autodromo. Ottenendo in tal modo un duplice risultato: la distruzione di ampie zone del Parco, e il destino delle immissioni al fallimento.
“IL PARCO E’ UN CAMPO SPORTIVO A CIELO APERTO”.
Questa definizione, che ho ascoltato pronunciare da un pubblico amministratore ma che interpreta il pensiero di molti, è forse la più pericolosa perché gioca su una funzione, lo sport, che non solo ha un valore in sé, ma a certe condizioni non solo è compatibile, ma è connaturata con il Parco.
Ovviamente l’I.R. Parco non si presta più alle grandi cacce ai cervi o alla volpe, ma è pur sempre un luogo ideale per la pratica di una grande varietà di attività sportive dilettantistiche, come il podismo, il pattinaggio, lo sci a rotelle, il nordic walking, il ciclismo, l’equitazione, l’orienteering, eccetera. Si tratta di attività che si svolgono per lo più nella rete di viali e sentieri, non sono invasive, ma al contrario animano il Parco. Che tuttavia nn è un “campo sportivo”!
I campi sportivi sono aree destinate specificamente a determinati sport (il calcio, il tennis, l’atletica, il nuoto, l’hockey), di carattere professionale e competitivo, che richiedono ampie strutture e infrastrutture ad hoc per i praticanti e gli spettatori, continuamente modificabili per ragioni tecnologiche ed economiche, incompatibili con un disegno paesaggistico e un ambiente naturale come quello del Parco.
Purtroppo questa distinzione è difficile da far comprendere, anche perché vi sono interessi miranti ad impedirlo.
Siccome l’idea del Parco come “campo sportivo a cielo aperto” è alla base delle sue devastazioni, io l’ho definita come “la maledizione degli impianti sportivi nel Parco”, una maledizione che incredibilmente sopravvive ancora oggi (c’è chi vorrebbe reintrodurre l’hockey, o l’ippodromo!).
“LA REGGIA DI MONZA E’ SOSTANZIALMENTE COSTITUITA DALLA VILLA E DALL’AUTODROMO”.
Molti di coloro che si propongono di fare qualcosa con e nella I.R. Villa e Parco di Monza, guardano al monumento come composto esclusivamente da due realtà: la Villa e l’Autodromo. Tra questi due elementi non vedono nulla. Il Parco non esiste. O nel caso che lo vedano, é un nulla che non merita considerazione, se non come spazio libero, disponibile per qualsiasi cosa.
In particolare, questa visione si traduce nell’idea che qualsiasi proposta per la sopravvivenza dell’Autodromo vada soddisfatta a spese del Parco, sia in termini di ulteriore compromissione delle preziose aree verdi circostanti la pista, già indegnamente trascurate, sia di eventuale espansione.
Quanto alla Villa, essa viene vista come una location (orribile inglesismo marketistico!) per qualsivoglia iniziativa che frutti una entrata monetaria, spesso insignificante rispetto al profitto dell'interessato di turno, e squalificante per il monumento.
Questa narrazione è dipendente da un’altra, ancor più perniciosa: che Villa e Parco siano due realtà separate. E’ difficile far capire - eppure dovrebbe essere evidente! - che la separazione tra i due capolavori è come la rottura di un diamante (Il “gioiello”!): il valore di ognuno dei due frammenti sarebbe molto minore di quello del complesso unitario. l’I.R. Villa e Parco perderebbero un requisito essenziale della la loro unicità, che li distingue da altre residenze reali.
“MONZA E’ FAMOSA NEL MONDO PER L’AUTODROMO”.
Ammesso, e non concesso, che ciò sia vero, nella realtà non è Monza ad essere resa famosa, né l’I.R. Villa e Parco, ma l’Autodromo in quanto tale.
Nessuno degli stranieri fan della F1 viene a Monza perché a conoscenza dell’importanza storica della città. Gli appassionati dei motori spesso non entrano neanche a Monza, che del resto è mal collegata con Villa e Parco, e ancor più con l’Autodromo . E’ facile che immaginino Monza come un borgo anonimo dell’area metropolitana di Milano.
Alla fine, il fatto di essere famosa solo per l’Autodromo costituisce per Monza una pubblicità negativa, che annulla le sue reali valenze, tali da poter essere meta di un turismo culturale internazionale, con importanti ricadute anche economiche.
Mappa di Giovanni Brenna 1833
“IL PARCO DI MONZA E’ STATO REALIZZATO SOLO PER LE BATTUTE DI CACCIA”.
E’ questa una definizione sostenuta anche da conoscitori del Parco e della sua storia. E’ chiaramente una tesi quanto meno riduttiva del Parco come capolavoro paesaggistico. Ed è altrettanto ovvio che tutti i grandi parchi storici del mondo avevano tra le loro destinazioni “anche” quella delle battute di caccia della nobiltà.
Ma basterebbe chiedersi perché chi ha commissionato la Villa e il Parco di Monza ha affidato il compito a personalità investite di alte cariche ufficiali, dotati di competenze come quelle di Giuseppe Piermarini, autore anche del Teatro alla Scala di Milano, e di Luigi Canonica, autore anche del Foro Bonaparte di Milano. Solo per adattare un bosco alle esigenze delle battute di caccia?
“LA VILLA REALE E IL PARCO DI MONZA SONO UN MONUMENTO DI SECOND’ORDINE, DEGRADATO DAGLI INTERVENTI DEL NOVECENTO, IRRECUPERABILE”.
Questa é una convinzione poco confessata, ma alquanto diffusa, soprattutto in ambienti dotati di un bagaglio culturale e di poteri decisionali, e testimoniata dal fatto che al monumento siano state dedicate per un secolo risorse umane e materiali risibili.
Ho descritto a suo tempo questa svalutazione del monumento come quella di una grande dama trasformata in una prostituta che, essendo stata violata in gioventù (si fa per dire, a 150 anni), è ritenuta non riscattabile e destinata a continuare a subire violenza.
C’è chi rifiuterebbe questa metafora, ritenendo tuttavia che l’I.R. Villa e Parco di Monza siano residui del passato di scarso valore, e che quindi l’idea di restaurarli sia un segno di insufficienza culturale se non addirittura riprovevole. Questa visione è bene espressa da questa citazione: «Negli ultimi anni si è rafforzata la sensibilità per un approccio conservativo…una ripresa reazionaria e conservativa che crede di essere rivoluzionaria… alternativa alla modernizzazione, come residuo da mantenere, proteggere al pari di centri storici e di beni archeologici e monumentali… Il pericolo … sarebbe quello di trasformare il Parco di Monza in un moderno parco tematico (qui si rovesciano le carte! n.d.r.) soggetto a stereotipi e a modelli semplificati, fortemente autoreferenziale e unicamente indirizzato al solo godimento estetico» (Francesco Repishti, “Il Parco Reale di Monza e i suoi usi tra il XIX e il XXI secolo”, Quaderno n.9 della rivista “Il Parco, la Villa”, ed. Novaluna). Tipica di questa e di altre posizioni analoghe è una confusa mitologia della “modernizzazione”, ma con l’assoluo e preoccupante vuoto d’idee. Dobbiamo credere che l’”approccio conservativo” è sbagliato in un Paese come l’Italia (e non solo)? Dobbiamo ritenere che il recupero de la Venaria Reale, ridotta a un rudere e riportata, come si suol dire, all’”antico splendore”, e proprio per questo divenuta meta di migliaia di visitatori, è stata un’operazione “reazionaria”? Per fare un quadro come “L.H.O.O.Q.” (la Gioconda coi baffi) ci vuole un maestro come Duchamp. Ma un qualcuno che ritenesse di fare un capolavoro deturpando la Gioconda di Leonardo con un paio di baffi, avrebbe quanto meno un eccesso di autostima!
Queste narrazioni si traducono in un incredibile vuoto di ricerche storiche sul monumento e sul suo significato nell’ambito della storia di Monza, e in una necrofila riesumazione dei singoli eventi che l’hanno sfregiato, o addirittura di quelli che potevano essere e (per fortuna!) non sono stati.
La Villa Reale in una cartolina del 1986
“LA VILLA E IL PARCO SONO SOLO MIEI”.
Voglio concludere usando provocatoriamente, in modo rovesciato, il nome di una associazione, “La Villa Reale è anche mia”, benemerita per la lotta contro la concessione a privati della gestione strategica della Villa, concessione recentemente e prevedibilmente fallita.
La parola “anche” è importante. Anzi, si può affermare che l’I.R. Villa e Parco è prima di tutto dei cittadini monzesi, al di là delle proprietà formali.
Occorre però guardarsi dal trasformare la “proprietà” in “chiusura”.
C’è chi, senza dichiararlo esplicitamente, è contrario a un restauro e rilancio del monumento tale da renderlo meta di visitatori provenienti da ogni parte del mondo. Preferiscono che esso resti, come oggi, al solo servizio della popolazioni locali, meta di gite di fine settimana, deserto nei giorni lavorativi.
Alla base di questa idea credo vi sia un’avversione al turismo, considerato a priori come un’attività dissacrante, o peggio, “economica”!
L’esito di questa posizione è quello di bloccare inconsapevolmente il recupero del monumento, divenendo alleati di chi vuole che esso resti come una realtà di scarso valore e quindi esposta a “valorizzazioni” sconsiderate.
Occorre liberarsi di questi preconcetti ideologici: l’economia può ben associarsi con i valori culturali e ambientali, anzi nel lungo termine tende a convergere con essi. Il turismo è un’espressione della ricerca della bellezza da parte degli uomini e della loro libertà di movimento. L’obiettivo non può essere quello di combatterlo, ma di quello di gestirlo e regolarlo.