Dal contratto all’accordo, analizziamo le priorità e le azioni sull’ambiente condivise da Movimento 5 stelle e Partito democratico. Protagonista di alcuni punti specifici e richiamato in altri passaggi dell’accordo, è un tema su cui a buone intenzioni si aggiungono alcune incertezze e mancanze.
Definito nei primi giorni di settembre del 2019, l’accordo di governo della maggioranza composta da Movimento 5 stelle e Partito democratico era inizialmente composto da 26 punti diventati poi 29. Senza la Lega e con il sostegno di Liberi e uguali, le intenzioni sono chiaramente quelle di differenziarsi dal precedente e fallimentare contratto di cui avevamo analizzato i principi e le proposte sulle tematiche ambientali. Vediamo quali sono ora i punti più significativi e cosa c’è di nuovo.
Nel discorso d'insediamento del riconfermato Presidente del consiglio Giuseppe Conte è emersa una significativa presenza del tema ambientale sulla scia, molto probabilmente, delle proteste giovanili per il clima ormai diffuse in tutto il mondo.
Giustizia intergenerazionale e sostenibilità, fonti rinnovabili e soprattutto lotta ai cambiamenti climatici non potevano quindi mancare nel testo elaborato.
Con il cambio nella composizione della maggioranza, le tematiche ambientali saranno finalmente fulcro dell’azione politica oppure no? Ci sarà più convinzione o più titubanza verso il raggiungimento di obiettivi ambiziosi? Agli intenti seguirà un deciso orientamento verso nuove priorità? Le scelte, soprattutto d'investimento economico, saranno adeguate ed efficaci?
Questo lo diranno i risultati anche se alla prima prova, quella del decreto legge per il contrasto dei cambiamenti climatici e la promozione dell'economia verde, l’incertezza economica, come al solito, ha prevalso frenando il provvedimento.
I punti più verdi
Il punto numero 7 è chiaramente dedicato alle politiche verdi e riporta l’intento di realizzare un Green new deal, un piano di riforme economiche nuovo e verde con un radicale cambio di paradigma culturale. L’impegno ulteriore, ancor più forte qualora si riesca a portare a termine, è quello di inserire la protezione dell'ambiente e della biodiversità tra i principi fondamentali del nostro sistema costituzionale.
Per questa "transizione ecologica", che prevede anche il superamento della “cultura del rifiuto”, è necessario, come sottolineato nel testo, un adeguato riconoscimento in termini di piani d'investimento pubblico. Coinvolgere le imprese e investire sull’eco-innovazione verso l’economia circolare, direzione verso cui spinge anche l'Europa, richiede impegno. L’ostacolo principale da superare è sempre lo stesso: s'invoca la responsabilità sociale delle imprese ma lavoro e ambiente sono considerati, ancora troppo spesso, in antitesi tra loro.
Il punto numero 9 contiene obiettivi collegati alle più classiche questioni ambientali: la messa in sicurezza del territorio, l’efficientamento energetico, la rigenerazione delle città, la mobilità sostenibile e le bonifiche. Non poteva mancare il riferimento alle zone terremotate. Non ci sono però riferimenti più specifici a tempi e costi.
In questo passo dell’accordo compare il primo e veloce accenno alla questione del consumo di suolo, molto importante ma poco approfondita anche nel caso più specifico del suolo agricolo che ritroveremo più avanti. Come intervenire per fermare il consumo? Non ci sono impegni specifici per la legge nazionale sul tema che ancora manca.
Eppure intervenire sul suolo è una necessità riconosciuta. L’Agenda 2030, adottata il 25 settembre del 2015 dai 193 paesi dell’Organizzazione delle nazioni unite, è definita nei primi articoli dell’accordo come “punto di forza”.
Il goal (obiettivo) numero 15 prevede di proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre, gestire sostenibilmente le foreste, contrastare la desertificazione, arrestare e far retrocedere il degrado del terreno, e fermare la perdita di diversità biologica. L’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis) ha recentemente valutato i progressi del nostro paese nell’attuazione dell’Agenda: questo obiettivo è l’unico in peggioramento.
Un incentivo ad esempio per la forestazione delle aree libere avrebbe indiscutibili vantaggi ambientali e potrebbe essere d’aiuto nella conservazione del suolo. Proposte come questa non sono però state considerate.
L’analisi dell'Asvis aggiunge anche che siamo fermi in innovazione, consumo e produzioni sostenibili, contrasto ai cambiamenti climatici, collaborazioni globali per lo sviluppo sostenibile e, dopo un periodo di crescita, anche nell’ambito dell’energia pulita.
Parlando proprio di energia, suscita interesse e discussione il no a nuove trivellazioni inserito sempre al punto 9. Un aspetto su cui, molto probabilmente, la mediazione è stata più complicata e rischia di generare qualche frizione. Si scrive chiaramente che non saranno consentite nuove concessioni per trivellazioni, addirittura vincolando tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Sarà possibile farlo? Tra i sostenitori c’è chi nel 2016 ha boicottato il referendum che andava proprio in quella direzione. Sarà possibile a distanza di 3 anni accantonare definitivamente l’idea di sviluppo tradizionale, prima difeso e addirittura incentivato?
Una situazione analoga si potrebbe generare anche sul tema rifiuti. L’intenzione di puntare con decisione verso i rifiuti zero per la riduzione del fabbisogno di inceneritori riuscirà a prevalere sulla timida convinzione che questi impianti siano comunque una destinazione finale irrinunciabile?
L’approccio ecologico anche in economia, nei rapporti internazionali e nella ricerca dell'equilibrio sociale
Anche nei primi punti dell’accordo, dove si parla di politica economica espansiva (punto 1), tutela dei lavoratori e crescita sociale e culturale del paese sono individuabili contaminazioni di un nuovo approccio alla sostenibilità. Sono elementi chiave per valutare l’effettiva novità e bontà delle proposte.
Al punto 2 c’è la volontà di posizionare il nostro paese in un ruolo da protagonista nel rilancio dell’Unione Europea per vincere la sfida ambientale.
Come fare? Investendo sulle nuove generazioni e rimuovendo le disuguaglianze sociali e territoriali (punti 5 e 6). La sostenibilità intergenerazionale e l’equilibrio sociale, come è ormai ampiamente noto, si possono ottenere solo con una vera giustizia ambientale e climatica oltre che con l’attenzione particolare nei confronti dei beni e delle risorse pubbliche.
La strategia di ammodernamento delle infrastrutture nell’ottica della sostenibilità prevista al punto 12 sarà coerentemente perseguita nel caso di grandi opere come Tav e Pedemontana? Anche su questo aspetto le incognite sono molte e i possibili contrasti sono in agguato.
Al punto 13 si prevede un giusto rafforzamento della collaborazione e dei finanziamenti verso i paesi africani per garantire un equilibrio globale. Sembra mancare però una declinazione del problema in chiave ambientale. Ci saranno investimenti per l’adattamento ai cambiamenti climatici? Sono proprio questi che causano già oggi gli squilibri internazionali destinati purtroppo ad accentuarsi.
Perché non si propone, al punto 17 dedicato alla riforma fiscale, una tassazione diversa per i prodotti e le attività più inquinanti, nel rispetto del principio di chi inquina paga? Il Consiglio UE chiede esplicitamente di utilizzare la tassazione ambientale ed estendere la responsabilità del produttore proprio per sostenere il passaggio all’economia circolare. Sarebbe una giustizia fiscale più adatta all’attuale contesto di emergenza economica e ambientale.
Al punto 19 si affronta l’immancabile tema del Sud, indicando tra gli obiettivi piani d'investimento che puntano, almeno nelle intenzioni, alla valorizzazione del territorio e delle risorse naturali passando da un utilizzo migliore dei fondi europei. Ed è giusto che sia così: lo sviluppo di questa parte del nostro paese in chiave turistica non può prescindere dalla difesa del territorio e dallo sviluppo di un turismo responsabile e sostenibile, non impattante e invasivo.
Due elementi significativi si intravedono al punto 22: la rievocazione del referendum sull’acqua pubblica del 2011, per cui si propone di completare l’iter legislativo, e la tutela degli animali. Quest’ultimo tema, in passato marginale perché ritenuto meno rilevante dal punto di vista dell’impatto sociale, era presente solo nei programmi più verdi e avanzati. Che sia la volta buona per superare anche questo limite.
Le ultime aggiunte, prospettive e conclusioni
Sul tema del turismo sono arrivate in extremis alcune specifiche che nella prima versione dell’accordo mancavano, così come sull’agricoltura.
Al punto 27 si riconosce il ruolo centrale del turismo per il nostro paese, affermando nuovamente che sono essenziali prima la conservazione e poi la valorizzazione del patrimonio naturale, storico, artistico e culturale.
C’è stata anche la scelta di trasferire la competenza sul turismo dal Ministero delle politiche agricole a quello dei beni culturali. Una scelta probabilmente migliorativa ma, come sostenuto in un recente articolo dello storico e archeologo Salvatore Settis, ancor di più sarebbe stato opportuno un abbinamento allo sviluppo economico considerato che il settore turistico vale il 10% del Pil.
Si chiude all’ultimo punto con l’agricoltura. Questo settore primario è definito “comparto decisivo”. Non si parla, però, di un’emergenza specifica, che è quella della sicurezza alimentare e della dipendenza dalle importazioni di cibo. Sono di buon auspicio gli obiettivi di sviluppo di un’agricoltura di qualità, biologica e di eccellenza.
Nell'articolo conclusivo si trova anche il secondo accenno al consumo di suolo, nello specifico limitato alla perdita di quello agricolo. Non sono specificati però metodi e piani per il contenimento del fenomeno.
La perdita, anche economica, di produzione agricola è sicuramente la più evidente ma non è la sola. Sono diversi i servizi ecosistemici che si perdono con l’impermeabilizzazione delle terre libere. Perdite che devono essere considerate per affrontare al meglio il problema.
C’è il deflusso delle acque meteoriche, la cattura di CO2, la conservazione della biodiversità, la regolazione del clima, ecc. Una strategia di contrasto a queste forme di degrado ambientale è indispensabile, soprattutto in ambito urbano.
In conclusione si riconosce che in questo accordo di governo le politiche ambientali sono ben presenti e con obiettivi ambiziosi. Gli intenti elencati e i riferimenti sono condivisibili e possono portare a miglioramenti concreti. Questo è possibile solo con il supporto di un’azione convinta e a 360 gradi. Nel caso prevalga ancora una volta la timidezza, alle buone intenzioni non seguiranno i risultati. La catena che dovrebbe trascinare verso un vero cambiamento sarà debole per la mancanza di qualche anello.
Rimane infine un importante dubbio: ci sarà anche in Italia la neutralizzazione delle emissioni al 2050? Ci sarà un piano energetico e climatico adeguato agli attuali obiettivi sempre più ambiziosi perché urgenti? Molti paesi l’hanno fatto e oltre a questo hanno per esempio definito una strategia per l’abbandono progressivo dei motori diesel, altra mancanza in questo accordo.
Per ora c’è solo una consultazione pubblica sulla strategia di sviluppo a basse emissioni di gas a effetto serra promossa dal Ministero dell’ambiente che ha proprio come orizzonte temporale il 2050. Vale la pena sfruttare questa opportunità di partecipazione per ricordare che ci sono ancora diverse cose da fare.