Siamo entrati nel depuratore di BrianzaAcque, punto di arrivo di quasi tutti gli scarichi fognari delle case della Brianza. Ecco perché finalmente non puzza più
«Non c’è nessun segreto industriale, anzi… questo impianto è un patrimonio pubblico, è importante farlo conoscere il più possibile». Cosi Enrico Mariani, direttore tecnico del settore depurazione di BrianzAcque risponde alla richiesta iniziale sulla possibilità di fare e pubblicare fotografie. BrianzAcque è la società pubblica che si occupa del servizio idrico integrato della provincia di Monza e Brianza: dai pozzi per l’approvvigionamento di acqua potabile alla rete di distribuzione, dalla gestione delle reti di fognatura alla depurazione di tutti gli scarichi, domestici e industriali.
Il depuratore ha avuto in passato un difficile rapporto con il vicino e popoloso quartiere di San Rocco. Gli ultimi lavori di riqualificazione sono stati realizzati proprio per abbattere il problema degli odori.
Il racconto parte da lontano, quando negli anni ‘70 l’impianto ha iniziato a prendere forma. Il fiume Lambro era una fogna a cielo aperto perché utilizzato come recapito di tutti gli scarichi, in particolare delle attività produttive come le tessiture. Oggi la situazione non è del tutto rassicurante: ci sono ancora episodi di scarichi abusivi. Quello che invece è regolarmente allontanato in fognatura finisce in questo impianto.
Sotto al tratto sopraelevato di via Fermi c’è il punto di arrivo dei due grandi rami collettori che raccolgono gli scarichi della parte ovest e della parte est della provincia, oltre ovviamente a tutti quelli della città di Monza. Con una griglia fine si eliminano rifiuti galleggianti, da quelli più grandi ai tanto temuti cotton fioc, stupidamente buttati negli scarichi e che in passato erano difficili da fermare. Questo avviene all’interno di alcuni edifici chiusi realizzati nel 2009. È un dettaglio importante: siamo ancora all’inizio del ciclo e ovviamente gli odori sono più forti. Subito dopo vengono rimossi, contemporaneamente, altri due elementi inquinanti: la sabbia, proveniente soprattutto dal dilavamento delle acque sulle strade, e l’olio, anch’esso purtroppo presente negli scarichi a causa di comportamenti scorretti.
Alcuni numeri: in entrata arrivano 150.000 metri cubi al giorno di scarichi che salgono a 200.000 quando piove. L’impianto ovviamente non si ferma mai. Con la grigliatura iniziale si rimuovono tra le 60 e le 70 tonnellate al mese di rifiuti, avviati ad inceneritore o digestore.
Gli interventi di miglioramento avviati nel 2015 e conclusi nel 2017 sono costati più di 6 milioni di euro. Per alcuni dei presenti alla visita questi numeri giustificano, qualora ce ne fosse bisogno, il costo della bolletta che noi tutti paghiamo.
I lavori hanno interessato le successive fasi del trattamento che sono il cuore del processo: la sedimentazione primaria e il trattamento biologico.
È stato messo un “coperchio” alle due grandi vasche di sedimentazione primaria. L’aria interna viene aspirata e trattata con biofiltri a lapillo lavico o materiale vegetale. Così anche le esalazioni provenienti da questa fase, che fino a poco tempo fa avveniva all’aperto, sono state abbattute. In queste vasche viene tolta una prima parte di fanghi, raschiati dal fondo e aspirati.
Il trattamento biologico avviene invece in 16 lunghe vasche che lavorano in parallelo. I batteri utilizzano il materiale inquinante producendo, anche in questo caso, del fango che viene rimosso. Per far questo hanno bisogno di ossigeno. Il sistema recentemente installato ha migliorato proprio la fornitura di ossigeno: dal fondo, tramite appositi “piattelli”, fuoriescono bolle più piccole e quindi in numero maggiore. Così lo scambio e l’azione dei batteri risulta migliore.
Un’ulteriore rimozione di fango avviene poi nelle 5 vasche di sedimentazione secondaria, più piccole e aperte.Il movimento lento del carro ponte spinge la distesa verde di lenticchie d’acqua che si è sviluppata in superficie. In realtà è sul fondo che il fango viene raschiato e l’acqua, che dopo ogni fase è sempre più pulita, esce dall’anello laterale. Siamo alle ultime fasi di questo lungo processo di pulizia: tramite letti filtranti vengono tolti gli ultimi residui giunti fino a qui e per finire, in una vasca “a labirinto” dove l’acqua gira per il tempo necessario, avviene la disinfezione con acido peracetico. Il processo è concluso: dopo il passaggio sotto la vicina autostrada le acque ripulite vengono immesse nel Lambro.
Nell’impianto le novità non sono finite e si guarda al futuro: con la linea fanghi si cerca di disidratare i residui e pagare il meno possibile per gli smaltimenti. Il fango essiccato, che ha potere calorifico, è mandato alla cementerie.
In più c’è il recupero del contenuto energetico tramite digestori anaerobici. Si favorisce la fermentazione naturale e si forma biogas.
«L’idea è quella di realizzare un impianto di cogenerazione e per questo sono già stati individuati gli spazi. Si potrebbe quindi produrre contemporaneamente energia elettrica e calore, per uso interno ma anche come scambio con la linea di teleriscaldamento che arriverà, per questo motivo, proprio alle porte dell’impianto».
Ma c’è spazio anche per un significativo ricordo, quello della notte tra il 22 e il 23 febbraio 2010. Sono le ore successive al disastro della Lombarda Petroli in cui sono stati sversati nella fognatura pubblica 2,5 milioni di litri di idrocarburi. «Sono state giornate difficili». Quella notte aveva piovuto e una parte dell’inquinante è finita nel fiume tramite lo sfioratore iniziale che serve proprio per scaricare il surplus di acque meteoriche. Una quantità considerevole però è arrivata alle vasche di sedimentazione. «Abbiamo sospeso il sollevamento per proteggere la fase successiva, quella del trattamento biologico. L’inquinante avrebbe ucciso tutto». In emergenza è stata svuotata una delle due vasche che è stata quindi utilizzata per l’accumulo degli idrocarburi, pompati e allontanati per giorni tramite autocisterne. C’è soddisfazione per come è stata gestita l’emergenza e l’ingegnere sembra ancora tirare un sospiro di sollievo sottolineando che «se fosse stato un prodotto miscelato e non galleggiante, avremmo dovuto chiudere l'impianto».